Gea Terra

La perfezione è un concetto difficile da percepire quando si tratta di giardinaggio

Da una parte qualcosa di completamente folle nelle scelte, ma sempre alla ricerca della perfezione. Dall'altra, un ordine zen, talmente rigoroso, da non intravedere mai disordine. Nulla fuori posto. Di tutto molto poco, ma ordinato. Poi un nuovo corso, con una rivoluzione che va di pari passo fra arte e giardinaggio. Quale perfezione perseguire? I sensi. L’olfatto, la vista, il gusto. “L'imperfezione è perfezione nascosta”

Stefania Morgante

La perfezione è un concetto difficile da percepire quando si tratta di giardinaggio

La perfezione è un concetto difficile da percepire quando si tratta di giardinaggio. Curo l’orto di mia nonna, dopo che mio padre lo ha rivoluzionato e reso quasi perfetto.

Mio padre è morto e chi lo segue ora sono io. E applico il concetto di perfezione così come lo applico nell’arte.

In cosa consiste? Ebbene, vi stupirò. Il giardino/orto di mia nonna punta a una perfezione tutta particolare, la mia.

Mio padre aveva sostituito tutta la foresta di fiori che mia nonna aveva accumulato e aveva disposto delle file di alberi da frutto. Alla base nulla, solo erba. Erba tagliata con cura. Perfino gli alberi da frutto erano tutti alla stessa altezza.

C’era un ordine zen nel giardino di mio padre. Un ordine talmente rigoroso, che da un’estate all’altra non si vedeva mai disordine. Erbacce, fiori, piante aromatiche. Nulla fuori posto. Di tutto molto poco, ma ordinato.

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“La perfezione si ottiene, non quando non c’è più nulla da aggiungere, ma quando non c’è più niente da togliere”.

Antoine de Saint-Exupéry

Esattamente questo faceva mio padre.

Sottraeva, semplificava.

Il suo giardino non attendeva, non aveva bisogno di alcun tocco ulteriore.

Proprio come un’opera d’arte, le piante crescevano con ordine, lentamente, dando i frutti che ci si aspettava, stupendo ogni visitatore per la semplicità con cui si presentava.

Cosa era perfetto in quel giardino? La distanza fra gli alberi, le uniche due aiuole dedicate all’orto. I pali tutti uguali per sostenere i pomodori, le aiuole concentriche senza erbe sotto gli alberi, i rami contenuti nello stesso raggio d’azione.

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“Ma la perfezione, se è facile da ammirare, è difficile da amare”.

Richard Yates

Confesso che amavo molto di più l’elogio dell’imperfezione che era il giardino precedente, quello di mia nonna.

Lei era una donna rigorosa, asburgica, con una passione spasmodica per il giardinaggio. Eppure completamente folle nelle scelte.

Tra una pianta di patate e una fila di carote, lei piantava una rosa, dei tagete e qualche fragola.

Incrociava le rose fra di loro, innestava, potava.

La vedevo di rado durante l’estate, perlomeno dentro casa.

Perché passava tutto il suo tempo in giardino.

Cercava anche lei la perfezione: la rosa più profumata, la patata più dolce, l’uva più zuccherina.

Sempre insoddisfatta, sempre tesa a una perfezione irraggiungibile.

Mia nonna come mio padre, coltivavano quel giardino e quell’orto con la stessa fatica, la stessa dedizione, la stessa attesa di risultati.

Fieri di mostrare ai passanti la bellezza coltivata. Con quell’aria noncurante che credo di intuire fosse solo apparenza.

Ci tenevano eccome ai commenti dei passanti.

Mio padre specializzato nei frutti, mia nonna in ortaggi e fiori.

Quando mia nonna era ancora in vita, mio padre non ha mai toccato una pianta. Era un tacito sottolineare i confini.

Il regno di mia nonna era chiuso a chiave. Nessuno poteva usare una cesoia.

I fiori per la casa li recideva lei, così come la scelta delle verdure per pranzo e cena si discutevano con lei, nessuno poteva tagliare o cogliere.

L’unica che trasgrediva ero io. Sottraevo carote, staccavo cetrioli, raccoglievo semi.

Ma lo facevo sotto la sua direzione o durante la sua distrazione.

Mai ho preso iniziative da indurla a castigarmi.

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“Tutto è perfetto nell’universo, anche il tuo desiderio di migliorarlo”.

Wayne Dyer

Morta la nonna, mio padre prese in carico la terra.

