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I terreni coltivati non riescono a trattenere il carbonio organico

Immagazzinato in un determinato volume di suolo ne rappresenta un importante indice di qualità, oltre ad esprimere la capacità nel sequestrare CO2 dall’atmosfera. La tecnica di fertilizzazione artificiale ha limitato quella organica, rendendo oggi più semplice la dispersione dei principali elementi nutritivi per le piante. Ad oggi la simulazione dell’antico sistema delle concimaie risulta la tecnica migliore, capace di controllare le emissioni maleodoranti e stabilizzare le biomasse prima del loro utilizzo

Olio Officina

I terreni coltivati non riescono a trattenere il carbonio organico

Si è tenuto lunedì 30 maggio, presso la Sala 20 Maggio 2012 dell’Assessorato Agricoltura, Caccia e Pesca della Regione Emilia-Romagna, il convegno Le nuove sfide dell’agricoltura: lo stoccaggio del carbonio nei suoli.

La giornata è stato un importante momento di riflessione per fare il punto della attuale situazione legata alla salute dei terreni agricoli in Italia, del ruolo sempre più importante che hanno nel contenimento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera e di quanto si sta facendo per mantenere il carbonio organico presente.

Il carbonio organico, infatti, è una componente della materia organica del suolo costituita essenzialmente da residui vegetali e animali; questi vengono interessati da processi di decomposizione, fermentazione e trasformazione operati dagli organismi viventi presenti nel suolo. Immagazzinato in un determinato volume di suolo oltre a rappresentare un importante indice di qualità, ne esprime anche la capacità di sequestrare CO2 dall’atmosfera.

Reintegrare la fertilità del suolo e i suoi microrganismi organici

I relatori presenti hanno sottolineato il fatto che dagli anni Sessanta del Novecento, sia in Europa che in Italia, è iniziato un lento declino della qualità del suolo agricolo data dall’introduzione della modalità di “fertilizzazione artificiale del suolo” mediante concimazione chimica, che ha limitato progressivamente quella organica, portando a un degrado della stabilità di struttura del suolo evidenziato oggi da un calo consistente del contenuto in carbonio organico e dalla facile dispersione dei principali elementi nutritivi per le piante.

La Comunità Europea nello stilare la strategia Farm to Fork per un sistema agroalimentare equo, salutare e rispettoso dell’ambiente, sollecita una consistente riduzione di pesticidi (50%), fertilizzati chimici (20%) e sostanze antimicrobiche (50%) entro il 2030 e, nel contempo, il contenimento almeno del 50% delle perdite dei nutrienti, ed in particolare di carbonio organico.

Reintegrare la fertilità del suolo significa prioritariamente ricostituirne la struttura attraverso l’applicazione di buone pratiche agricole e l’apporto sistematico e razionale di materiali organici disponibili per l’attività dei microrganismi.

Ad oggi alcuni strumenti utilizzati non risultano idonei ma anzi dannosi

I presenti hanno inoltre sottolineato il fatto che il suolo, essendo una materia viva e naturale, necessita di materiale organico idoneo e tempi lunghi di sedimentazione delle sostanze.

In certi casi molti si utilizzano strumenti che inutili o nocivi e già in previsione dell’applicazione della nuova Pac si stanno attivando una serie di effetti speculativi con l’immissione al suolo di materiali che per il fatto di contenere carbonio vengono camuffati come ammendanti e fertilizzanti.

È il caso del “biochar”, alla lettera “carbone biologico” (il cui utilizzo come ammendate in agricoltura è stato regolato con modifica dell’allegato 2 del D.lgs 75/2010) ma essendo un materiale ottenuto per pirolisi di biomassa, rappresenta uno strumento poco fruibile dai microrganismi con il rischio di venire progressivamente accumulato nel suolo come inerte, modificandone le caratteristiche fisiche.

Frequenti anche le criticità dovute all’utilizzo come fertilizzanti in agricoltura di fanghi di depurazione, causa la possibile presenza di composti organici nocivi quali inquinanti Organici Persistenti, POPs, interferenti Endocrini, sostanze farmaceutiche, droghe d’abuso, metalli pesanti.

L’attenzione va invece posta sugli ammendamenti organici come letame, compost e liquami animali, per la loro ricchezza in materia organica, la cui frazione stabile contribuisce a costituire l’humus, che a sua volta migliora le caratteristiche del suolo.

Come migliorare la salute dei terreni agricoli e il naturale sequestro di carbonio

In conclusione, nella già citata strategia comunitaria, gli allevamenti zootecnici ed in particolare la gestione dei letami e liquami, vengono considerati responsabili di almeno il 20% dell’emissione di gas climalteranti, a cui si aggiunga che l’Italia è tra i Paesi della comunità in infrazione nell’applicazione della Direttiva Nitrati.

Si tratta quindi di investire in tecnologie non inquinanti in grado di simulare l’antico sistema delle concimaie, quali l’utilizzo di impianti di digestione anaerobica in grado di trattare liquami zootecnici, residui organici agroindustriali e frazioni organiche da raccolta differenziata di rifiuti urbani.

L’opportunità di tale tecnologia non sta solo nel recupero di energia rinnovabile come il biogas, ma anche nel controllare le emissioni maleodoranti e stabilizzare le biomasse prima del loro utilizzo agronomico, rispondendo agli indirizzi di riduzione dell’inquinamento atmosferico da gas serra, di cui il metano è uno dei principali responsabili.

Il regolamento CE n. 1774/2002 individua nella digestione anaerobica uno dei processi biologici che consentono il riciclo dei sottoprodotti di origine animale con la produzione di digestato da apportare al suolo come fertilizzate o ammendante.

Il convegno è stato organizzato in collaborazione tra l’Accademia Nazionale di Agricoltura e l’Assessorato Agricoltura, Caccia e Pesca della Regione Emilia-Romagna. Moderato dal Dott. Valtiero Mazzotti, Direttore Generale Agricoltura, Caccia e Pesca Regione Emilia-Romagna e dal Dott. Carlo Cacciamani, Direttore dell’Agenzia Nazionale per la Meteorologia e la Climatologia “ItaliaMeteo” ha visto la presenza di numerosi studiosi e addetti ai lavori del settore tra cui il Prof. Riccardo Valentini, già nel panel vincitore del “Premio Nobel per la Pace” nel 2007 per gli studi sui cambiamenti climatici, Giuseppe Piacentini,Responsabile del Nucleo di Polizia Forestale del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, il Dott. Giuseppe Corti, della Direzione del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria del Mipaaf. Le conclusioni sono state tenute dal Prof. Giorgio Cantelli Forti, Presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura.

In apertura, foto di Olio Officina©

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