Gea Terra

La strada del biologico

Ci scrive Francesca Petrini, in merito a un articolo di Alberto Guidorzi che ha scosso il mondo dell’agricoltura biologica: “Nessuno disconosce il ruolo che ha e ha avuto in generale la chimica ma oggi questa da sola non è più sostenibile”. Qualcuno ha ragione e qualcun altro ha torto? Ha ancora senso, oggi, tenere separati e distanti i vari metodi di coltivazione? O siamo davvero alla fine del mondo e non c’è altra strada da percorrere se non l’abbondono dell’agricoltura convenzionale?

Olio Officina

La strada del biologico

Monte San Vito, lì 07.02.2019

Spett/Le Redazione,

In merito all’articolo “Cosa significa mangiare bio” apparso su questa testata in data 25.12.2018 a firma Alberto Guidorzi, vorrei offrire un mio contributo in qualità di imprenditrice nel mondo dell’olio biologico ma anche in qualità di consumatrice di prodotti bio.

A parer mio mangiare biologico significa andare molto al di là delle semplici “paure alimentari” come si evince invece dal suddetto articolo che pretende di convincerci, in fondo in fondo, dell’inutilità del biologico andando solo a ricercare le possibili ragioni – peraltro carenti di obiettività – alla base del successo del consumo di prodotti bio e quindi del “mangiare bio”.

Facendo biologico da 30 anni, sentendomi per certi versi tirata in causa – come me, penso anche ad altri produttori, posso testimoniare come questo si sviluppi già negli anni ‘70 in Italia con alcuni pionieri eccellenti, Alce Nero e Terra e il Cielo, partiti dal coltivare cereali nelle Marche dove vigeva già una legge regionale a disciplinare le produzioni bio.

Sono poi arrivati i regolamenti del 1991, del 2007/2008 ed infine il nuovo che sarà applicato dal 2021. La strada del biologico è quindi lunga, più lunga di quanto si pensi, da una fase pionieristica ad un’altra sicuramente più spinta confermata anche da una crescita del numero di aziende bio nell’ultimo quinquennio. Dietro al successo del bio, che di per sé non ha nulla di negativo al contrario andrebbe incoraggiato vista la progressiva scomparsa delle aziende agricole e quindi dei posti di lavoro (nel periodo 2017/2018, le aziende agricole in attività sono scese da 27.380 a 25.872 con la perdita di n.1.508 imprese nelle sole Marche), c’è fondamentalmente un principio etico che partendo da un’accresciuta coscienza ambientale si sostanzia nel concetto generale di sviluppo sostenibile con tutti gli annessi e connessi.

Anche l’ONU ha un riguardo particolare verso l’agricoltura biologica in considerazione della sua sostenibilità e sicurezza. Al di là dei numeri dobbiamo infatti riportare l’attenzione sui motivi che oggi giustificano la scelta di pratiche conservative. Alla base alcuni valori come il rispetto dell’uomo e la necessità di creare un’equità di tipo intergenerazionale basata sul diritto ad un equo accesso alle risorse naturali per soddisfare non solo i bisogni dell’attuale generazione ma anche quelli delle future generazioni, il diritto ad un cibo sano, sicuro e nutriente, acqua pulita ed energia.

Una visione diversa del mondo che evita all’ambiente impatti di difficile reversibilità, una visione più lungimirante perché impone una prospettiva di lungo periodo, nata dalla consapevolezza che il vecchio modo di fare agricoltura basato sulla chimica ha nel tempo portato sì a maggiori produzioni a scapito però degli equilibri – delicatissimi – degli ecosistemi, fondamentali per la nostra vita e per la sopravvivenza su questo pianeta.

Nessuno disconosce il ruolo che ha e che ha avuto in generale la chimica ma oggi questa da sola non è più sostenibile perché continuare a riversare nel terreno, nell’atmosfera e nelle falde acquifere enormi quantità di fertilizzanti, diserbanti e pesticidi non fa altro che produrre l’effetto di impoverire il suolo rendendo di fatto necessario un sempre maggiore impiego di presidi fitofarmaceutici con la conseguenza di esporre ulteriori aree al rischio di improduttività e inaridimento. Si stima che più del 20% del territorio nazionale e del 40% al Sud sia a rischio desertificazione.

Anche i cibi così prodotti, risultano essere più poveri in nutrienti ma in compenso molto ricchi in fatto di presenza di residui chimici i cui effetti nocivi per la salute sono assai noti come lo sono anche in considerazione del loro accumulo nel tempo per non parlare dell’effetto bomba innescato da un loro mix.

Su questo tema la scienza ha già sentenziato e la legge ha imposto l’inserimento di simboli – teschi e quant’altro – sulle etichette di questi prodotti. Ridicolo allora cercare ancora l’ago nel pagliaio, la ragione più ragione delle altre e diffondere falsità mascherate da generiche “paure” quando occorrerebbe vero buon senso aprendo gli occhi e la mente per cambiare rotta se ci teniamo ancora a salvare la pelle – se non la nostra almeno quella dei nostri figli e nipoti.

