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Paesaggio e cibi del territorio

Sono le componenti di un patrimonio rurale tutto ancora da svelare. Si parte dalla presa di coscienza del valore degli ulivi pugliesi, fino a considerare la prima legge regionale in materia di tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi. Bisogna proprio partire da questi punti chiave per rendersi conto del valore inesplorato di cui disponiamo

Maria Chiara Zerbi

Paesaggio e cibi del territorio

Il presente saggio è stato pubblicato sull’annuario “Olio Officina Almanacco” 2013 ed è disponibile presso le migliori librerie, anche on line.

Una serie di articoli apparsi, all’inizio dello scorso decennio, sui principali quotidiani diffusi in Puglia, denuncia il fenomeno di una “presunta tratta” di alberi di ulivo secolari che vengono estirpati e venduti nelle regioni del Nord Italia per abbellire parchi e giardini. Il fenomeno ha acquisito per la prima volta visibilità nell’Ostunense, quando nel 2001 vennero bloccati, grazie all’intervento delle forze dell’ordine, dei Tir carichi di ulivi diretti verso le regioni settentrionali. Ma non sarebbe stato un episodio isolato.

Presa di coscienza del valore degli ulivi pugliesi

La battaglia contro il traffico degli ulivi pugliesi è, infatti, proseguita senza sosta. A metà settembre del 2002 fu bloccato dai vigili urbani, sempre a Ostuni, un Tir diretto verso Padova. Gli ulivi recuperati furono piantati nei giardinetti di via Giovanni XXIII. A Monopoli, nel maggio del 2002, fu scoperto un vero mercato di piante di vecchi olivi, pronti ad essere venduti, nell’ambito di un comune vivaio, con quotazioni varianti da 1500 a 8000 euro. Numerosi altri casi furono denunciati in provincia di Taranto, Brindisi, Lecce .

L’avere richiamato l’attenzione su questo fenomeno accese il dibattito sulla necessità di tutelare meglio un patrimonio, come quello rappresentato dagli ulivi secolari, che costituisce una componente identificativa del paesaggio regionale, mediante una legge che definisse in modo più preciso le condizioni per l’espianto. Nel 2003 venne lanciata da La Gazzetta del Mezzogiorno (13 giugno 2003) una campagna sulla tutela degli ulivi secolari e nacque un Comitato di salvaguardia degli ulivi pugliesi, mentre si intraprendevano iniziative di sensibilizzazione popolare, anche attraverso mostre itineranti sul paesaggio degli ulivi.

Il problema che apparve subito evidente era quello di trovare un compromesso tra tutela del paesaggio e interessi economici dei coltivatori, a motivo del fatto che gli uliveti di antico impianto possono essere improduttivi o scarsamente produttivi con conseguenze negative sui redditi agricoli. Come intervenire? Facendo appello alle misure ambientali della PAC?
Dal punto di vista normativo la tutela delle piante di ulivo ha le sue radici in un regio decreto d’inizio del secolo scorso, che subordinava lo sradicamento degli ulivi improduttivi a un’apposita autorizzazione e, nel secondo dopoguerra, nel decreto legislativo luogotenenziale n° 475 del 27/07/1945, che vietava l’espianto di questi alberi (anche se danneggiati da eventi bellici o altri eventi, purchè recuperabili) e che ribadiva la necessità dell’autorizzazione.
Al decreto fece seguito, nel 1951, una legge (l. 14 febbraio 1951, n° 144) che stabiliva con maggiore precisione, ma anche con un’innegabile estensione, i casi in cui poteva essere concessa l’autorizzazione allo sradicamento e veniva individuato nell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura l’ente competente al rilascio. L’applicazione di quest’ultima norma è risultata però scarsamente efficace dal punto di vista della tutela, per la semplicità della procedura da seguire e la facilità d’ottenere l’autorizzazione all’espianto anche in casi di interventi importanti per superficie o per numero di piante interessate . Da questa scarsa efficacia nacque l’esigenza di una diversa normativa più attenta ai valori estetici, storici, simbolici oltre che ambientali e produttivi degli uliveti pugliesi.

