Gea Terra

Le lobby del biologico

Cose da sapere. Non vi è nessuna ragione affinchè i prodotti bio siano pagati di più per presunti vantaggi ambientali. Tre anni di conversione, oltretutto, non sono per nulla sufficienti a “pulire” il terreno. I nitrati nelle falde? Ci finiscono di più solo se si fa cattiva agricoltura, e chi fa cattiva agricoltura è l’uomo, non un metodo di coltivazione. In questa visione ideologica del bio, infine, non sono nemmeno da sottacere gli evidentissimi conflitti d’interessi

Alberto Guidorzi

Le lobby del biologico

Occorre fare una necessaria premessa per ben comprenderci: l’agricoltore è un imprenditore agricolo e quindi se vi trova redditività deve assecondare anche le richieste più strane che gli provengono dal mercato. Anzi, ha tutte le ragioni di non far venire meno, e se possibile aumentare questa domanda.

Questa premessa si attaglia perfettamente al caso della crescita della domanda di prodotti alimentari agricoli e/o trasformati dichiarati provenire da modi di coltivazione definiti “biologici” o “biodinamici”. Per giunta la domanda è sostenuta, e quindi si possono sfruttare sovrapprezzi anche notevoli, anche se dobbiamo dire che gran parte di questo plus valore è incamerato lungo la catena di distribuzione e vendita. Di conseguenza, al produttore non resta che utilizzare una filiera corta o addirittura la vendita diretta per poter godere di quanto il consumatore è disposto a pagare, trattandosi appunto di una domanda fideistica.

Va pure detto che il produttore, anche impegnandosi scrupolosamente a seguire certi protocolli del coltivare biologico o biodinamico, ottiene produzioni che sono prima di tutto soggette a molte più alee produttive ed inoltre intrinsecamente inferiori di un 30-50% (almeno per le grandi colture) nel biologico ed ancora meno nel biodinamico. Pertanto è nella logica delle cose che questi prodotti debbano essere pagati di più.

Non vi è però nessuna ragione che siano pagati di più per presunti vantaggi ambientali in quanto i trattamenti di protezione si fanno sia in agricoltura biologica che in agricoltura convenzionale e nella prima devono essere molto più ripetuti per la scarsa persistenza dei prodotti usati.
La stessa cosa dicasi per le concimazioni in quanto in convenzionale si restituiscono gli asporti della coltivazione, mentre in biologico si sfruttano quei pochi elementi che sono rimasti nel terreno per le precedenti concimazioni (tre anni di conversione non sono per nulla sufficienti a “pulire” il terreno dagli atomi di N, P e K apportati da precedenti concimazioni e quindi se erano un “veleno” prima lo devono essere anche dopo la conversione).

I nitrati nelle falde ci finiscono sia che siano provenienti da concimazione organica (l’unica ammessa in biologico e biodinamico), che da concimi azotati di sintesi, ne vanno di più solo se si fa cattiva agricoltura e chi fa cattiva agricoltura è l’uomo e non un metodo di coltivazione.
Se chi coltiva biologico esagera con la sostanza organica o con i liquami fa cattiva agricoltura al pari di qualsiasi altro agricoltore.

Inoltre le tanto decantate pratiche biologiche di conservazione della fertilità e struttura dei suoli, le rotazioni, i sovesci e le coperture dei terreni a rischio non sono pratiche inventate dal coltivare biologico, bensì pratiche ancestrali dell’agricoltura convenzionale. Se sono andate un po’ nel dimenticatoio è solo per questioni di mercato, ma non certo perché sorpassate e, infatti, i buoni agronomi non se le sono dimenticate e diffidano gli agricoltori dal perseverare in semplificazioni colturali di brevissimo respiro. L’ecologia agraria (non certo quella ideologica) ha sempre perorato le buone pratiche.

Sopra ho definito la domanda fideistica, e ciò merita una spiegazione. I motivi principali sono due, ma ambedue avulsi dalla realtà e scientificamente errati:

– si crede che non vi siano residui di pesticidi in assoluto e che quelli che si usano siano “salutari”,

– si crede che gli elementi chimici dei fertilizzanti siano nocivi e, invece, siano buoni gli stessi identici elementi chimici apportati dal terreno o dai concimi organici.

Qui bisogna mettere un punto fermo: le piante assorbono solo e unicamente elementi chimici quali N, K, P e altri microelementi allo stato ionico e a questo stato non conservano nulla della loro provenienza di sintesi o organica. Il fatto che si definiscano naturali e privo di significati dirimenti. Vi è poi una credenza smentita da ogni controllo eseguito circa le qualità dei prodotti biologici e biodinamici, come ad esempio: vantaggi organolettici, diversa composizione, maggiore capacità nutritive, contenuti vitaminici, di oligoelementi e sali minerali aumentati, maggior presenza e generalizzata di antiossidanti, minor contenuto in nitrati.

Quindi nulla da eccepire se esistono queste nicchie produttive, tutto da eccepire. Invece, se si pretende che tutta l’agricoltura abiuri a utilizzare nella coltivazione tutte innovazioni che la scienza ha valutato introducibili e che, ormai da 30 anni, sono usate sempre più in modo ecocompatibile. Il motivo non discende dal fatto che si vuol combattere “tout court” il credere in qualcosa di infondato (de gustibus, come si suol dire), bensì con il fatto che, trattandosi di movimenti molto ideologici, essi vorrebbero obbligare ad abbracciare tutti questa forma di “religione”.

