L’ecologismo di Alexander Langer oltre la destra e la sinistra
A trent’anni dalla scomparsa, il cofondatore dei Verdi ragionava - in un articolo apparso nel 1985 sulle pagine della storica rivista Alfabeta, oggi riproposto in un volume antologico - su come il suo movimento avrebbe dovuto evitare tre rischi. Le sue intuizioni, tuttavia, furono completamente ignorate dai suoi eredi, ma ancora oggi si rivelano quanto mai attuali

A trent’anni dalla scomparsa di Alexander Langer (3 luglio 1995), andrebbe ripreso un suo articolo intitolato “I Verdi e la sinistra”, pubblicato sulla rivista culturale Alfabeta (n. 77, ottobre 1985) e ora raccolto nel volume Alfabeta (antologia) 1979-1988 (Bompiani 2012). Si tratta di una riflessione molto utile per comprendere il senso della sua eredità culturale e politica.
In quell’articolo, il cofondatore dei Verdi ragionava su come il suo movimento avrebbe dovuto evitare tre rischi. Il primo lo aveva individuato nel “rimanere una corrente minoritaria, tra l’illuminista e il predicatorio e non riuscire, quindi, a coinvolgere strati più larghi della società, soprattutto tra i ceti popolari”. Il secondo lo aveva intravisto nell’“esercitare oggettivamente una concorrenza soprattutto alla sinistra, di cui soggettivamente molti verdi non (riuscivano) a non sentirsi parte integrante, anche se magari sofferente (soprattutto in Italia e in Olanda, un po’ meno in Germania federale), e a non superarne quindi il perimetro culturale, sociale e ideale, rimanendone un po’ ostaggi e un po’ mosche nocchiere”. Il terzo lo aveva scorto nell’”astrattezza di chi sogna o progetta il mondo migliore, finendo essenzialmente nell’’ideologia’”.
In modo sorprendente, Langer metteva a fuoco, con estrema chiarezza e lungimiranza, una peculiarità del nostro Paese: la presenza diffusa nei diversi territori dell’eredità di antichi mondi contadini tipicamente mediterranei. Un’eredità non scalfita dalle forme di modernità industriale imposte dall’alto e non deteriorata dallo sfruttamento turistico di massa. Un’eredità – precisava l’attivista – da osservare “senza indulgere a romanticismi o nostalgie”, come un bene prezioso con cui accompagnare il cambiamento.
Egli si riferiva a una serie di elementi: “dall’agricoltura differenziata (non monocolture) a tante forme ancora esistenti di artigianato, dalla sopravvivenza di forme comunitarie non-statuali e non-istituzionali alla solidarietà vicinale e al mutuo aiuto, dall’ospitalità alla festa, dalle dimensioni stesse della vita quotidiana (ridotta densità della popolazione, della velocità, dell’accumulazione, delle differenze sociali…) al modo di sentire e praticare tradizioni, costumi, idiomi, modi di dire…”.
I Verdi – sosteneva Langer – dovrebbero rappresentare e tutelare questi squarci di cultura rintracciabili nelle nostre radici contadine. E per farlo, dovrebbero “contestare alla destra il diritto di fregiarsi delle insegne della ‘conservazione’” andando a vedere se alla base di questa sua pretesa si nasconda una “bugia ereditaria”. In realtà, la destra – scriveva il leader dei Verdi – è interessata a ‘conservare’ solo “i rapporti di potere, quando si minacci un cambiamento in direzione della giustizia e dell’uguaglianza”. Senza una verifica critica, il falso “conservatorismo” della destra ha permesso a questa “di farsi forte di reale esigenza di molte persone e gruppi sociali”.
Il movimento verde – continuava il politico altoatesino – dovrebbe, nello stesso tempo, “andare a vedere se la denigrazione progressista della ‘conservazione’ non si basi anch’essa su una ‘bugia ereditaria’: che cioè in fin dei conti le cose (la vita, la società, ecc.) possono solo migliorare”.
“Se i Verdi sapranno rinunciare – ecco il senso della riflessione di Langer – alla tentazione intellettualistica di presentarsi come rinnovatori del mondo in nome di progetti e principi astratti, e riusciranno invece a collegarsi a quanto di vivo e propositivo si può ricavare dall’esperienza non ancora cancellata dei rapporti tra uomo e natura, e tra uomini, nella cultura popolare, il discorso verde potrebbe smascherare contemporaneamente la falsità del ‘conservatorismo’ della destra e del ‘progressismo’ della sinistra, prospettando una via d’uscita davvero liberata dalla consunta polarizzazione ereditaria tra destra e sinistra”.
Questa felice intuizione del cofondatore del movimento verde, che è stata completamente ignorata dai suoi eredi, oggi è ancor più attuale. E dovrebbe essere fatta propria dalle forze liberaldemocratiche che vogliono costruire una nuova cultura politica, abbandonando le logore culture novecentesche di destra e di sinistra. Come afferma Aldo Schiavone (in Occidente senza pensiero, Il Mulino 2025), ai precedenti rapporti di produzione cristallizzati nella dialettica tra capitale e lavoro, va subentrando, da una parte, un tecnocapitalismo che tende a privatizzare ogni cosa e, dall’altra, un nuovo e ben definito soggetto storico-politico che troviamo in ogni angolo del pianeta: la totalità della specie, l’impersonalità dell’umano come soggetto totale. L’interdipendenza, indotta dalla globalizzazione, e la potenza, prodotta dalla tecnica, hanno reso il bene comune – cioè l’insieme di quelle condizioni della vita sociale in cui i gruppi e gli individui crescono più speditamente e più pienamente – un bene universale, investendo diritti e doveri che riguardano l’intero genere umano. Una intuizione profetica già presente nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes (n. 26) approvata dal Concilio Vaticano II. Una intuizione profetica che si può ritrovare anche nel pensiero di Giuseppe Mazzini, in particolare nella sua idea dei “doveri” speculare a quella dei “diritti” (I Doveri dell’Uomo, 1860). Mentre si apre la fase dall’universalità dell’umano, la cultura millenaria delle relazioni umane comunitarie, fondate sull’aiuto reciproco e lo spirito di solidarietà, che abbiamo ereditato nella concretezza e genuinità delle tradizioni sociali che continuano a vivere nei territori, come aveva colto con grande acume Langer, costituiscono un patrimonio di inestimabile valore. Un patrimonio che oggi è indispensabile per costruire una nuova razionalità sociale e una nuova etica dell’umano da tramutare nella democrazia oltre lo Stato.
In apertura, foto di Olio Officina
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