La prima legge regionale in materia di tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi

Nel 2007 la Regione Puglia decide di adottare specifiche misure di conservazione per gli ulivi secolari e plurisecolari dotati di valore paesaggistico (l.r. n. 14 del 4 giugno 2007, “Tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi monumentali della Puglia”). Viene in tal modo ad essere sottoposta a tutela la porzione più significativa della sua ricchezza arborea, mentre per la restante parte resta assoggettata alla normativa già in vigore.
Senza entrare nel dettaglio dei 5 titoli e dei 19 articoli di cui si compone la legge, se ne possono richiamare qui alcuni capisaldi. La legge definisce, in primo luogo, i parametri con i quali valutare il carattere di monumentalità delle piante d’ulivo secolari. Di esse prevede una rilevazione sistematica, sotto il controllo di una “Commissione tecnica per la tutela degli alberi monumentali”, appositamente costituita, nell’intento di pervenire ad un “elenco degli ulivi ed uliveti monumentali” da assoggettare a tutela (tutela che, a regime, avverrà attraverso l’apposizione di vincolo paesaggistico). Alla tutela sono affiancate azioni di valorizzazione tramite la speciale menzione “Olio extravergine degli ulivi secolari di Puglia” utilizzabile dai produttori d’olio derivante da piante monumentali inserite nell’elenco, associabile ad altri marchi territoriali. Sono altresì previste azioni di promozione commerciale dei prodotti, dell’immagine degli uliveti secolari anche a scopi turistici, il sostegno alla produzione e, non ultimo, la priorità nei finanziamenti accordata a progetti di miglioramento qualitativo e di manutenzione paesaggistica. Per la concessione di eventuali deroghe ai divieti previsti (danneggiamento, abbattimento, espianto e commercio degli ulivi monumentali inseriti nell’elenco), un ruolo centrale è svolto dalla Commissione tecnica che è chiamata a esprimere parere vincolante. Al Corpo forestale dello Stato sono demandate le funzioni di controllo e di sorveglianza.

Gli ultimi mesi dello scorso anno sono stati caratterizzati da una ripresa del dibattito, alimentato dalla proposta (avanzata il 30 ottobre 2011) di un emendamento alla legge 14/07 (di cui si rendevano rese necessarie alcune modifiche), inteso a decentrare a livello comunale le competenze autorizzative all’abbattimento e/o spostamento degli alberi secolari e a snellire le procedure di rilascio. Il movimento di opposizione alla prospettiva di un possibile depotenziamento della legge è apparso subito molto forte, fondandosi sul sostegno di numerose associazioni. La stampa locale l’ha qualificato con l’espressione “ondata di sdegno”. E su quest’onda si sono concretizzate iniziative che erano per così dire nell’aria. Quasi in risposta allo “scempio annunciato” i sindaci dei comuni di Ostuni, Fasano e Carovigno hanno deciso di presentare all’UNESCO la richiesta di inserimento degli ulivi monumentali pugliesi nella Lista del patrimonio mondiale, firmando ad Ostuni – il 15 ottobre – un accordo per la presentazione della candidatura .

Non tanto le modifiche alla legge, quanto il movimento d’opinione creatosi risulta essere l’evento di maggiore rilievo. Le modifiche alla legge in realtà si sono rese necessarie per i ritardi nella redazione degli elenchi definitivi degli ulivi monumentali da tutelare e dallo scadere dei termini di validità dei divieti posti in essere per il periodo transitorio. Dopo l’approvazione degli elenchi definitivi, infatti, gli ulivi e uliveti monumentali saranno assoggettati a vincoli paesaggistici, che dovranno essere individuati negli strumenti urbanistici comunali.

Con legge urgente, della fine del 2011 (L.R. 12 dicembre 2011, n.36), la Regione Puglia è intervenuta apportando limitate modifiche alla legge vigente. Esse riguardano, in particolare:
– la composizione della Commissione tecnica per la tutela degli alberi monumentali nelle modalità seguenti: eliminazione dei Dipartimenti di appartenenza (in corso di ridefinizione) per i rappresentanti delle Università di Bari e di Foggia; inserimento nella Commissione di un rappresentante dell’Amministrazione comunale sul cui territorio ricade l’intervento proposto. A ciò si aggiunge l’inserimento di un termine perentorio di 90 giorni, dalla data di presentazione della domanda di abbattimento e/o spostamento di alberi monumentali, per l’espressione del parere vincolante e obbligatorio da parte della Commissione;
– l’eliminazione del limite massimo di vigenza del regime transitorio (presente nell’art. 5);
– la precisazione che le opere di miglioramento fondiario nei terreni con notevole presenza di ulivi monumentali inseriti nell’elenco, devono essere eseguite senza arrecare danno alle piante già esistenti.
Nel lasso di tempo di un decennio si è avviato ed è arrivato a compimento il processo di patrimonializzazione dell’ulivo pugliese e del suo paesaggio.

