Gea Terra

Andare oltre la Xylella

L'aggressione subita dagli olivi ha posto al centro dell'attenzione l'agricoltura salentina. L'accesa querelle si è ora ridimensionata e sono emersi i soliti meccanismi emergenziali, alimentati allo scopo di favorire interessi particolaristici. Sopravviverà il paesaggio, o dobbiamo rassegnarci alla sua progressiva estinzione? Ci vuole un impegno dell'intera comunità nel rimettere al centro il modello sociale originario fondato sull'agricoltura che produce beni relazionali per salvaguardare i beni ambientali

Alfonso Pascale

Andare oltre la Xylella

Parlare di orti sociali nel Salento potrebbe sembrare una stravaganza. Invece non è così. La gran parte della superficie agricola di questa terra è composta di piccoli appezzamenti. E questa struttura fondiaria frammentata ha mantenuto in vita per millenni uno dei paesaggi agrari più suggestivi del Mediterraneo, in cui si ergono per la loro bellezza e magnificenza gli ulivi monumentali.

L’aggressione subita da queste piante da parte di un parassita, la xylella, ha posto al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica l’agricoltura salentina.

L’accesa querelle si è ridimensionata e sono emersi i soliti meccanismi emergenziali, alimentati da una comunicazione pilotata per favorire interessi particolaristici. Ma resta la domanda: sopravviverà questo paesaggio o dobbiamo rassegnarci alla sua progressiva estinzione, man mano che i piccoli fazzoletti di terra verranno abbandonati?

Emilio Sereni ci ha insegnato che c’è un rapporto molto stretto tra paesaggio agrario e organizzazione sociale del territorio. Se cambia radicalmente l’organizzazione sociale, muta inevitabilmente anche il paesaggio. E non ci sarà alcun vincolo coercitivo che potrà evitare la perdita di un bene inestimabile.
Il problema allora si può affrontare se studiamo un modello di organizzazione sociale innovativo ma strettamente legato alle radici rurali del Salento.

Non era affatto inefficiente il sistema agrario fondato sui paesoni (città contadine), le masserie (centri di servizi) e le piccole unità coloniche. Abbiamo combattuto quel sistema perché era gerarchico e fondato sulla supremazia del più forte sul più debole. Ma nel combatterne gli aspetti inaccettabili, ne abbiamo distrutto l’impianto, ritenendo valido esclusivamente il modello di azienda delle agricolture capaci di integrarsi più facilmente nei sistemi agroindustriali.

Il modello salentino è un modello fondato sull’agricoltura di servizi e non sull’agricoltura produttivistica. Dobbiamo allora reinventarlo in forme moderne, cogliendo gli elementi ancora vitali del sistema tradizionale per adattarlo ad una realtà che può avvalersi delle nuove tecnologie e di relazioni sociali paritarie e non più gerarchiche.

Allora nel Salento non dobbiamo fare gli orti come si fanno a Roma o a Milano. In questa terra gli orti già ci sono. Si tratta delle migliaia di fazzoletti di terra che compongono il paesaggio olivicolo. Quello che manca sono le imprese agricole di servizi, le imprese agricole (anche con poca terra) che non fanno agricoltura produttivistica (perché qui non si può fare e non è conveniente fare), ma organizzano servizi alle comunità locali, tra cui quello di “federare” i piccoli appezzamenti, non già in aggregazioni giuridiche farraginose e ingombranti, ma in reti solidali e rispondenti ai reali bisogni delle persone coinvolte.

C’è da affidare una nuova mission ai giovani imprenditori agricoli multifunzionali di questo lembo del nostro Sud: quello di interloquire coi possessori dei piccoli appezzamenti e offrire loro il supporto tecnico e organizzativo per tenere in vita il paesaggio agrario salentino. Ma questa attività di animazione territoriale è una classica attività imprenditoriale, da svolgere in modo economicamente sostenibile, legata alle economie locali, al turismo, alla valorizzazione dei beni ambientali, alle attività culturali e creative.

Queste sono le agricolture civili che possono salvare i beni paesaggistici. Civili perché rimettono al centro l’uomo e le comunità, ricordando a noi stessi che l’agricoltura nasce diecimila anni fa non già per produrre cibo ma per generare comunità stanziali a cui garantire cibo sufficiente al fine di abitare stabilmente territori ospitali.

Questi concetti ho espresso la mattina di lunedi 8 giugno nell’incontro con un gruppo di giovani agricoltori nella masseria didattica “Gli ulivi” del mio amico Giulio Sparascio, presidente nazionale di Turismo Verde. E le stesse cose ho avuto modo di ripetere a Taurisano alla presenza del Vescovo, monsognor Angiuli. Ci vuole un impegno dell’intera comunità nel rimettere al centro il modello sociale originario fondato sull’agricoltura che produce beni relazionali per salvaguardare i beni ambientali.

La foto di apertura, di VHS (Francesco Buccarelli e Alberto Caroppo), richiama il progetto rurale “Abitare i Paduli”

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