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Il mito dell’ecologismo

Appunti per una breve storia dei movimenti ecologisti. Dalle prime iniziative internazionali nel Novecento, tra primo e secondo dopoguerra, alla nascita dei Ministeri dell’Ambiente e dei partiti dei Verdi. Siamo arrivati tardi: l’ecologismo italiano è molto più recente rispetto ad altri Paesi. Nel nostro panorama politico la grande novità è rappresentata da un primo embrione di ambientalisti di ispirazione liberaldemocratica sorto nel raggruppamento Più Europa

Alfonso Pascale

Il mito dell’ecologismo

I primi gruppi per la conservazione e la protezione della natura, espressione di una embrionale presa di coscienza sui rischi insiti nel processo di sviluppo economico e industriale, sorsero nella seconda metà dell’Ottocento. Tali esperienze si sono naturalmente sviluppate con maggiore celerità nei paesi più precocemente coinvolti dal processo di industrializzazione: in Inghilterra il gruppo ambientalista più antico tra quelli ancora esistenti, la “Commons, Open Spaces and Footpaths Preservation Society”, fu fondato nel 1865, e nel 1890 contava più di tremila membri. Negli anni successivi organizzazioni analoghe sorsero in Germania, Francia, Stati Uniti, Olanda e Svizzera.

Fin dai suoi inizi, il pensiero dei movimenti ecologisti differì sostanzialmente da ciò che costituiva la principale critica organica allo sviluppo capitalistico, il pensiero marxista. I movimenti ecologisti mettevano in discussione l’idea stessa di progresso e la concezione ottimista e positiva della storia; concezione comune sia ai sostenitori dello sviluppo capitalistico che ai suoi critici marxisti. Questa relativa ma crescente autonomia tanto dalle ideologie liberali che da quelle marxiste ha segnato la maturazione dei movimenti ecologisti.

Le prime iniziative internazionali

Dopo la fase pionieristica, negli anni a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, nacquero le associazioni − come il “Sierra Club” americano, il “National Trust” britannico, i gruppi olandesi e svedesi – che dettero vita ad alcune iniziative su scala internazionale, come la costituzione nel 1872 del primo parco naturale della storia, quello di Yellowstone, negli Stati Uniti, o il primo accordo per la protezione delle foche nel mare di Bering, firmato a Parigi nel 1883. Sempre a Parigi ebbe luogo nel 1895 una Convenzione internazionale sulla tutela degli uccelli benefici per l’agricoltura e nel 1909 un Congresso internazionale per la salvaguardia del paesaggio. Questa serie di iniziative documenta l’area di sensibilità e d’interesse delle prime associazioni ambientaliste: la difesa delle bellezze naturali, la protezione delle specie animali minacciate di estinzione, la creazione di aree protette. Negli stessi anni lo sviluppo delle Società di storia naturale e dei Touring Club segnalava le forme disparate che assumeva l’interesse per una dimensione della vita umana, per secoli prerogativa di artisti e comunque di gruppi limitati della società, che solo ora cominciava a coinvolgere strati e classi più ampi.

Il primo Dopoguerra

I totalitarismi del Novecento non tolleravano i movimenti ambientalisti. Dopo il primo congresso internazionale sulla protezione della natura (Parigi 1923) e l’istituzione a Bruxelles di un Bureau International pour la Protection de la Nature (1934) si dovette attendere la fine del secondo conflitto mondiale per fondare nel 1948, sotto l’egida dell’UNESCO, l’UICN (Union International pour la Conservation de la Nature).
Negli Stati Uniti si ebbe, invece, una continuità nell’impegno ecologista. Soprattutto la grande depressione seguita alla crisi del 1929 e le misure decise dal governo statunitense per farvi fronte, rappresentarono per gli ambientalisti americani l’occasione di un impegno di tipo nuovo, che per certi versi anticipa la dimensione dei movimenti del dopoguerra. L’amministrazione Roosevelt adottò un programma di ricostruzione ecologica, culminato nel Wildlife Restoration Act del 1937, col quale intendeva riparare a una politica d’indifferenza verso lo stato di conservazione della natura, e in particolare delle acque e delle foreste, che era stata una causa non secondaria dei disastrosi effetti assunti da fenomeni naturali come la siccità. Il New Deal offrì dunque un’occasione d’intervento per le associazioni ambientaliste. Ma la crisi provocò anche una radicalizzazione delle posizioni ambientaliste: nel 1938 l’”American Committee for International Wildlife Protection” giunse a mettere sotto accusa la totalità della civiltà tecnologica, riproponendo come inconciliabile l’opposizione tra natura e cultura. Questi due diversi sviluppi dell’ambientalismo americano degli anni Trenta prefiguravano le differenti opzioni che si presenteranno dentro i movimenti ecologisti degli anni più recenti.

