Cose da sapere

Cosa scegliere tra un olio italiano e uno straniero?

È un quesito piuttosto ricorrente e gira sempre intorno allo stesso concetto: la qualità. Esiste una sostanziale differenza in termini di caratteristiche compositive tra un olio extra vergine di oliva prodotto in Italia rispetto ad uno proveniente da altri Paesi produttori esteri?

Olio Officina

Cosa scegliere tra un olio italiano e uno straniero?

Il quesito “È più buono l’olio italiano o quello straniero?” può sembrare di per sé poco importante e marginale, e invece è piuttosto ricorrente tra la gente. Sono in tanti a chiederselo, anche perché si elogia l’olio italiano e si denigra quello che proviene al di fuori dal suolo patrio.

Per come è stato formulato il quesito, dunque, è necessaria una risposta articolata.

In un volume pubblicato da Olio Officina, dal titolo Succo di olive. Guida ragionata alla conoscenza degli oli, dalla produzione al consumo consapevole, c’è un brano che risponde con chiarezza al quesito.

A chiarire la questione il professor Giovanni Lercker, il quale afferma che in tutti i Paesi olivicoli del mondo, là dove le condizioni pedoclimatiche risultano ottimali per la coltivazione dell’olivo, si possono produrre extra vergini di qualità.

L’importante – aggiunge – è che si adottino adeguate tecniche agronomiche ed estrattive, che siamo sempre rispettose dei parametri che caratterizzano oggettivamente un olio di qualità.

Qualità e tipicità non sono la stessa cosa

La qualità – precisa Lercker – dipende dall’uomo, dalle sue conoscenze, dalla necessità di trovare il giusto compromesso tra risultato ottenuto e le risorse economiche necessarie per realizzare il processo produttivo.

Diverso è l’aspetto legato alla tipicità. Da questo punto di vista – precisa il professor Lercker – l’olio italiano può fare la differenza rispetto a tutti gli oli prodotti nel mondo.

Basti un piccolo esempio, per chiarire il concetto. Uno dei più importanti parametri di tipicità è rappresentato dal patrimonio genetico utilizzato, ossia dalle varietà coltivate (olivigni).

Ogni varietà, dunque, in rapporto all’ambiente di coltivazione dà origine a un prodotto con spiccati caratteri peculiari che rappresentano veri e propri elementi distintivi.

L’Italia vanta il più vasto patrimonio genetico mondiale, con oltre cinquecento varietà iscritte nell’elenco nazionale degli olivigni.

La Spagna non va oltre le cinquanta varietà conosciute, e di queste, cinque o sei rappresentano da sole i due terzi del patrimonio genetico coltivato.

In parole semplici, l’estrema specializzazione e l’omologazione della filiera produttiva spagnola riducono la biodiversità della produzione olearia.

Se si considera anche l’effetto degli ambienti climatici, assai più diversificati in Italia rispetto alle altre zone olivicole mondiali, è comprensibile come la tipicità dei vari oli italiani non trovi un riscontro paragonabile a nessun’altra realtà mondiale, secondo quanto ribadisce il professor Giovanni Lercker.

Infine, per quanto riguarda gli oli ottenuti dalle tante varietà presenti in Italia, la loro qualità è in generale molto buona, anche se differente come sentori organolettici.

Ciò è dovuto alle differenti composizioni quantitative dei costituenti minori e alle diverse attività enzimatiche che determinano, riguardo a tutti gli aspetti sensoriali, tutte le differenze riscontrabili al momento dell’assaggio e dell’utilizzo dell’olio.

La risposta al quesito di fondo, se siano più buoni gli oli italiani o quelli esteri, l’ha chiarita in modo più che condivisibile il professor Giovanni Lercker, una personalità del mondo accademico di grande spessore, riconosciuta a livello internazionale, e da diversi decenni impegnato nello studio di sostanze grasse.

Maggiori approfondimenti si possono leggere nel manuale Succo di olive, edito da Olio Officina, un libro dal taglio scientifico e nel contempo divulgativo, dove si affrontano nei diversi capitoli tutto quel che occorre sapere intorno al tema olio da olive, dalla produzione fino al suo consumo. Ne sono autori, oltre al professor Lercker, Luigi Caricato, Stefano Cerni e Lorenzo Cerretani.

Il mercato italiano ha bisogno dell’olio spagnolo

Chiarito il quesito olio italiano versus olio estero, occorre anche ribadire un altro aspetto non meno importante da sapere.

Nonostante l’Italia possa vantare un ricco patrimonio genetico ed extra vergini unici, capaci di riflettere le caratteristiche non solo di una regione, ma di un luogo specifico, il nostro Paese non ha ancora sviluppato una propria autonomia nella produzione olearia.

Nelle annate di scarica, il tasso di autoapprovvigionamento scende intorno al 25-30%, e talvolta anche di più.

Le difficoltà a cui deve far fronte la filiera sono disparate e molteplici.

C’è chi parla senza mezzi termini di “declino del sistema olivicolo italiano” nel Bacino del Mediterraneo.

È il caso di Denis Pantini, responsabile agroalimentare di Nomisma, che in occasione del cinquantenario di Assitol ha presentato un quadro che conferma la preoccupazione sul futuro dell’olivicoltura italiana.

La Spagna si conferma pertanto export leader di olio da olive verso l’Italia: nel 2021 il 58% dei volumi di olio vergine ed extra vergine che sono stati importati veniva dal paese iberico.

A tal riguardo, quanti volessero approfondire lo stato del mercato dell’olio da olive in Italia, possono prendere visione dei dati leggendo l’articolo L’olio da olive domina il mercato retail, dove appunto viene riportata la riflessione integrale di Denis Pantini.

 

In apertura, foto di Olio Officina©

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