La trasformazione in patrimonio degli ulivi monumentali pugliesi e del loro paesaggio

Gli ulivi monumentali costituiscono un esempio capace di illustrare con chiarezza come si costituiscono dei nuovi oggetti patrimoniali. E’ stato ricostruito il contesto in cui essi sono stati progressivamente “caricati” di valori che non derivano principalmente dalla loro capacità produttiva, quanto piuttosto dal riconoscimento che essi rappresentano un’eredità condivisa, dei marcatori territoriali, degli elementi storici divenuti il “simbolo” di una terra. Secondo le parole della legge regionale un patrimonio da tutelare per i “peculiari aspetti storici, rurali, sociali, ambientali e paesaggistici” che lo caratterizzano. A ben guardare vi si potrebbero riconoscere alcuni dei valori fondanti dei monumenti storici: il valore di vetustà e il valore estetico.

E’ interessante guardare da vicino alle modalità con cui gli ulivi monumentali sono entrati nella catena patrimoniale. E’ facile constatare come il loro ingresso sia avvenuto attraverso il “lavoro dell’emozione”. Lo rivela il movimento d’opinione, “l’ondata di sdegno”, innescata dalla denuncia fatta di vari organi di stampa sostenuti dai “militanti”: in generale pochi individui, che agiscono singolarmente o in associazione, fortemente motivati e capaci di lanciare, animare sostenere il consenso attorno ad una causa. I militanti contano sulla “sensibilizzazione” della cittadinanza nei confronti dei valori patrimoniali (una sensibilizzazione che coinvolge ormai vari strati di popolazione) e che non si esprime più necessariamente attraverso proteste popolari, ma con raccolta di firme (“Anche lo scrittore cileno Luis Sepulveda ha firmato per la campagna sulla tutela dei nostri olivi secolari” recita la Gazzetta del Mezzogiorno del 31 agosto 2003) e con i mezzi della democrazia informatica (come le testimonianze via e-mail giunte ai giornali).

S’impongono tuttavia alcune osservazioni. L’ingresso nella “catena patrimoniale” può rappresentare, in varia misura, un attentato alla proprietà privata di un bene, in quanto il bene – pur non divenendo pubblico – viene quanto meno sottratto alla piena disponibilità del suo proprietario. La trasformazione in patrimonio di un bene, infatti, fa sì che esso non appartenga più solamente al suo proprietario “giuridico”, ma anche alla Nazione nel suo complesso o perfino all’umanità intera. E’ quindi necessario, per equità, pensare a un bilanciamento tra “costi e benefici” per i proprietari, a riequilibrare gli svantaggi, quali la perdita di “sovranità” sul proprio bene, e i vantaggi sia di carattere immateriale (prestigio), sia di carattere materiale (sovvenzioni, vantaggi fiscali…). E non solo per motivi di equità, ma anche per evitare conflitti di proprietà che genererebbero inefficacia della tutela fino a ingenerare comportamenti radicali che alla distruzione del bene.

Un secondo aspetto, su cui è necessario richiamare l’attenzione, è che il patrimonio verde non può essere assimilato ai monumenti storici. Gli alberi sono materia vivente, e non solo, i loro valori estetici (in primis i loro valori sensoriali) posseggono un intrinseco carattere effimero, variano con il tempo. Alla nozione stretta di “preservazione” applicabile al patrimonio tradizionale è necessario che vengano sostituite nozioni “più dinamiche” quali la nozione di “conservazione”, in quanto non si tratta di cristallizzare il passato, come in un museo, ma di gestire la naturale evoluzione degli ecosistemi, mantenendone i caratteri originali, distintivi. La sfida da affrontare è quella di mantenere in “buono stato” ulivi e uliveti ai quali sia stato riconosciuto la qualifica di patrimonio: una strada, in larga misura, ancora da percorrere. (cfr. Progetto dell’Assoc. Libera terra e Istituto Agrario Pantanelli)