Cordiali saluti,

Francesca Petrini

Grazie per la preziosa testimonianza, molto importante ed efficace perché proviene da una imprenditrice e non da chi opera nel settore biologico solo per la parte più strettamente burocratica e sindacale.

Ci mancava una lettera scritta da chi opera sul campo e di questo sono grato.

In merito all’articolo “Cosa significa mangiare bio”, di cui è autore Alberto Guidorzi, persona e professionista che stimo molto, posso dire che per comprendere bene il suo pensiero, sempre coerente e sul piano della logica inappuntabile, sarebbe consigliabile leggere tutti i suoi articoli che Olio Officina Magazine ha puntualmente pubblicato. Lo dico in modo da avere un quadro completo di un pensiero che non si limita al solo aspetto delle “paure alimentari”, perché sarebbe riduttivo. Guidorzi problematizza un fenomeno e lo affronta con una competenza che non ha eguali.

Non credo assolutamente che Guidorzi sia contrario al biologico, ma semmai è esplicitamente contrario alla logica riduttiva di chi per rendere più credibile e spendibile il biologico debba arrivare a demonizzare l’agricoltura convenzionale. Per lo meno, questo è quanto traspare, ma lascio a lui spazio per eventuali precisazioni.

Perché pubblico gli articoli di Guidorzi? Perché sono scritti bene e argomentano in maniera convincente, e soprattutto sono supportati da dati scientifici inoppugnabili.

Inoltre, va detto che Olio Officina nasce proprio per dare voce a tutti e, debbo essere proprio sincero, mancava una voce a difesa del bio. Infatti, mi sono sempre chiesto come mai tanti produttori di alimenti biologici siano stati silenziosi in tutto questo tempo di fronte alle argomentazioni di Guidorzi.

Mi chiederà: come mai ho dato spazio a Guidorzi, così fortemente critico nei confronti del biologico, ma soprattutto dell’agricoltura biodinamica. Lo spazio è dato perché è una brava persona, seria, preparata e le sue riflessioni, anche se piuttosto forti, sono espressione di un libero pensiero che è giusto abbia un proprio spazio. Si cresce attraverso il confronto.

Qual è invece la mia posizione riguardo all’agricoltura biologica. Semplice: io sono aperto alla pluralità delle esperienze. Accetto e accolgo tutto, soprattutto se vi è un successo commerciale che premia il biologico ritengo sia un buon motivo cavalcare l’onda positiva, anche se preferisco che il biologico sia più frutto di una adesione di pensiero anziché una operazione di mero sfruttamento commerciale, come invece sta accadendo.

Se io fossi un agricoltore, sensibile all’ambiente quale sono, praticherei una saggia agricoltura convenzionale, perché mi sembra la soluzione tecnicamente migliore e più efficace, anche per la stessa tutela dell’ambiente.

I pionieri del biologico andrebbero premiati per il loro impegno morale e sociale in tutti questi anni, perché hanno contribuito a sensibilizzare non solo i consumatori, ma anche i tecnici a rapportarsi diversamente con l’ambiente.

Ciò che è mancata, negli anni bui che vanno dal dopo guerra agli anni Ottanta dello scorso secolo, è stata la formazione: tanti agricoltori sono stati abbandonati a se stessi e nella loro ignoranza, senza che qualcuno li assistesse, hanno abusato pesantemente della chimica, ma la chimica in sé non è il male. Non bisogna demonizzare a priori.

Non sono un agricoltore, anche se la campagna la conosco molto bene in maniera diretta e indiretta, ma sono tuttavia un consumatore, e come tale non compero biologico, nel senso che acquisto ciò che più mi piace, ovvero ciò che mi appaga, indipendentemente dal fatto che un alimento provenga o meno da una coltivazione in biologico o convenzionale.

Mi piace la buona e sana agricoltura, e oggi la sostenibilità non è prerogativa assoluta del biologico.

C’è spazio per tutti, ma l’errore più grande che molti commettono è puntare alla contrapposizione. Far leva sulla demonizzazione dell’agricoltura convenzionale per attribuire un valore superiore al biologico è concettualmente una operazione sbagliata. Credo che le osservazioni di Guidorzi in merito al biologico siano utili per sfatare questa ricorrente demonizzazione nei confronti di una agricoltura convenzionale i cui esiti sono invece così buoni al punto da soddisfare anche me, che sono un consumatore esigente e che la prima valutazione che faccio, nell’atto dell’acquisto, è incentrata tutta sulla qualità.

Questo è il mio pensiero, come sempre aperto a tutte le molteplici espressioni dell’agricoltura, ma soprattutto fedele all’idea che l’agricoltura debba essere fatta da professionisti capaci di garantire qualità, bontà e salute, indipendentemente dai metodi di coltivazione adottati.

Luigi Caricato

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