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Produrre energia rinnovabile fa bene all’ambiente e alla crescita aziendale

In uno studio condotto da Antonella Basso e Maria Bruna Zolin, ricercatrici e docenti dell’Università Ca’ Foscari Venezia, tra le imprese agricole prese in analisi – con oltre un ettaro di terreno e una produzione compresa fra ottomila e dieci milioni di euro – solo il 7,2% è impegnato nella produzione di energia pulita. Osservare pratiche rivolte alla tutela dell’ambiente significa aumentare la produttività media del terreno: da una media di 11.672 euro per tutte le realtà che non generano rinnovabili, si può salire fino a 12.552 euro per le altre. Prendendo in considerazione solo quelle che generano biogas, la produttività media sale a 30.676 euro

Marcello Ortenzi

Produrre energia rinnovabile fa bene all’ambiente e alla crescita aziendale

Antonella Basso e Maria Bruna Zolin, ricercatrici e professoresse dell’Università Ca’ Foscari Venezia, hanno curato un importante studio pubblicato sul Journal of Productivity Analysis.

Le ricercatrici hanno preso in considerazione solamente le aziende con oltre un ettaro di terreno e con una produzione compresa fra ottomila e dieci milioni di euro. Quindi, hanno selezionato 9.927 realtà scoprendo che solo il 7,2 per cento è impegnato nella produzione di energia pulita.

“Le rimanenti 9.216 aziende agricole, pari al 92,8% del nostro campione, non producono rinnovabili, evidenziando il grande potenziale del comparto agricolo per contribuire alla crescita sostenibile”, spiegano.

Lo studio ha evidenziato che, oltre a un’occasione per contribuire alla transizione ecologica, produrre energia rinnovabile è anche una vera e propria opportunità di guadagno.

La produttività media del terreno è pari a 11.672 euro per le imprese che non generano rinnovabili, mentre sale a un valore medio di 12.552 euro per le altre.

Prendendo in considerazione solo quelle che generano biogas, addirittura, la produttività media sale a ben 30.676 euro (+162,81%).

La produttività media della forza lavoro è di 56.279 euro nelle aziende prive di impianti a rinnovabili; è di 83.092 euro per le aziende che ne sono dotate e di 85.752 per quelle produttrici di energia solare.

Gli investimenti, tuttavia, risultano molto pochi a causa delle barriere finanziarie, tecniche, sociali e regolatorie.

Queste andrebbero abbattute, a partire dal conflitto spesso ideologico fra sicurezza alimentare e sicurezza energetica, sfruttando per esempio dei terreni abbandonati per la produzione di energia.

Le ricercatrici si sono soffermate sul caso del biogas, ritenuto particolarmente interessante, data la dimensione e la diffusione degli allevamenti in Italia, specialmente nelle regioni settentrionali.

Si tratta soprattutto di piccole e medie imprese, che potrebbero non trovare conveniente investire in un impianto per il trattamento dei reflui zootecnici, che invece è indispensabile per il rispetto di quanto previsto dalla direttiva sui nitrati.

Per spingere un maggior numero di Pmi a implementare la produzione di biogas occorrerebbe incoraggiare gli agricoltori a optare per degli investimenti collettivi, aggirando così le dimensioni ridotte della maggior parte delle aziende agricole: i risultati dell’analisi mostrano che sarebbe conveniente anche a livello economico.

In apertura, foto di Olio Officina©

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