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Il terreno agrario è qualcosa di vivo

Punto di riferimento internazionale delle conoscenze in materia di chimica organica è stato, nell’Ottocento, Marcelin Berthelot, il quale ci fece comprendere l’importanza dei microrganismi del suolo. Nello stesso secolo, e in quello successivo, il pedologo Milton F. Whitney tracciò a sua volta le linee fondamentali di quella che si potrebbe chiamare anatomia e fisiologia del suolo. Da lì in avanti emerse nettamente l’idea che il suolo sia da ritenere a tutti gli effetti materia vivente. Eppure oggi qualcuno, ignorando evidentemente la storia, trascura queste evidenze scientifiche già acquisite da lungo tempo

Alfonso Pascale

Il terreno agrario è qualcosa di vivo

L’idea che il suolo fosse un organismo vivente ha accompagnato, fin dalle origini, il complesso fenomeno dell’intensificazione produttiva in agricoltura. Soprattutto se guardiamo al nostro Paese e alle sue molteplici specificità territoriali.

“Un’Italia agricola non esiste ancora – scrivevano i membri della Giunta per l’Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola in Italia (Inchiesta Jacini, 1877-1885) – ma abbiamo parecchie Italie agricole […]. Fissare i caratteri dell’agricoltura italiana non è cosa agevole. È persino discutibile che si possa ragionevolmente parlare di agricoltura italiana, data la grande differenza di condizioni naturali e sociali, di tradizioni e di sistemi che offre il nostro Paese”.

Studiò a fondo il fenomeno dell’intensificazione del regime agricolo, tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del secolo successivo, Italo Giglioli, professore di Chimica agraria della Scuola superiore di agricoltura di Portici, direttore della stessa Scuola e direttore della Reale Stazione chimico-agraria sperimentale di Roma e, successivamente, professore di Chimica agraria della Scuola superiore di agricoltura dell’Università di Pisa. Il suo approccio scientifico non era solo agronomico, ma anche economico e sociologico e soprattutto con una visione europea dei problemi. Produsse un’opera di grande respiro, Malessere agrario e alimentare italiano (1903), nella quale esplorò la situazione dell’agricoltura e delle scienze agrarie nel nostro Paese, mettendola a confronto con quella di altri Paesi europei, nonché di Stati Uniti, Cina e Giappone.

“La bassa produzione di tutte le colture in Italia – scrive Giglioli – proviene principalmente dalla deficienza di acqua nel terreno. La quale deficienza non solo o non tanto dipende dalla quantità di acqua piovana che cade nei periodi più utili per la vegetazione, ma dipende ancora e più ancora dalla proporzione che l’uomo ha saputo raccogliere e condurre nel suolo. Nella vita delle piante come in quella di tutti i viventi, condizioni fondamentalmente necessarie, senza le quali tutte le altre condizioni diventano inattive, sono l’acqua e l’ossigeno. Le piante superiori, quelle che costituiscono le nostre ordinarie colture, attingono acqua mediante le radici; ma perché le radici bene sviluppino e profondamente possano scendere nelle più uliginose latebre del suolo, bisogna che l’ossigeno, l’alito vitale, come avrebbe detto Virgilio, scenda profondamente nel suolo. Dove nel terreno l’aria è troppo povera di ossigeno non arrivano radici, obbligate a limitarsi negli strati aridi superficiali, i più sfavorevoli (a cagione dell’accumularsi dei sali solubili) a quei processi osmotici, attraverso le membrane dei peli assorbenti dai quali dipende tutta l’alimentazione azotata e minerale delle piante. Dove, nel terreno l’aria è troppo povera di ossigeno, non sono attivi i microorganismi nitrificanti e prevalgono i denitrificanti che disperdono l’azoto utile e quelli che riducono i solfati benefici in solfuri malefici”.

Punto di riferimento internazionale delle conoscenze in materia di chimica organica applicate alla biologia del suolo, era, in quel periodo, Marcelin Berthelot (1827-1907) professore al Collège de France e senatore a vita, che era riuscito a sfatare la convinzione dell’epoca che i composti organici potessero essere sintetizzati solo da organismi viventi grazie ad una misteriosa forza vitale. Gli studi di sintesi organica lo portarono ad interessarsi di termochimica. E applicando i criteri termochimici agli esseri viventi, scoprì che la produzione di calore deriva dalle sostanze alimentari. L’ultima grande scoperta di Berthelot fu che il terreno si arricchisce in azoto dall’atmosfera ad opera di microrganismi del suolo. Sua è l’espressione: “Il terreno agrario è qualcosa di vivo”. Una definizione scientifica dimostrata da numerose indagini, partite dagli studi pioneristici di Carlo Cattaneo sul suolo lombardo.

Scrive il grande agronomo, economista, sociologo e storico nel considerare il problema del risanamento del suolo: “Ogni campo riceve l’acqua e la passa ad altro campo; l’acqua non viene innalzata, ma bensì trasferita sopra qualche terra più lontana e più bassa; i campi palustri sfogano le loro acque morte e ne ricevono dai superiori altre vive e salubri”.

Vittorio Peglion, professore di Biologia agraria e patologia vegetale presso l’Università di Bologna chiosa questo brano del Cattaneo, scrivendo: “L’acqua appare l’elemento animatore di questo complesso sistema che, all’infuori da ogni configurazione convenzionale, deve in realtà considerarsi alla stregua di un vero e proprio organismo vivente”.

Come tale fu prospettato da uno dei più eminenti pedologi, Milton F. Whitney (1860 – 1927), primo capo della Divisione del Suolo agricolo del Dipartimento Agricoltura degli Stati Uniti, che tracciò le linee fondamentali di quelle che si potrebbero chiamare l’anatomia e la fisiologia del suolo.

Dunque, se si vanno ad analizzare gli studi su fertirrigazione, lavori del terreno, nutrizione delle piante, uso dei prodotti chimici di sintesi, coltura siderale promossa e diffusa dall’agronomo Stanislao Solari, metodi di coltivazione (messi a punto da grandi cultori di scienze agronomiche come Annibale Certani, Pasquale Visocchi, Giuseppe De Vincenzi, Castracane degli Antelminelli), miglioramento organico delle piante coltivate (promosso da sperimentatori come Francesco Todaro, Nazareno Strampelli, Ottavio Munerati, Mario Bresaola), lotta contro la siccità (condotta da studiosi come Emanuele de Cillis e Celso Ulpiani e sperimentatori come Enrico Pantanelli, Tommasi, Sernagiotto, De Dominicis, Marinpietri, Del Pelo Pardi), potremo osservare che si parte sempre dalla medesima consapevolezza: il suolo è materia vivente.

Non era solo un’intuizione della cultura contadina che la terra in determinate condizioni “si stanca”. Non era presente solo nelle idee filosofiche del mondo antico. Tutti gli scienziati, ricercatori e sperimentatori, che hanno studiato tra l’Ottocento e il Novecento le tecniche di coltivazione, conservazione e intensificazione produttiva del suolo, erano profondamente convinti che il terreno agrario fosse qualcosa di vivo.

La foto di apertura è di Olio Officina

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