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Le buone pratiche agricole

Sono davvero così buone? Ciò che è certo, è che le regole introdotte con la Politica agricola comune servono per aver accesso al regime del pagamento unico. Chi usufruisce di tali benefici ha l’obbligo di mantenere le superfici agricole in buone condizioni ambientali e produttive. Le condizioni sono stabilite dagli Stati membri

Mimmo Ciccarese

Le buone pratiche agricole

Le regole della “condizionalità” sono state introdotte dalla Politica Agricola Comune (PAC) approvata nel 2003 e sono l’insieme delle norme e delle regole che le aziende agricole devono rispettare per avere accesso al regime del pagamento unico.

Con la condizionalità la Comunità Europea si propone di raggiungere un corretto equilibrio tra la produzione agricola competitiva e il rispetto della natura e dell’ambiente.
Gli agricoltori che dal 2005 beneficiano dei cosiddetti “pagamenti diretti” sono sottoposti alla condizionalità obbligatoria (regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio e regolamento n. 796/2004 della Commissione.
Si tratta di numerosi atti legislativi in materia di sanità pubblica, salute delle piante e degli animali e benessere degli animali e dell’ambiente.

Le regole si applicano per titolari di aziende agricole e la loro inosservanza è sanzionata con la soppressione parziale o totale dell’aiuto. Chi usufruisce di tali benefici ha l’obbligo di mantenere le superfici agricole in buone condizioni ambientali e produttive.
Le condizioni sono stabilite dagli Stati membri, riguardano la protezione del suolo, la conservazione della sostanza organica e della struttura del suolo agrario, alla conservazione degli habitat e del paesaggio, inclusa la protezione dei pascoli permanenti.

La condizionalità è definita in base al regolamento (CE) n. 1782/03 e comprende due grandi gruppi di norme. Le prime si riferiscono ai Criteri di Gestione Obbligatori (CGO), un quadro di norme comunitarie, nazionali e regionali relative a sanità pubblica, alla salute delle piante e degli animali, all´ambiente e al benessere degli animali. Le seconde riguardano il mantenimento delle Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali (BCAA).

Attraverso questi due grandi quadri di riferimento l’imprenditore agricolo e il coltivatore diretto devono impegnarsi a gestire correttamente la propria azienda, mantenere buoni livelli di sostanza organica e salvaguardare l’ecosistema. Il non rispetto di tali principi, porta a un meccanismo di riduzione del beneficio secondo il tipo di sanzione.

I controlli di verifica delle Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali consistono in telerilevamenti e interpretazioni di foto aeree allo scopo di riscontrare lo stato degli appezzamenti aziendali e quindi rilevare che il terreno sia in buone condizioni agronomiche e ambientali.
Ci sono obblighi sul divieto di bruciare le stoppie, sulla protezione del suolo dall’erosione superficiale, sulla protezione della struttura del suolo, sul mantenimento delle caratteristiche paesaggistiche. Ogni rispetto della condizionalità rientra perfino nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale.

Quando si ricerca su ambiente e paesaggio oltre ad innumerevoli finestre legislative, ti si aprono anche autorevoli report sull’argomento, richieste e inevitabili dubbi.
Se ti fai un giro tra le campagne trattate con pesticidi, ti chiedi se tali norme rispettino quanto richiesto dalla condizionalità. Un diserbo chimico o un pirodiserbo è così palese, il disseccamento lo noti eccome.
Nei Centri di assistenza agricola (Caa) si fa la fila per sottoscrivere la domanda PAC, il documento che accredita una superficie agricola ad avere diritto agli aiuti comunitari a patto che i suoi conduttori rispettino le BCCA.

A quanto pare, è proprio la presenza del trattamento, quando registrato su apposito quaderno di campagna, che evidenzia il rispetto di tali norme che per un concetto, accluso tra le maglie della normativa, ritiene che siano “buone” per l’ambiente. Tra l’altro, gli utilizzatori dei prodotti fitosanitari sono autorizzati da regolare certificato, conseguito dopo apposito corso e dopo una rigorosa valutazione.

La definizione di Buona Pratica Agricola vi riporta all’art 28 del regolamento CE 1750/1999, come quella che “Ai fini del regolamento (CE) n. 1257/1999 e del presente regolamento, costituiscono normali pratiche agricole l’insieme dei metodi colturali che un agricoltore diligente impiegherebbe nella regione interessata”.
Il regolamento 1257/1999 riguardava il “sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) ” che considerava l’opportunità di continuare le misure ambientali introdotte con lo storico regolamento CEE 2078/92, per l’agricoltura biologica e integrata, di incoraggiare gli agricoltori a operare “nell’interesse dell’intera società, introducendo o mantenendo metodi di produzione compatibili con le crescenti esigenze di tutela e miglioramento dell’ambiente, delle risorse naturali, del suolo e della diversità genetica, e con la necessità di salvaguardare lo spazio naturale e il paesaggio”.

Ad esempio, la Regione Puglia, proprio riferendosi al rapporto di valutazione sull’applicazione del Reg. CEE 2078/92, inerente all’analisi dei risultati conseguiti nel primo triennio di applicazione elaborato dall’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), valutava la necessità di chiarire e definire il termine di BCCA.
Lo faceva allegandola al Piano di sviluppo rurale 2000-2006. L’allegato descrive e individua come “metodi buoni” i comportamenti non soltanto rispettosi delle norme ma coerenti con queste. Tali comportamenti, per le colture nelle quali necessario, sono stati differenziati in rapporto alla diversità morfologica del territorio regionale e dei diversi metodi agronomici di coltivazione delle colture. Le“buone pratiche agricole”sono state individuate per gruppi omogenei di colture, aggregate in base alla stretta analogia che contraddistingue le pratiche agronomiche usualmente effettuate su tali coltivazioni nonché il fabbisogno di fattori produttivi e dei mezzi tecnici necessari per le stesse. Le colture individuate sono quelle maggiormente rappresentative per l’agricoltura pugliese, ossia quelle con la maggiore incidenza sia in termini di diffusione territoriale che di peso economico, nonché di potenziale impatto ambientale. Per la stesura del codice di BPAn sono stati presi in considerazioni oltre alle buone pratiche agricole normali di una certa zona anche ulteriori pratiche previste da leggi e norme che discendono da disposizioni comunitarie in materia di ambiente, sia di carattere generale sia specifiche per la zona considerata”.

A tale definizione segue una serie di norme di riferimento tra cui quelle relative alle pratiche di fertilizzazione e di diserbo, di cui si fa obbligo in questo codice che trovano riscontro normativo nel D.Lgs. n.152 dell’11 maggio 1999, recante “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento provocato da nitrati provenienti da fonti agricole”. In seguito lo stesso allegato, descrive le linee guida per gruppi di coltura che contempla ogni forma di trattamento chimico convenzionale oltre che il diserbo chimico.

A distanza di quasi un ventennio da tali definizioni e alla luce dei recenti report dell’ISPRA sulla presenza di pesticidi nelle acque sotterrane e superficiali, della messa al bando di alcune sostanze attive ecc, il Piano di Azione Nazionale (PAN) che riesamina le regole per l’utilizzo dei pesticidi, sembrerebbe anacronistico considerare, ancora, questi interventi come “buone pratiche agricole”. A oggi per quello che si manifesta quotidianamente tra gli habitat rurali, ci induce a pensare che il vecchio concetto di BPan debba essere quantomeno rivalutato.

La foto di apertura è di Luigi Caricato

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