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La scomparsa di Tony May, simbolo della cucina italiana nel mondo, lascia un grande vuoto

A New York il celebre ristorante San Domenico è stato per lungo tempo un locale cult, molto amato dagli americani. Attraverso la fondazione da lui creata, l’Italian Culinary Foundation, ha saputo dare slancio alle nostre produzioni agroalimentari, valorizzandole e rendendole trendy. Con l’Italian Culinary Academy ha invece creato le condizioni per trasmettere una idea di cucina coerente con il concetto di italianità

Olio Officina

La scomparsa di Tony May, simbolo della cucina italiana nel mondo, lascia un grande vuoto

Tony May (6 dicembre 1937-3 aprile 2022) non era uno tra i tanti, ma l’unico e solido punto di riferimento per la cucina italiana nel mondo. C’è solo da inchinarsi, nel riconoscere i suoi grandi meriti. Quando si parla di ambasciatore della cucina italiana, il pensiero va a lui. È stato proprietario di diversi ristoranti, due dei quali li ha persi, nel crollo delle Torri gemelle.

Celebre il suo San Domenico, a New York.

Ci sono passati tutti i divi dello spettacolo e dello sport, della politica e della cultuyra. Alcuni nomi? Michael Douglas, Silvester Stallone, Catherine Zeta Jones, Sophia Loren, Luciano Pavarotti, Sharon Stone, Harrison Ford, Demi Moore, Tom Hanks, Ron Howard.

Ciò che lo contraddistingueva, non era soltanto la bravura e la indiscussa genialità in cucina, ma l’attenzione che puntualmente riservava ai produttori italiani di cibi e bevande italiane, il vino, in particolare, e pure l’olio extra vergine di oliva.

Senza di lui gli americani non avrebbero conosciuto la bontà e il lato glamour delle nostre produzioni. Perché non si tratta soltanto di vendere i nostri alimenti, l’olio e il vino, ma di farli entrare nei luoghi giusti e tra le persone più in vista.

Siamo addolorati per la sua scomparsa, all’età di 84 anni, perché la sua perdita per noi rappresenta un vuoto da colmare.

Perché non vi sono altre figure della sua statura intellettuale e umana.

Queste nostre considerazioni sono condivise da quanti lo hanno conosciuto direttamente e da coloro che lo hanno in modo indiretto apprezzato per la fama che si è guadagnato sul campo, attraverso l’esercizio della ristorazione di alta qualità, nel rispetto delle materie prime e di chi le produce.

Tony May ha avuto modo di collaborare con Olio Officina, presente ad alcuni nostri eventi.

Per questo ci fa piacere riportare alcune delle sue considerazioni circa la percezione della cucina italiana negli Stati Uniti.

In una nostra intervista, disse che l’idea di cucina italiana in America è “cambiata drasticamente” a partire dalla seconda metà dello scorso secolo: “fin dal 1963, anno del mio arrivo in America, si è innestato un processo virtuoso che ha mutato lo scenario precedente”.

Molto importante e di grande impatto mediatico l’impegno di Tony May attraverso la fondazione da lui creata proprio al fine di sostenere e lanciare la cucina italiana nel mondo, non solo negli Stati Uniti d’America: “come Italian Culinary Foundation – ci disse nel corso di una nostra intervista – abbiamo lavorato molto con le scuole di cucina”.

È stato un impegno a tutto tondo, senza mai trascurare l’olio extra vergine di oliva: “Fin da quando ho aperto il ristorante Palio ho messo l’olio in tavola. Il problema delle donne americane che devono scegliere l’olio al supermercato è che non sanno scegliere tanto è vasta la proposta. In un contesto simile diventa difficile individuare un prodotto di qualità. Noi italiani dovremmo cercare di poter comunicare al consumatore come selezionare l’olio migliore e come comprarlo”.

Il suo pensiero sull’olio extra vergine di oliva? “Ai miei clienti dico di acquistare mezzo litro per volta, controllando la data di scadenza e a quella sottrarre dodici mesi: se è più di dodici mesi non è da comprare perché è già vecchio. Bisogna guardare l’etichetta e controllare se ci sono dei marchi, di associazioni di professionisti o realtà simili, per avere un punto di riferimento. Noi facciamo del nostro meglio ma non abbiamo la collaborazione completa da parte delle associazioni italiane per poter stabilire questa base di selezione del prodotto”.

“L’olio – ebbe a dire Tony May – è solo un ingrediente della cucina, non è tutta la cucina. Da alcuni anni abbiamo dato vita a una scuola di cucina che chiamiamo May-Mei Italian Culinary Academy, in associazione con Sergio Mei. Reclutiamo gli studenti negli Stati Uniti, li portiamo in Italia per pochi giorni e si affrontano dei corsi molto intensivi dove ogni giorno affrontiamo un prodotto diverso. Prima diamo conoscenze a livello didattico, poi li portiamo dai produttori ed è anche l’occasione anche per assaggiarlo, e poi devono cucinare con l’alimento che hanno conosciuto. Con l’olio bisognerebbe organizzare dei corsi e dei seminari con le associazioni importanti che hanno sede negli Usa. C’è tanto lavoro da fare, quindi è possibile cambiare ma solo con il tempo”.

Cosa deve fare l’Italia. “L’Italia deve diventare attiva nel cercare di convincere gli amministratori delle scuole alberghiere in America di aggiungere l’olio come parte del loro insegnamento. Il lavoro di comunicazione deve essere fatto in modo più importante. In Francia si fanno meno cose, ma vengono fatte bene e in continuità, cosa che noi non abbiamo, e in un mercato come gli Usa non si può lavorare attraverso questa modalità”.

Ci vuole fantasia, investimenti e determinazione. “Con uno slogan come l’olio novello è arrivato gli americani correrebbero per acquistare l’olio, ma bisogna anche spiegare che questo olio costa di più, che non è idoneo a essere usato nelle fritture. Queste iniziative devono partire dall’Italia, noi siamo disponibili ad aiutare e a fare qualsiasi cosa che sia necessaria per il miglioramento dell’immagine e della qualità. La qualità è importante e bisogna farla conoscere, non è solo una questione che costa di più, ma è quella dove c’è un prodotto fatto con la passione del loro lavoro”.

Peccato soltanto che la scomparsa di Tony May non ci permetta di averlo tra i protagonisti, ma siamo convinti che i suoi suggerimenti vadano portati avanti con convinzione.

L’educazione culinaria. “Credo che sia molto importante andare nelle scuole, perché l’educazione culinaria è il futuro del miglioramento dell’immagine della cucina italiana negli Stati Uniti. La prima cosa che bisognerebbe fare è quella di far conoscere questi prodotti ai giovani, ma purtroppo oggi anche nelle grandi cucine non si dedicano momenti di addestramento ai cuochi, non vengono descritti, né viene spiegato come utilizzarli. Bisogna cercare di parlare con i manager ed emanare il desiderio di voler produrre un piatto nel modo migliore, usando il prodotto nel modo migliore. Un prodotto che è stato realizzato con passione e serietà, deve essere impiegato nel modo più corretto dai professionisti”.

Puntare sulle nuove generazioni. “Parlare ai giovani significa parlare al futuro, e il futuro è quello che noi vogliamo migliorare. Non possiamo inventarci molto, basta saper e poter descrivere correttamente i prodotti che noi abbiamo e la passione che c’è dietro questa produzione”.

Per approfondire la figura di Tony May è possibile cliccare QUI

Per scoprire la fondazione Italian Culinary Foundation è possibile cliccare QUI

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