Si impone, inoltre, una riflessione sulla nozione stessa di patrimonio. La nozione di patrimonio non è invariante, al contrario essa ha subito, negli ultimi decenni, progressive variazioni. Le sue trasformazioni hanno riguardato, in primo luogo, un ampliamento di significato che dai beni storico-artistici, impostisi all’attenzione dopo le distruzioni verificatesi nel corso della seconda guerra mondiale, si è dilatato in direzione della “natura”, dapprima la natura “straordinaria” che include parchi e giardini storici o peculiari fenomeni geologici o naturalistici, poi la natura “ordinaria” che comprende gli spazi aperti, le aree parco, gli ecosistemi naturali. Alla prima articolazione fra “patrimonio culturale” e “patrimonio naturale” (divenuta evidente, negli anni Settanta, con la Convenzione internazionale dell’UNESCO), si sono aggiunte ulteriori differenziazioni tipologiche, espresse attraverso il moltiplicarsi degli aggettivi qualificativi utilizzati, che hanno segnato la nascita di un patrimonio verde, di un patrimonio etnologico.. aprendo la strada alla costituzione in patrimonio anche di beni immateriali (operazione non scevra da problemi giuridici per quanto riguarda l’individuazione dell’oggetto di tutela). Per molti aspetti si è assistito a una sorta d’inflazione della nozione di patrimonio.

L’internazionalizzazione del patrimonio.
Il riconoscimento della Dieta Mediterranea come elemento del patrimonio immateriale dell’umanità

In tema di patrimonio sono presenti, a livello internazionale, due Convenzioni UNESCO e la Convenzione europea del paesaggio del Consiglio d’Europa. Quest’ultima, nota anche come Convenzione di Firenze (2000), guarda al paesaggio come al quadro di vita della popolazione, facendo spazio ad una concezione ampia di “paesaggio”. “Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”
Non sono, quindi i “paesaggi straordinari” ad essere al centro della Convenzione del CoE, che mira piuttosto a garantire qualità paesaggistica all’intero territorio , una qualità che è considerata capace di contribuire al benessere della popolazione.
Diverso è il caso delle due Convenzioni UNESCO relative, rispettivamente, al patrimonio materiale e al patrimonio immateriale. La prima, adottata dalla Conferenza generale dell’Unesco il 16 novembre 1972, “Convenzione riguardante la protezione sul piano mondiale del patrimonio culturale e naturale” ha lo scopo d’indentificare e tenere aggiornato l’elenco dei siti (WHL) che costituiscono “patrimonio dell’umanità”, per i loro caratteri di universalità ed eccezionalità.
Ai beni “immateriali” è, invece, dedicata la “Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale” approvata a Parigi dalla Conferenza Generale dell’UNESCO il 17 ottobre 2003 ed entrata in vigore il 20 aprile 2006 dopo le necessarie ratifiche . Essa rappresenta un importante completamento al corpus normativo sviluppato dall’UNESCO nel 1972 per la protezione del patrimonio culturale mondiale . Più in particolare la Convenzione si propone di salvaguardare cinque ambiti dell’attività umana:
– tradizioni ed espressioni orali, compresa la lingua come veicolo del patrimonio culturale intangibile;
– arti dello spettacolo;
– pratiche sociali, rituali e eventi festivi;
– conoscenze e le pratiche concernenti la natura e l’universo;
– artigianato tradizionale (Cfr. art.2, § 2).

Su istanza della Spagna, della Grecia, dell’Italia e del Marocco il Comitato intergovernativo dell’ UNESCO, ha valutato che la Dieta mediterranea, risponde ai requisiti per l’iscrizione nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, e ne ha deciso l’inserimento in occasione della V sessione svoltasi a Nairobi (Kenia) fra il 15 e il 19 novembre 2010 . E’ interessante riprendere la descrizione fornita nel disposto della decisione (Décision 5.COM 6.41) in quanto illustra bene l’ampiezza di significato sotteso all’espressione Dieta mediterranea: non solo il cibo, ma tutto quanto sta dietro al cibo “..un insieme di abilità, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, ivi comprese le colture, la raccolta o la mietitura, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e, in particolare, il consumo degli alimenti. La dieta mediterranea è caratterizzata da un modello nutrizionale che è rimasto costante nel tempo e nello spazio e di cui i principali ingredienti sono l’olio d’oliva, i cereali, la frutta e la verdura fresca o secca, una proporzione limitata di pesce, derivati del latte e carne, e numerosi condimenti e spezie, il tutto accompagnata da vino o infusioni, sempre nel rispetto delle credenze di ciascuna comunità”.