Esagerò? No di certo, il Ministro Martina viene dal dire che: “l’Italia cresce con il biologico”, mentre è esattamente il contrario e lo si dimostra con un semplice ragionamento: l’agricoltura biologica e biodinamica sono rese possibili dal fatto che oggi il 99% dell’agricoltura convenzionale protegge e concima, ma soprattutto ha concimato, mentre, se solo si arrivasse ad un 20% di coltivazioni biologiche e ad un conseguente 80% di agricoltura convenzionale le produttività delle due agricolture crollerebbero per il semplice fatto che l’inoculo parassitario crescerebbe ad un grado tale da rendere inutile la poca difesa del biologico e impossibile e soprattutto non auspicabile una difesa adeguata del coltivare convenzionale; si arriverebbe, infatti, a dover aumentare a dismisura i trattamenti antiparassitari inquinando acqua e aria insopportabilmente. Se poi si andasse oltre, dato che già ora importiamo il 50% di quanto consumiamo la nostra dipendenza dalle importazioni di cibo diverrebbe totale.

Il coltivare biodinamico poi ha motivazioni che esulano da ogni considerazione di fisiologia vegetale e di agronomia che la scienza in più di un secolo ha affinato e confermato, qui si ricade nel metafisico e nell’esoterismo. Quello che non può essere accettato però è il fatto che si voglia stravolgere la realtà della natura che è basata da assunti dimostrati veri dalla scienza sperimentale.

Si afferma che il terreno con l’agricoltura convenzionale diventa compatto e duro e che basti un corno di letame (diciamo 300/500 g) seppure ben maturato e poi diluito ennesime volte per ottenere sull’unità di superficie lo stesso effetto di quando mio nonno ne distribuiva 200 q/ha (non certo nelle vigne!) di questo letame egualmente maturo. Se ne vuol dare anche una spiegazione scientifica dicendo che con 300 grammi si apportano “cinquecento milioni di microorganismi e si è in grado di sprigionarne il doppio”. Ora i microrganismi esistevano anche nel letame di mio nonno, infatti si distribuiva anche per quello (ma anche per le tante altre funzioni svolte dagli acidi umici), e mi sembra che sia incontestabile che in 20 milioni di g di letame (200 q) di microrganismi ve ne siano molti di più che non in 300/500 g!

Probabilmente a questa mia considerazione verrà contrapposta l’obiezione che i 200 q di mio nonno non erano dinamizzati, eppure, nella sua semplicità, prima di cominciare a distribuire il letame egli chiamava il prete a benedire la concimaia, il che è un’altra forma di richiamare “influenze cosmiche” (se queste esistessero). Ci vogliamo mettere a discutere se la benedizione di un prete è più o meno efficace della punta di un corno di vacca?

Certo, nella storia di maghi e streghe e relativi adepti ne sono passati tanti e gli sciamani esistono ancora in certe contrade e quindi fra questi ci può stare anche Steiner ed i suoi moderni adepti.
Vado oltre e dico che il mostrare una fotografia come quella sotto per dimostrare la superiorità del corno di letame circa la strutturazione migliore, da un punto di vista fisico-chimico, di un terreno se coltivato biodinamicamente (a sinistra) in confronto ad un altro (a destra), all’apparenza più compatto solo perchè concimato con concimi chimici è un affronto all’intelligenza del lettore.
In questo modo non si dimostra nulla si è solo voluto supportare un’affermazione con un immagine che potrebbe essere benissimo artefatta e mostrata solo in quanto non si ha altro di sperimentalmente probante da apportare.

Non si può neppure sottacere che all’interno delle filiere del biologico e del biodinamico vi siano conflitti d’interesse evidentissimi. Ma è credibile che la certificazione biologica e biodinamica sia fatta da enti privati che si sostengono finanziariamente solo con le parcelle che pagano le aziende controllate e che il singolo controllore abbia un interesse diretto nelle quantità che riesce a certificare? Ma è accettabile che la certificazione verta solo sulla testimonianza che l’agricoltore ha seguito un itinerario tecnico e, date le aspettative qualitative del consumatore bio, non si certifichi, sulla base di dati analitici verificabili, l’esistenza reale di queste qualità, invece di affermare apoditticamente solo che vi è più di questo o più di quest’altro?

Ecco è ora di dire chiaro e tondo che siamo in presenza di un attacco vero e proprio da parte delle lobby dei prodotti biologici e delle organizzazioni ambientaliste da cui emanano; che, tra l’altro, non si fanno nessuno scrupolo a mentire e a spaventare, utilizzando mezzi contrari all’etica e ascrivibili alla disonestà intellettuale. Si vuole solamente e a tutti i costi aggiungere elementi a proprio favore in un dibattito fatto sulle parole e non sui fatti sperimentalmente verificabili. Lo scopo è di aggiungere adepti, che possono portare anche sostanziosi finanziamenti, per perseguire un cambiamento di società.

A riprova si guardino questi due grafici: il primo a sinistra è stato diffuso da una lobby ambientalista americana e vuol dimostrare che l’autismo è conseguenza dell’aumento nell’uso del gliphosate (diserbante totale al quale si sono rese resistenti certe piante coltivate). Qui si vuol far passare per prova una correlazione, ben sapendo che molti non sanno il significato di “correlazione” e che la lettura emotiva porta a stabilire un legame di causa/effetto senza porsi la domanda se il tutto corrisponde al vero.
Quella correlazione ha la stessa validità di quella del secondo grafico, anch’esso creato ad arte e con lo stessa disonestà intellettuale del primo, che mostra come l’aumento dell’autismo può essere anche correlato con l’aumento del consumo di prodotti biologici.

La foto di apertura è di Luigi Caricato. la foto della zolle è stta pubblicata in altri due precedenti articoli QUI e QUI

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