Il secondo Dopoguerra

La nuova fase dal dopoguerra fino ai nostri giorni è stata contrassegnata da una graduale diffusione dei movimenti e da un allargamento della loro area di interessi. Alle tematiche tradizionali se ne sono intrecciate di nuove. Alla salvaguardia dell’ambiente e alla tutela del territorio si è aggiunta la difesa dei centri urbani dall’invasione delle automobili e la lotta contro la speculazione immobiliare che porta all’edificazione selvaggia delle periferie urbane; alla mobilitazione in difesa di habitat naturali e di specie animali minacciate di estinzione, si è unita la lotta contro l’inquinamento industriale, i lavori e i consumi nocivi. La stessa tradizione escursionistica, di scoperta e valorizzazione delle bellezze naturali, si è scontrata con la crescita distorta del turismo di massa. Questo ampio spettro di attività ha contribuito a mutare gradualmente i connotati delle tradizionali associazioni ambientaliste, fino ad allora rinchiuse, nella loro maggioranza, in un ambito naturalista e conservazionista. A sostenere ideologicamente tale evoluzione contribuirono pensatori autorevoli – come, ad esempio, Hans Jonas, un allievo di Heidegger – che elaborarono un pensiero morale fondato sull’etica della responsabilità. Fiorirono così nuove associazioni: nel 1961 a Zurigo nacque il WWF – la cui sigla sta oggi per World Wide Fund for Nature (Fondo Mondiale per la Natura). Nel 1971, negli Stati Uniti, sorse il movimento di Greenpeace.

Ministeri dell’Ambiente e partiti dei Verdi

Movimenti e campagne hanno dato vita, un po’ ovunque, anche a istituzioni e partiti. In Germania, a Monaco, venne istituito nel 1970 il primo ministero dell’Ambiente in un territorio federale. E sempre in Germania venne creata nel 1972 l’Associazione federale di iniziativa civile per la protezione dell’ambiente. In questo paese i Verdi hanno assunto un ruolo importante nello schieramento politico e nel 1983 sono entrati in Parlamento.

La mobilitazione ecologista in Germania ha attraversato un ampio spettro di tematiche, da quelle tipiche delle battaglie ambientaliste, all’opposizione alle spese militari, ai diritti delle donne e degli omosessuali, alla sperimentazione di modelli di vita comunitaria. La disomogeneità e le divisioni interne al movimento non si sono affatto cancellate, cristallizzandosi anzi in una contrapposizione tra ”realisti”, favorevoli a sviluppare strategie politiche più aperte e flessibili, e ”fondamentalisti”, legati all’intransigente riferimento ai più radicali valori ecologisti.

In Gran Bretagna l’associazionismo ecologico ha una tradizione antica e una forte capacità d’intervento sulle istituzioni; tra le sue diverse ispirazioni, un ruolo importante ha quella ”animalista”, di difesa delle condizioni di vita e dei diritti degli animali. La prevalenza di un ecologismo moderato ha prodotto un fatto significativo: la Gran Bretagna è stata il primo paese occidentale a dotarsi, nel 1970, di uno specifico ministero per l’Ambiente. Nel 1973 anche in quel paese venne fondato il Partito dell’ecologia destinato a movimentare lo scenario politico nazionale. E successivamente analoghi movimenti e partiti si sono venuti formando nei Paesi Bassi e scandinavi così come in Giappone.

A partire dagli anni Ottanta anche nei paesi ex coloniali, come India, Brasile e Kenya, sono sorti importanti movimenti ambientalisti. In Africa e in India a prendere l’iniziativa sono state le donne guidate rispettivamente da Wangari Mathai – insignita del premio Nobel per la pace nel 2004 – e Vandana Shiva. In Brasile, un leader molto popolare del movimento ambientalista, Chico Mendes, è stato assassinato nel 1988.

Nell’agosto 2018, una ragazza di 15 anni, Greta Thunberg, si è seduta davanti al Parlamento svedese per tre settimane per protestare contro la mancanza di azioni di contrasto alla crisi climatica, pubblicizzando quello che stava facendo su Instagtam e Twitter. La notizia della sua iniziativa di protesta è diventata virale. E’ nato così il movimento Friday For Future. Gli hashtag #FridaysForFuture e #Climatestrike si sono diffusi e molti studenti e adulti hanno cominciato a protestare fuori dai loro parlamenti e dai municipi locali di tutto il mondo. Si presume che questo movimento influenzerà notevolmente le modalità con cui i cittadini sensibilizzeranno le istituzioni sui temi ambientali.