E non è ancora tutto. L’espressione Dieta mediterranea va ben aldilà del nutrimento, anche nella sua accezione più ampia, in quanto implica un “modo di vita”. “Essa favorisce i contatti sociali, i pasti collettivi, essendo la chiave di volta dei costumi sociali e degli avvenimenti festivi. Dà luogo a un formidabile corpus di saperi, canti, massime, storie e leggende. Si radica nel rispetto del territorio e della biodiversità, e assicura la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dell’artigianato legato alla pesca e all’agricoltura nelle comunità mediterranee di cui Soria in Spagna, Koroni in Grecia, Cilento in Italia e Chefchaouen in Marocco rappresentano degli esempi. Le donne giocano un ruolo particolarmente vitale nella trasmissione delle capacità, nella conoscenza dei rituali, della gestualità e delle celebrazioni tradizionali e infine nella salvaguardia delle tecniche.”
La Dieta mediterranea è stata inclusa negli inventari del patrimonio immateriale dei quattro Stati interessati, mentre è in attesa di essere iscritta in una lista trasnazionale in corso di costituzione.
La Dieta mediterranea costituisce il terzo elemento italiano che entra nella lista, dopo l’Opera dei Pupi siciliana e il Canto a tenore sardo. Si noti come le decisioni d’immissione nella lista – nella sessione di Nairobi – vedano, a fianco del riconoscimento per la dieta mediterranea, anche un analogo riconoscimento per la cucina francese e per quella messicana.

Già all’indomani del riconoscimento UNESCO si è assistita al fiorire di una varietà d’iniziative. In primo luogo in Puglia, ove va segnalata la nascita (il 30 novembre 2010 presso la sede della Provincia di Brindisi) della Fondazione Dieta Mediterranea Onlus, per la quale è stata scelta come sede il comune di Ostuni, fondazione che beneficia di un ampio supporto di associazioni, d’imprenditori privati oltre che della partecipazione di pubbliche amministrazioni. Gli obiettivi sono la valorizzazione dei prodotti del territorio, la prevenzione delle malattie (cardiovascolari e oncologiche associate all’alimentazione), la ricerca sulle componenti della dieta, la promozione di un nuovo modello di marketing ispirato allo “stile di vita mediterraneo” e basato sulla creazione di un marchio territoriale per le imprese locali i cui prodotti fanno riferimento alla dieta stessa . Anche la Sicilia si è dotata di una Fondazione della Dieta Mediterranea. Nasce a Palermo con lo scopo di tutelare e far conoscere questo regime alimentare, ponendosi obiettivi ambiziosi: l’organizzazione di un Fiera internazionale (biennale) dedicata alle materie prime che entrano nella dieta mediterranea, la creazione di una banca dati per tutti i prodotti tradizionali, la formazione (con master e corsi appositi) e la sensibilizzazione del più vasto pubblico mediante la pubblicazione di una rivista internazionale sul tema.

Nella Regione Liguria, e precisamente a Imperia (Savona), si è svolto nel 2011 il Forum Dieta mediterranea, organizzato in due sessioni (preparatoria il 6-7 maggio 2011 e conclusiva, in novembre, in coincidenza con il primo anniversario del riconoscimento UNESCO) con l’intento di identificare un “modello” condiviso di alimentazione mediterranea. Nella sessione conclusiva (17 e il 19 novembre 2011) si sono riuniti, oltre agli organismi economici e amministrativi italiani e liguri, rappresentanti della Commissione nazionale per UNESCO e delegati di 15 paesi affacciati sul bacino Mediterraneo per pervenire ad una definizione operativa del concetto di Dieta mediterranea e individuare delle strategie condivise di promozione e valorizzazione di un marchio UNESCO che sia esteso a “coprire” tutti i prodotti della dieta stessa.

L’Associazione nazionale Città dell’Olio e la neo-nata Rete delle città dell’olio mediterranee (Recomed) hanno presentato una mozione condivisa per proporre l’inserimento del Paesaggio Olivicolo Mediterraneo tra i siti del patrimonio mondiale, secondo la Convenzione UNESCO del 1972, quale potenziamento del riconoscimento già ottenuto dalla Dieta mediterranea: “…non si tratta semplicemente di un paesaggio inteso in senso geografico – ha precisato il presidente dell’associazione – bensì di un repertorio da salvaguardare di cultura, di storia e di tradizione millenaria che accumuna tutto il Mediterraneo ”.
L’olio di oliva riceve una duplice “sacralizzazione” per il concentrarsi su di esso di due differenti sguardi: il primo che lo vede sia come uno dei componenti centrali della Dieta Mediterranea e il principale condimento, il secondo che lo vede come il prodotto di un paesaggio identificativo del mondo mediterraneo.
Il paesaggio degli ulivi, riconosciuto come patrimonio regionale, si appresta a un salto di scala appellandosi a un riconoscimento internazionale per diventare un patrimonio dell’umanità.

