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Rischio acroleina e acrilammide con gli extra vergini

Il pericolo - sostengono alcuni - è nell'utilizzo negli impasti di pane e pizza, ma non è così. Tranquilli, è solo terrorismo alimentare. Non prendete in considerazione quel che si legge in giro. A rassicurarci una nota tecnologa alimentare, esperta in materia di arte bianca

Simona Lauri

Rischio acroleina e acrilammide con gli extra vergini

Il “terrorismo alimentare giornalistico”, come lo chiamo io contro l’alimento di turno, sembra essere diventato una moda, e come tale è sempre una hot news. Non entro in merito alle motivazioni che spingono a scrivere certe “imperfezioni”, né tanto meno mi permetterei di giudicare, ma da tecnologo alimentare, nonché panificatore, mi sento obbligata a fare qualche semplice precisazione/correzione, in nome della corretta informazione scientifica e della tutela del consumatore invaso da simili “imprecisioni”, scritte apposta per l’occasione, e qualche volta solo per interessi economici.

In questo caso l’allarme del momento interessa l’impiego dell’olio extra vergine di oliva e la formazione sia dell’acrilammide sia dell’acroleina durante la cottura nei prodotti che lo contengono.

Tutti i cibi, pizza e pane compresi, che subiscono una cottura a calore diretto, sono molto pericolosi, cancerogeni e tossici perché si sviluppa acrilammide. L’affermazione è di per se veritiera, ma a mio parere va giustamente interpretata, specificato che l’acrilammide si forma sempre, in ogni caso solo sulla crosta, e in quantità crescenti man mano che quest’ultima assume colorazioni che vanno dalla ottimale doratura chiaro scura fino al nero della carbonizzazione (dose massima di acrilammide riscontrata).

Per quanto riguarda l’implicazione e la responsabilità unica e diretta dell’olio EVO nella formazione dell’acrilammide è ancora tutto scientificamente da dimostrare, e attualmente non ci sono pubblicazioni scientifiche o report universitari che avvalorino tali assolute affermazioni. Premesso questo, diciamo che a grandi linee, l’ACRILAMMIDE si forma da una reazione tra un particolare aminoacido, nonché ammide dell’acido aspartico, l’asparagina, e gli zuccheri riducenti naturalmente presenti nei cereali sia sotto forma di amido sia come disaccaridi o monosaccaridi che da esso derivano sia aggiunti come ingredienti in particolari ricettazioni dolci o salate dei prodotti dell’arte bianca.

In particolari condizioni produttive di un alimento, tale aminoacido può reagire con altre molecole, in particolare proprio con monosaccaridi e avviare il complesso di reazioni che portano allo sviluppo dell’acrilammide cancerogena. Tale sequenza di reazioni è innescata proprio dalla presenza di particolari proteine, la cui composizione aminoacidica comprenda l’asparagina.

Il fenomeno è notevolmente amplificato se intervengono in sinergia altri parametri tra cui: temperatura di cottura tra i 120 e 170°C, tempi lunghi di cottura, contenuto di acqua, pH basico, conservazione in atmosfera modificata per 10 – 15 gg a +4°C di alimenti precotti, presenza di acidi grassi insaturi che sembra (ma è ancora tutto da dimostrare!) aumentino la probabilità d’innesto delle reazioni, ma soprattutto da ingredienti che, per loro naturale composizione aminoacidica, presentino elevati quantitativi di asparagina. Tra questi: le patate (quantitativo 100 volte maggiore rispetto la farina di frumento tenero), orzo, segale, farina integrale, eccetera.

Stabilito questo, occorre ancora una volta affidarsi a una varia e sana alimentazione. Non va demonizzato nessun alimento, né tanto meno una tecnica di lavorazione rispetto a un’altra, come per esempio la frittura, ma prestare attenzione, a come si conduce il processo, al tipo di alimento, temperatura e tipologia di sostanza grassa utilizzata. Personalmente ritengo prive di fondamento scientifico – logico, per non dire leggermente assurde ed erronee, certe affermazioni che leggo nei forum, in post su FB, in articoli, convegni eccetera, di coloro i quali emettono sentenze del tipo “Per paura dell’acrilammide, io non utilizzo più l’olio extra vergine di oliva nell’impasto per pizza, ma solo olio di semi”. Affermazioni come questa, a mio parere, denotano un pochino di confusione sulle reazioni chimiche che sono alla base sia del cosiddetto “punto di fumo” (temperatura oltre la quale un grasso alimentare comincia a idrolizzarsi alterando la propria struttura molecolare formando ACROLEINA non ACRILAMMIDE!) sia della formazione di acrilammide, confondendo molto spesso l’uno con l’altro processo.

A questo proposito, proprio sul prodotto pizza/focaccia salata/pane, vorrei porre l’accento su alcuni aspetti di corretta prassi tecnologica o di “buona norma” di produzione che quotidianamente sono adottati dai professionisti, proprio per evitare eventualmente sia l’uno sia l’altro problema.

L’ingrediente olio extravergine d’oliva, nella formulazione dell’impasto, a mio parere, non ha mai creato e mai creerà problemi, né di punto di fumo, né di acrilammide perché “protetto” dalla struttura glutinica (temperatura a cuore del prodotto circa 90 – 100°C) salvo che si decida di carbonizzare appositamente la crosta sia friggendo sia cuocendo nel forno. L’olio EVO è utilizzato tal quale solo dopo la cottura sul prodotto caldo per apprezzare al meglio il suo fruttato, le sfumature sensoriali e armonizzare gli aromi con la farcitura, mentre su un classico impasto di focaccia crudo prima dell’infornamento, si utilizza non l’olio tal quale, ma la salamoia. Tale emulsione è costituita da olio EVO e acqua in pari quantità e sale in percentuale variabile in base ai gusti ed esigenze.

Il motivo è principalmente chimico: in primis i cristalli di sale si devono sciogliere (si sciolgono nell’acqua e non nell’olio) per evitare le classiche e antiestetiche macchie brune sulla crosta come conseguenza dell’implicazione diretta del sale nelle reazioni di Maillard e in secundis, aggiungendo acqua all’olio extra vergine di oliva, si evita l’eventuale remoto rischio di surriscaldamento eccessivo dell’olio posto sulla superficie, soprattutto se la cottura avviene direttamente a platea nei forni la cui temperatura interna è superiore ai 350 – 400°C (485°C circa di platea nei forni a legna per la pizza napoletana STG).

In ogni caso, il tempo per la normale e ottimale doratura della crosta/cornicione, (entro i 3 min per la pizza classica, 60 – 90 secondi per la napoletana STG e circa 4 min per la focaccia in pala a metro) non è tale né da carbonizzare la superficie né tanto meno da far raggiungere il punto di fumo all’olio extra vergine di oliva (210 – 220°C).

Come dicevo prima, personalmente ritengo che si stia cercando di demonizzare l’ennesimo prodotto alimentare di turno, con lo scopo di offendere i professionisti seri, minare l’autenticità dell’olio EVO, della pizza napoletana, della pizza in generale, della focaccia, o fugassa, del pane, della nostra storia e tradizioni culinarie secolari. Pizza, pane, focaccia, pasta, pomodoro, olio extra vergine di oliva eccetera, sono i vanti italiani nel mondo da secoli e nessuno mai ci ha accusato di… crimini contro l’umanità, anzi…

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Foto di Simona Lauri

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