Il partito dei Verdi Europei

Raggruppa tutti i partiti ambientalisti ed ecologisti europei. E, prima delle elezioni europee del 2019, questo partito politico sedeva al Parlamento Europeo assieme a un altro, l’Alleanza Libera Europea, nel gruppo parlamentare Verdi Europei – Alleanza Libera Europea.

I Verdi Europei sono impegnati sui temi della responsabilità ambientale, la libertà individuale, la democrazia inclusiva, la giustizia sociale, l’uguaglianza di genere, lo sviluppo sostenibile e la non violenza, ma da quando si costituirono come federazione di partiti ambientalisti negli anni Settanta fino alla fondazione del partito vero e proprio nel 2004, le posizioni dei Verdi nei confronti dell’Unione Europea sono cambiate in modo radicale: all’inizio i partiti dei Verdi Europei erano generalmente contrari all’integrazione politica ed economica europea, perché si pensava potesse avere effetti negativi sull’ambiente, e chiedevano la formazione di un’Europa alternativa, neutrale e decentralizzata. In seguito si sono spostati verso posizioni sempre più favorevoli, fino a diventare dei sostenitori del federalismo europeo.

Oggi stanno diventando una delle forze più rilevanti e in crescita in diversi paesi europei, soprattutto al nord, in Germania e nei paesi scandinavi: una delle ragioni principali è che a differenza dei socialisti e dei popolari non hanno rincorso i nazionalisti sui temi dell’immigrazione o dell’integrazione europea, ma hanno proposto una strada alternativa, moderata e liberale in economia, che ha portato risultati notevoli alle elezioni regionali in Baviera e in Assia e a quelle nazionali in Lussemburgo.

Alle ultime elezioni europee, come Spitzenkandidaten per la presidenza della Commissione Europea i Verdi hanno nominato la tedesca Ska (diminutivo di Franziska) Keller e l’olandese Bas Eickhout.

Il risultato elettorale europeo per i Verdi è stato molto positivo. In Germania essi sono il secondo partito, mentre calano i democristiani e crollano i socialdemocratici. In Francia, la lista Europe-Ecologie le Verts, guidata da Yannick Jadot, è il terzo partito con il 12,8% dei voti. Il boom dei Verdi e dell’ALDE (Alleanza Liberali e Democratici Europei) ha reso i due partiti indispensabili alla formazione di una maggioranza all’Europarlamento, dopo la fine di un duopolio Popolari-Socialisti rimasto in piedi fin dal 1979.

La tradizione ambientalista in Italia

L’ecologismo italiano è molto più recente rispetto ad altri paesi. Una tappa importante è la fondazione, che risale appena al 1955, di Italia Nostra. Siglarono l’atto costitutivo Umberto Zanotti Bianco, Pietro Paolo Trompeo, Giorgio Bassani, Desideria Pasolini dall’Onda, Elena Croce, Luigi Magnani e Hubert Howard. A questa associazione si devono importanti battaglie contro la speculazione edilizia e l’abbattimento di un numero considerevole di beni culturali e paesaggistici o la loro trasformazione in ville o alberghi.

Nel 1966 sono state fondate la prima sezione italiana del Wwf e la Lipu, la Lega italiana per la protezione degli uccelli. Legambiente nasce nel 1980, quando nell’ambito dell’Arci – associazione di sinistra che negli anni Cinquanta e Sessanta gestiva le “case del popolo” – viene istituita la Lega per l’Ambiente.

Bisogna attendere il 1986 perché il Parlamento istituisca con una legge il ministero dell’Ambiente sull’onda della forte emozione suscitata dal disastro avvenuto a Chernobyl il 26 aprile di quell’anno. La reazione dell’opinione pubblica spinge i movimenti ambientalisti ad assumere un ruolo importante. Quella contro il nucleare è la madre di tutte le battaglie degli ecologisti in Italia. Il 10 maggio 1986 più di 200mila persone partecipano a Roma a una grande manifestazione antinuclearista promossa da un cartello di associazioni ambientaliste guidate da Legambiente, e in pochi mesi vengono raccolte oltre un milione di firme per il referendum per l’abolizione del nucleare. L’8 novembre 1987 circa 30 milioni di italiani si recano alle urne e i tre quesiti riguardanti il nucleare vengono accettati con una media di quasi l’80% dei voti espressi.