Il patrimonio rurale come fattore di sviluppo locale

Il tema del patrimonio del mondo rurale è tornato in primo piano con l’adozione della Carta pan-europea per il patrimonio rurale: promuovere lo sviluppo spaziale sostenibile, avvenuta a Mosca l’8-9 luglio 2010, in occasione della 15° sessione della Conferenza della CEMAT . La Carta ha come oggetto “Il patrimonio rurale come un fattore di coesione territoriale” ed il presupposto da cui muove la risoluzione adottata dalla CEMAT è che “il patrimonio rurale è un bene effettivo ed una risorsa per i territori, un fattore ed una driving force nello sviluppo sostenibile del continente europeo, e gioca un ruolo decisivo nel rendere più attrattive le aree rurali e nel creare un equilibrio tra città e campagna”.

Partendo da questo presupposto la Carta sottolinea come qualsiasi territorio rurale, anche il più svantaggiato, possegga un patrimonio materiale o immateriale che contribuisce alla qualità della vita dei suoi abitanti, alla qualità del paesaggio e alla sua capacità attrattiva, un patrimonio che, peraltro, è particolarmente vulnerabile a causa del complesso delle trasformazioni sociali ed economiche in atto. In questa luce indica le linee di azione da intraprendere.

1- In primo luogo la conoscenza e il riconoscimento del patrimonio (in quanto i suoi valori non sono sempre di immediata evidenza), che si fonda su un processo di crescente consapevolezza, come dire di “formazione al patrimonio”. Tale processo potrebbe avvalersi della redazione di Guide nazionali o regionali compilate sulla base della Guida europea all’osservazione del patrimonio rurale-CEMAT, un documento portato all’attenzione dei Ministri responsabili della pianificazione del territorio, in occasione della Conferenza di Lubiana del 16-17 settembre del 2003, che ritorna ad essere di bruciante attualità . Il documento offre una traduzione operativa dei “Principi direttori per uno sviluppo territoriale sostenibile del continente europeo” adattandoli al territorio rurale. In forma chiara e con una semplice articolazione essa fornisce un’introduzione a ciò che costituisce il patrimonio rurale (patrimonio che comprende il paesaggio) e strumenti metodologici e tecnici per conoscerlo e valorizzarlo .

2- In secondo luogo la ricerca di un utilizzo idoneo del patrimonio che, a meno di essere sottoposto a un trattamento di carattere museale, è destinato ad evolvere. Diventa allora necessario un progetto entro cui inquadrare la nuova vita da restituire al patrimonio stesso.

3- In terzo luogo sviluppare le potenzialità del patrimonio per dare slancio allo sviluppo culturale e economico. E’ allora necessario un duplice approccio, da una parte trovare un equilibrio tra i metodi tradizionali di produzione, alla piccola scale e metodi innovativi, dall’altra spingere ad un uso pratico dei prodotti di natura culturale, locale, artigianale, turistica. Al riguardo vi sono iniziative legislative sul fronte dei marchi territoriali per i prodotti eno-gastronomici che potrebbero essere estese.

4- La quarta linea d’azione spinge a collocare il patrimonio al centro delle dinamiche territoriali, in una visione che assegna un ruolo significativo all’emergente “economia del patrimonio”, un’economia che richiede professionalità e coinvolgimento degli stakeholders e delle comunità interessate.

5- L’ultima linea guida suggerita riguarda le occupazioni e le professioni a sostegno dell’”economia del patrimonio”. E’ noto come l’interessamento al patrimonio locale, nella forma sia della conservazione che della valorizzazione, parta molto spesso dalle associazioni, che agiscono attraverso “volontari”. Pur riconoscendone il ruolo chiave, appare indispensabile, per il pieno successo delle iniziative, il coinvolgimento nei progetti e nella loro gestione di persone aventi una specifica preparazione, il coinvolgimento di “esperti”. Nasce quindi un’esigenza di formazione di figure professionali adeguate, che richiede di partire da operazioni elementari quali l’individuazione delle singole attività da svolgere, delle competenze che esse richiedono, delle istituzioni che possono fornirle, dei finanziamenti che possono essere utilizzati. Emerge il ruolo cruciale delle comunità locali, ma anche quello che le istituzioni preposte alla formazione (e le Università dovrebbero essere capofila) potrebbero giocare.

