Serve un cambio di prospettiva per la gestione delle biomasse legnose
Pur rappresentando una importante risorsa rinnovabile, capace di favorire anche l’aspetto economico, la superficie forestale italiana non viene sfruttata al meglio delle sue possibilità. Pur aumentando in volume, non corrisponde lo stesso livello di prelievo, dove un’alta percentuale dei boschi versa nello stato di abbandono. Occorre quindi che si attui un controllo sostenibile, che fornisca materiale idoneo senza danneggiare l’ambiente
Il legno è la prima tra le energie rinnovabili (il 33% in Italia e il 40% nel mondo) e la seconda fonte di riscaldamento per le famiglie italiane, mentre di solito è ignorata questa realtà.
La biomassa solida è spesso accusata di essere sia fattore di inquinamento dell’aria, ma i dati dimostrano una realtà molto più complessa.
Volendo chiarire il problema legato al contributo alle emissioni di Pm da parte del riscaldamento domestico a legna e pellet occorre sapere che il riscaldamento a legna produce solo il 17% del Pm10 totale; di questo 17%, l’86% proviene da 6,3 milioni di generatori che hanno più di 10 anni di età e che sono quindi tecnologicamente obsoleti.
Oltre a ciò, anche l’uso improprio della stufa provoca emissioni 10 volte maggiori rispetto a un uso corretto.
Quindi la soluzione è di disponibilità a sostituire la vecchia stufa con una moderna e poi utilizzarla nel modo corretto.
Proprio per questo molti programmi regionali del Psr incentivano la sostituzione dei vecchi sistemi di riscaldamento a legna con quelli più efficienti.
Il turnover tecnologico e gli investimenti in innovazione e sviluppo degli ultimi anni hanno rivoluzionato il settore e hanno incrementato l’efficienza dei prodotti abbattendo i consumi e le emissioni.
Ammontano a 25 milioni le tonnellate di CO2 equivalente risparmiate annualmente in Italia grazie alla sostituzione delle fonti fossili con le biomasse legnose, una fonte rinnovabile.
Secondo Aiel, il legno usato per il riscaldamento domestico in sostituzione dei combustibili d’importazione porta anche benefici in termini economici, occupazionali e di difesa del territorio.
Un ettaro di bosco gestito secondo le buone regole forestali genera infatti in trecento anni un risparmio di CO2 dieci volte maggiore rispetto al risparmio derivato da una foresta “abbandonata”, grazie al suo uso come materiale da costruzione e come biocombustibile. Inoltre, un bosco in salute assicura regimazione delle acque e protezione da valanghe e frane.
Occorre quindi che si attui una gestione sostenibile, che può fornire materiale idoneo al riscaldamento e senza danneggiare il bosco.
Le più recenti statistiche hanno rivelato che la superficie forestale italiana (10,4 milioni di ettari) è più che raddoppiata in mezzo secolo, ma alla crescita in volume non corrisponde lo stesso livello di prelievo di legname (l’Italia preleva annualmente circa il 25% dell’incremento legnoso, posizionandosi al penultimo posto in Europa).
Ciò fa capire come in realtà il bosco italiano non sia gestito né utilizzato e versi quindi in stato di quasi abbandono, pur rappresentando una risorsa da tutelare e da mettere a valore.
Il mercato nazionale del legno appare in salute e vede sempre più consumatori scegliere stufe e caminetti a biomassa, consapevoli dei vantaggi legati al controllo della spesa e soprattutto alla gestione autonoma.
Rimarchevole anche l’aspetto “food trend”, con il ritorno delle cucine a legna e a pellet: una scelta ideale per chi punta ai sapori genuini che esaltano al massimo i profumi e gli aromi senza alterarne le caratteristiche organolettiche, mantenendo il valore della modernità nello stile e il rispetto per l’ambiente.
In Italia, secondo i dati Aiel, sono consumati 11 milioni di tonnellate di legna da ardere, circa 3,2 milioni di tonnellate di pellet e 1,3 mln di tonnellate di cippato.
Negli ultimi sei anni il consumo di legna e pellet nel settore residenziale è rimasto sostanzialmente stabile.
Per quanto riguarda il parco generatori sono oltre 8,3 milioni i sistemi di riscaldamento a biomasse complessivamente installati, in calo rispetto al 2014 quando si attestava sui 9,4 milioni di pezzi. La diminuzione è principalmente legata alla dismissione di apparecchi obsoleti.
Infatti, il 66% dei generatori installati ha più di dieci anni d’età, il 19% ha dai cinque ai dieci anni e il 15% ha meno di cinque anni.
Da qui la necessità di un turnover tecnologico per sostituire i vecchi prodotti con prodotti nuovi tecnologicamente avanzati e meno inquinanti.
La rivista dei consumatori Altroconsumo ha effettuato prove di laboratorio indipendenti su apparecchi a legna e pellet a quattro stelle con cicli di funzionamento reale, incluso accensione e spegnimento, dimostrando come le emissioni di polveri da parte dei generatori a legna e pellet si riducono da quattro a otto volte rispetto ai fattori di emissione utilizzati dall’inventario ufficiale Inemar (inventario delle emissioni in atmosfera), ovvero i livelli di emissione medi del parco installato.
Sul fronte delle emissioni di CO2 climalterante, per ogni megawattora di energia primaria prodotta, il gasolio emette in atmosfera 326 kg di CO2 equivalente, il Gpl 270 kg di CO2 equivalente, il metano 250 kg di CO2 equivalente, il pellet solo 29 kg di CO2 equivalente, la legna da ardere 25 kg di CO2 equivalente.
L’Associazione italiana delle energie agroforestali, per migliorare la qualità dell’aria nei prossimi 10 anni punta da un lato la sostituzione di almeno 350.000 apparecchi all’anno, dall’altro l’educazione del consumatore finale affinché gestisca correttamente il proprio generatore di calore a biomassa.
L’effetto combinato di queste due azioni produrrebbe una riduzione in dieci anni delle emissioni di particolato nell’ordine del 70%.
In apertura, foto di Olio Officina©
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