Quel successo, tuttavia, non si è mai trasformato in espressione politica come in altri paesi europei. In Italia, il partito che ha qualificato se stesso come proiezione politica dell’ambientalismo è il partito dei Verdi. Ma al di là di Alexander Langer, primo presidente dei Verdi Europei, il partito italiano dei Verdi non ha espresso personalità di rilievo. Più che dar voce alle preoccupazioni degli italiani per l’ecologia, ha costituito una formazione politica che comprendeva qualche isolato ambientalista insieme a moltissimi altri per i quali l’ambiente era assai più un mezzo che un fine. Un partito dove negli anni Novanta hanno trovato casa gruppettari, ex militanti di Democrazia proletaria e altre amenità politiche in cerca di nuova collocazione, pseudorivoluzionari affascinati dai meccanismi del potere e della comunicazione in cerca di una scorciatoia verso posizioni di responsabilità.

“Per loro – come ha osservato icasticamente Francesca Santolini (in “Passione verde. La sfida ecologista alla politica”, Marsilio 2010) – un partitino dell’1% non è una sconfitta ma un habitat perfetto. Molti di essi si sono ritrovati a essere ecologisti per convenienza e non per vocazione, limitandosi a dare una leggera mano di vernice verde su un solidissimo sfondo rosso. Ma il verde ha cominciato ben presto a scrostarsi, e la scelta di fondo che aveva marcato tanti gruppettari della sinistra radicale diventati verdi non ha tardato a manifestarsi. Agli occhi dell’opinione pubblica, ambientalismo ed estremismo irresponsabile sono diventati due facce della stessa medaglia”.

Francesco Merlo (in “Faq Italia”, Bompiani, 2009), dopo essere arrivato provocatoriamente a definire ambientalisti e costruttori “compari” nel rendere l’Italia un ”brutto paese”, sintetizza in due semplici frasi la distanza fra ciò che dovrebbe essere e ciò che è. “L’ambientalismo – scrive – è un investimento economico e non una sviolinata alla natura, un regalo al paesaggio”. Ma nell’Italia di oggi “l’ecologia è considerata un bene di lusso, roba da ricchi per grandi imprese, per le città eleganti che solo il capitalismo può costruire”.

Eppure, se si guarda in Europa, i temi ambientali nella politica possono essere, e sono, un’esperienza effettiva che produce buone pratiche amministrative, vantaggi concreti per i cittadini, opportunità economiche. C’è credibilità, efficienza delle soluzioni, pragmatismo delle politiche. Ci sono qualità che incontrano fiducia da parte di elettori attenti e responsabili, ma anche di imprenditori. Tutto questo in Italia non è potuto avvenire perché i “rosso-verdi” hanno fatto prevalere il “rosso” nella loro iniziativa e il PD non ha mai assunto l’opzione ecologista come proprio tratto identitario irrinunciabile, delegando di fatto la trattazione delle tematiche ambientali alla sinistra radicale.

Le elezioni europee in Italia

Il 26 maggio scorso, la forza politica dichiaratamente ecologista, Europa Verde, ha raggiunto solo il 2,3 per cento dei voti, non superando la soglia di sbarramento per entrare nel Parlamento Europeo. In realtà, il potenziale c’era e c’è come dimostra la partecipazione entusiasta di tante persone alla mobilitazione per il clima, lanciata da Greta Thunberg. Ma i voti dei “soliti” Verdi non bastano più, soprattutto non quelli dei Verdi tradizionali, tutti concentrati sulla lotta a infrastrutture ampiamente volute dalla maggioranza dei cittadini, come la Tav, o sulla salvaguardia dell’ambiente come unico obiettivo programmatico di governo.

Nel panorama politico italiano la novità è rappresentata da un primo embrione di ambientalisti di ispirazione liberaldemocratica sorto nel raggruppamento Più Europa. Il 3 gennaio 2019 questo partito ha lanciato il documento “Tecnologico e liberale: manifesto per un nuovo ambientalismo europeo” che riecheggia l’impostazione dei Verdi europei. Anche Più Europa, alle ultime elezioni europee, si è fermata sotto la soglia di sbarramento. Ma il manifesto lanciato qualche mese fa – se adeguatamente elaborato in vero e proprio programma di governo – permette a questa forza politica di proiettarsi come polo ecologista del paese al fine di offrire alle politiche ambientali l’attenzione che meritano per il ruolo fondamentale che esercitano nei confronti del nostro futuro e, soprattutto, per quanto possono dire e dare già oggi, qui, ora.

In apertura, foto di Giorgio Sorcinelli

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