Paesaggio e prodotti enogastronomici come componenti del patrimonio rurale

La Guida europea all’osservazione del patrimonio rurale , prima ricordata, delinea una visione globale e operativa di patrimonio rurale , come “..l’insieme degli elementi materiali o immateriali che testimoniano le particolari relazioni che una comunità umana ha instaurato nel corso della sua storia con un territorio”. Vari aspetti di tale definizione appaiono di particolare interesse ai fini delle tematiche in discussione. Uno dei profili più rilevanti e attuali è rappresentato dalla compresenza, in questa idea di patrimonio, sia di elementi materiali che immateriali. Tra i primi vengono elencati: il paesaggio, i beni immobili (dimore rurali e costruzioni destinate ad usi artigianali, industriali, residenziali…), beni mobili (oggetti d’uso quotidiano, festivo, religiosi …), prodotti (la varietà di specie vegetali, animali, prodotti trasformati dall’uomo…). Tra i secondi vengono indicati: i saperi e le tecniche che sono alla base della costruzione dei paesaggi, delle architetture, dei manufatti, le parlate locali; le musiche, la letteratura orale oltre a forme particolari di socialità (feste, sagre..). A ben vedere viene suggerito un complesso insieme di elementi che sono in grado di riassumere tutto quanto potrebbe essere valorizzato attraverso la Dieta Mediterranea.

Il connubio tra elementi materiali e immateriali si presta bene a sintetizzare tutto quanto di nuovo sta dietro le produzioni eno-gastronomiche locali. Paesaggio e alimentazione, nella sua accezione più ampia che comprende sia i prodotti regionali e del terroir, sia le abitudini alimentari tornano oggi a rappresentare, dopo lunghi periodi di noncuranza nei confronti degli aspetti percettivi dell’ambiente e l’infatuazione per i cibi standardizzati, un campo di ricerca e di intervento fecondo a fronte dell’omologazione dei luoghi, l’uniformarsi dei cibi di larga produzione e il diffondersi degli world food.

NOTE

1. Si vedano gli articoli apparsi sul Nuovo Quotidiano di Puglia il 27 agosto 2003, 27 agosto 2003 e su La Gazzetta del Mezzogiorno del 31 agosto 2003.

2. Un’accorata denuncia è contenuta in La Gazzetta del Mezzogiorno del 31 agosto 2003: “Per spiantare basta presentare un modulo e qualche certificato”.

3. L’iniziativa si colloca in un contesto di particolare sensibilità al tema della tutela del paesaggio olivicolo, non solo della Puglia, ma più in generale dell’intero Mediterraneo, ad un anno di distanza dal riconoscimento UNESCO della dieta mediterranea quale elemento rappresentativo del patrimonio immateriale dell’umanità.

4. Al riguardo l’art. 2 introduce un’importante precisazione: “…la presente Convenzione si applica a tutto il territorio… e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani…Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati”.

5. L’entrata in vigore è avvenuta, come previsto, tre mesi dopo la ratifica da parte di trenta Stati. Si noti come la maggiore sensibilità nei confronti del patrimonio immateriale sembri essere appannaggio di alcuni Stati asiatici che risultano dotati di una legislazione che tutela e valorizza il patrimonio culturale immateriale. Tra di essi sono da menzionare il Giappone (1950), la Korea (1974), la Tailandia (1985), le Filippine (1973), la Mongolia (1999), il Vietnam (2001). Paradossalmente l’Europa, che rischia di veder sparire le proprie espressioni culturali sotto la spinta dei processi di standardizzazione in corso, vede presenti sistemi di tutela legislativa per il patrimonio immateriale solo in tre paesi scandinavi (Finlandia, Svezia e Norvegia).

6. Nell’art. 2 viene fornita la seguente definizione di Patrimonio culturale immateriale: “Si intendono per “patrimonio culturale immateriale” pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e i saperi – così come gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati ad essi – che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono come facenti parte del loro patrimonio culturale. Tale patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi interessati in conformità al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia, e fornisce loro un senso di identità e continuità, promuovendo così il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”.