Quel piccolissimo fazzoletto vecchio di oltre cento anni.

E tutto si trasformò a sua immagine.

Mio padre era meno legato alle fasi della luna, alla follia degli intrecci, al contenzioso fra carote e gigli.

La sua matematica concezione dello spazio, vedeva tutto quello come caos, come anarchia, come disordine.

Mi dispiacque vedere smontare tutto quel giardino pieno di segreti, di farfalle mimetiche, di verdure commestibili e velenose.

Rispettò le sue rose e le sue ortensie, che tuttora resistono.

Ma nulla più.

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“Forse sono proprio le nostre imperfezioni a renderci perfetti l’uno per l’altro”.

Jane Austen

Sei anni fa passa a me lo scettro.

Avevo esperienza col mio giardino precedente, che procedeva come le mie opere d’arte: con fatica, con dubbio, con costanti cadute.

Vivevo in un luogo dove ogni cosa fioriva tutto l’anno, dove il pensiero fisso era annaffiare e riparare dal sole.

Qui tutto diverso.

Le fragole piantate da decenni quasi morte, l’erba tagliata perfettamente, gli alberi mastodontici.

Come ricordavo per mia nonna, i vicini pronti a dare consigli sulla gestione. A mio padre non fu mai dato consiglio, ma si sa, una donna da sola chissà che caos può produrre.

Vedevo in ciò che aveva realizzato mio padre alcune cose davvero buone, così come in quelle di mia nonna.

Il primo atto che ho messo in pratica è stato piantare una betulla dopo un mese dalla morte di mio padre.

Dalla finestra dell’ospedale avevo assistito alle danze notturne di quei tronchi bianchi.

Molti anni prima in una delle nostre passeggiate, parlammo insieme della bellezza dei tronchi di betulla.

Quell’albero era la perfezione per commemorarlo.

A distanza di sei anni è una betulla bonsai, la poto affinché rimanga bassa e armoniosa ed è uno dei punti luminosi a Natale.

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“Penso che l’imperfezione sia sottovalutata”.

Helena Bonham Carter

Con me è iniziata una rivoluzione che va di pari passo fra arte e giardinaggio.

Attendo.

Se piove attendo, se fa caldo attendo.

Se non ho idee artistiche attendo.

Studio le piante, studio arte.

Se le erbe infestanti sono un fastidio per gli occhi, ebbene non me ne curo. Taglio quando ho il tempo. E la voglia. Contro qualsiasi buonsenso.

Il giardino deve essere un momento godibile e rilassante per me, non una gara col vicino.

Gli alberi sono rimasti. Il ciliegio di mio padre è morto, ma non ho estirpato il tronco. Ho piantato accanto un altro ciliegio e il vecchio tronco è un sedile per sostare.

È perfetto? No, ma ha una storia.

E le storie, si sa, specie quelle personali, a seconda del punto di vista, possono essere perfette o imperfette. Per me questa è perfetta, anche se all’estraneo può sembrare assurda.

Ho teso un telo per l’orto, così che le infestanti non uccidano le piante. Come avrebbe fatto mio padre, come avrebbe detestato mia nonna.

Perfetto? Non direi. Le infestanti durante la pandemia hanno preso spazio ugualmente.

Ma in compenso ho ridato vita alle fragole, che adesso proprio loro sono infestanti.

Non sono aiuole perfette, ma la perfezione sta nel passeggiare e mangiarne i frutti.

Ho fatto talee delle ortensie della nonna, e non ho seguito uno schema geometrico. C’è la follia di mia nonna, negli spazi che sto occupando.

Ho dato il via a un acero giapponese, alle peonie, al glicine e sto coltivando la passione di mia nonna: rose toscane e francesi.

Ovunque, senza logica.

Quale perfezione perseguo? I sensi. L’olfatto, la vista, il gusto.

Quale imperfezione coltivo? Non sono perfetta nel taglio dell’erba, sono sempre in ritardo con l’orto, non gareggio e non mi importa nulla di seguire consigli, schemi e proposte.

Quell’estate che ho piantato la betulla annaffiandola con qualche lacrima di commozione, ho ripreso a disegnare dopo molto tempo.

Ero e rimango imperfetta, ed è tutta lì la perfezione che cerco.

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“L’imperfezione è perfezione nascosta”.

Robert Browning

Le illustrazioni sono dell’autrice del testo: Stefania Morgante ©

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