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Dove si è sbagliato nel comunicare la crisi climatica

L’analisi condotta dall’Institute for Strategic Dialogue, Isd, mette in luce come le strategie messe in atto dalle maggiori compagnie tecnologiche e dalle organizzazioni dei più disparati media non siano riuscite ad essere sufficientemente credibili, facendo percepire un sistema soverchiato di pubblicità ambientale di facciata. Il rapporto identifica i punti sui quali occorre lavorare per limitare la disinformazione, e l’adozione di questi comportamenti deve venire da quante più realtà possibili

Marcello Ortenzi

Dove si è sbagliato nel comunicare la crisi climatica

Il nuovo rapporto Deny, deceive, delay pubblicato recentemente dall’Institute for strategic dialogue, Isd, e dalla coalizione Climate action against disinformation, Caad, documenta la portata e la diversa natura della disinformazione climatica prima, durante e dopo la ventiseiesima Conferenza delle parti per il cambiamento climatico, tenutasi a Glasgow nel 2021.

Si tratta del rapporto di questo genere più completo mai realizzato, e fornisce 7 raccomandazioni politiche essenziali per impedire alla disinformazione di mettere a repentaglio l’azione climatica futura, a partire dalla COP27 che si terrà in Egitto a novembre.

L’Isd spiega che il rapporto è il risultato di uno sforzo senza precedenti per monitorare e rispondere alla disinformazione climatica.

Le analisi hanno scoperto che le strategie messe in atto dalle compagnie tecnologiche maggiori e dalle organizzazioni dei media sono inefficaci nel combattere la disinformazione virale e i sistemi restano soverchiati dalla pubblicità ambientale di facciata.

Gli analizzatori prescrivono che i governi e le piattaforme dei social media devono apprendere le nuove strategie in atto e comprendere che la disinformazione nel regno climatico ha un crescente incrocio con altri danni, tra cui l’integrità elettorale, la salute pubblica, l’incitamento all’odio e le teorie del complotto.

A questo punto la coalizione Caad raccomanda che “i responsabili politici riconoscano formalmente la minaccia, adottino una definizione universale di disinformazione climatica e limitino le scappatoie per i media tradizionali nella regolamentazione tecnologica, come il Digital services act dell’Ue: tutto questo contribuirà a mitigare il rischio che contenuti falsi o fuorvianti ostacolino i negoziati sul clima e le agende legislative in questo momento critico”.

Il rapporto identifica anche le azioni concrete che dovrebbero essere intraprese dalle Big Tech per migliorare il loro approccio sistematico alla prevenzione della disinformazione climatica: migliorare la trasparenza e l’accesso ai dati per quantificare le tendenze della disinformazione su larga scala; adottare una definizione di disinformazione climatica nelle linee guida della community o nei termini di servizio; limitare la promozione ingannevole dei combustibili fossili nella pubblicità a pagamento e nei contenuti sponsorizzati; applicare o introdurre politiche contro i recidivi che diffondono disinformazione sui loro prodotti e servizi; etichettare meglio i contenuti vecchi o fuorvianti per prevenire il ricircolo di disinformazione.

In apertura, foto di Olio Officina©

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