7. I criteri invocati per il riconoscimento sono i seguenti: 1. La dieta mediterranea è un insieme di pratiche tradizionali, conoscenze e competenze trasmesse di generazione in generazione, che creano un sentimento di appartenenza e di continuità alle comunità interessate; 2. La sua iscrizione nella Lista rappresentativa potrebbe dare maggiore visibilità alla diversità del patrimonio culturale immateriale e favorire il dialogo interculturale ai livelli regionale e interregionale; 3. La candidatura descrive una serie di sforzi di salvaguardia intrapresi in ciascun paese, con un piano di misure transnazionali volte ad assicura la trasmissione alle giovani generazioni e a promuovere la sensibilizzazione alla dieta mediterranea; 4. La candidatura è il frutto di una stretta collaborazione delle istituzioni ufficiali nei quattro Stati, sostenuta dalla partecipazione attiva delle comunità ed essa comprende degli elementi di prova del libero consenso, preliminare e chiaro di queste ultime; 5. La dieta mediterranea è stata inclusa negli inventari del patrimonio culturale immateriale nei quattro Stati interessati e sarà inclusa in un inventario transazionale del Mediterraneo in corso di elaborazione. (ns. trad. Décision 5.COM 6.41)

8. Il percorso per ottenere tale riconoscimento, iniziato nel 2007, aveva ripreso vigore nel 2009 con la presentazione nel mese di maggio della candidatura. Ha goduto fin dall’inizio dell’incondizionato sostegno di Angelo Vassallo, sindaco di Mollica nel Cilento (ucciso in un agguato il 5 settembre del 2010) al quale la delegazione italiana ha dedicato l’importante riconoscimento.

9. Cfr. www.unesco.org (ns. trad.)

10. Si sono subito manifestate controversie sulla scelta della sede della Fondazione, per la quale il comune di Ceglie Messapica, sede di un Istituto Alberghiero e noto per la ricchezza della sua struttura di ristorazione, aveva vantato dei diritti di primazia. La controversia ha determinato la mancata adesione del Comune. Figurano tra i comuni fondatori quelli di Ostuni e Mesagne, mentre altri comuni limitrofi stanno aderendo all’iniziativa. L’atteso coinvolgimento del territorio stenta però a manifestarsi.

11. Una presentazione è stata fatta a Milano in occasione del Convegno “La dieta mediterranea non è una dieta” (18 gennaio 2012), in cui il segretario della Fondazione (dott. Agostino Grassi ) ha sintetizzato il messaggio dell’incontro nel modo seguente: “La dieta mediterranea non è una dieta perché è molto di più. E’ la cultura delle genti del Mediterraneo, fatta di tradizioni e stili di vita. Solo in questo modo una dieta diventa sostenibile, perché non delega altri a pensare a me. E la scienza è d’accordo: se vivo come vivevano i mediterranei e mangio anche come loro vivo meglio e più a lungo”. Cfr. Corriere della Sera, 16 gennaio 2012. Si veda anche S. G. SUKKAR, “Mediterrranean diet? No, thanks: mediterranean lifestyle!”, Mediterr.J.Metab, 4, 2011, pp.79-81.

12. Data articolo 30-4-2011

13. Cfr: www.rivistasitiunesco.it

14. CEMAT è la Conferenza Ministeriale permanente dei Ministri responsabili della pianficazione territoriale.

15. Se ne veda la traduzione italiana in M.C. ZERBI (a cura di), 2007, Guida europea all’osservazione del territorio rurale-CEMAT. Milano, Guerini.

16. I Principi direttori per uno sviluppo territoriale sostenibile del continente europeo sono stati adottati in occasione della Conferenza della CEMAT di Hannover del 2000 e sono stati presentati dal CoE, come proprio contributo, al programma delle Nazioni Unite “Azione 21” al Summit mondiale dell’ONU di Joannesburg nel 2002.

17. Più in particolare la Guida suggerisce di realizzare un lavoro di censimento delle componenti naturali, culturali e paesaggistiche delle aree rurali e di progettare possibili azioni di valorizzazione, arrivando a toccare le modalità con cui realizzarle e gestirle.

18. La Guida, che è stata presentata ai Ministri responsabili della pianificazione del territorio in occasione della 13° Sessione della CEMAT (Lubiana, 16-17 settembre 2003) mette in atto le disposizioni contenute nella Raccomandazione (Rec (2002) I) del Comitato dei Ministri sui Principi direttori per lo sviluppo sostenibile del territorio del continente europeo. Essa definisce una serie di orientamenti in materia di gestione del patrimonio rurale e, in modo correlato, di gestione del territorio che contribuiscono a definire uno sviluppo autonomo delle aree rurali, viste nelle loro molteplici sfaccettature, quali spazi di vita per la popolazione che vi risiede e luogo di sviluppo di attività economiche, come spazi naturali e di fruizione del tempo libero per i cittadini. Si veda Zerbi M.C. (a cura di), 2007, op. cit.

La foto di apertura è di WHS

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