Salute

Cibo e antiossidanti, quanto di vero?

L’effetto salutistico degli antiossidanti contenuti in certi alimenti non è fondato su solide basi scientifiche. Il “naturale”? Attrae in un modo totalmente acritico. Si può ben comprendere come sia nata tutta un’industria incentrata sugli antiossidanti. E’ tutta suggestione? Ne vogliamo discutere? O preferiamo continuare a raccontare favole dall’effetto propagandistico? Cosa sostiene in merito la scienza?

Alberto Guidorzi

Cibo e antiossidanti, quanto di vero?

Effetto propagandistico. La proposta di integratori contenenti antiossidanti o la propaganda verso certi cibi decantandone l’effetto salute per il loro contenuto in antiossidanti è in crescita esponenziale, anzi, negli ultimi tempi, assistiamo addirittura a prescrizioni mediche di preparati di questi prodotti (il 34,8% degli integratori è venduto in farmacia tramite indicazione medica).

Chi non ha mai sentito dire di un frutto, di una verdura o di un prodotto preparato, anche purtroppo da nutrizionisti che fanno opinione o addirittura da medici e cattedratici che frequentano molto i mass-media, che essi hanno effetti benefici perché contengono: vitamine antiossidanti (C ed E) il selenio (hanno creato perfino un marchio di patate) o molti altri microcostituenti, come i carotenoidi o gli estratti polifenolici ed ultimamente sono arrivati anche il coezima Q10, l’acido lipoico, il glutatione e la melatonina. Sia ben chiaro che queste sostanze sono naturalmente presenti nel nostro organismo perchè sintetizzate in quanto svolgono un’azione benefica antiossidante.

E’ innegabile che i radicali liberi, in quanto composti con elettroni spaiati, si stabilizzino ossidando altre molecole – tra cui proteine, carboidrati, lipidi e il DNA, ma è altrettanto vero che I radicali liberi sono un pericolo inevitabile per il fatto di essere vivi. Qui non sono in discussione i benefici dell’attività antiossidante di prevenzione verso i radicali liberi, ciò che si vuol mettere in discussione è quale può essere in realtà l’apporto di antiossidanti con il cibo o con l’ingestione di integratori, costosissimi tra l’altro, che li contengono e che vengono venduti tramite gli alimenti che si fregino o meno della dizione di “funzionali”, oppure tramite prescrizioni medico-farmaceutiche. D’altronde nel voler fare quest’analisi si è supportati anche da uno studio del CNR, dove si afferma che:”… La biodisponibilità di queste sostanze è piuttosto bassa e il loro ruolo in vivo è ancora da chiarire… (Leggi QUI).

Se poi aggiungiamo che il “naturale” attrae in un modo totalmente acritico, comprendiamo come sia nata tutta un’industria che lega antiossidanti ed estratti naturali di piante le più strane e spesso esotiche (estratti di the, di melograno, d’uva, di piccoli frutti come il mirtillo rosso o il lampone, di scorza di pino, del cacao o di bevande ricavate dai frutti corrispondenti (the e vino).

Quali le dimensioni di questo mercato? Una recente comunicazione di una casa farmaceutica dice che il mercato degli integratori ha superato il valore del farmaco OTC (da banco) e per avere un’idea più completa basta guardare le slides QUI.
D’altronde se ricerchiamo su internet ci rendiamo conto dell’infatuazione per gli antiossidanti. E’ vero che alcuni sono critici (QUI), ma la stragrande maggioranza usa toni entusiastici, e, purtroppo, senza mai avanzare prove convincenti.
Due scienziati (J.M.C. Gutteridge et B. Halliwell.) mondialmente conosciuti come specialisti dei processi ossidativi hanno pubblicato un libro (QUI) in cui esprimono dei dubbi seri sugli effetti salute ed antinvecchiamento attribuiti agli antiossidanti contenuti nel cibo.

Cosa dice la scienza. Innanzitutto dobbiamo spiegare cosa sono questi “antiossidanti”. Occorre andare al 1948 per sentire parlare per la prima volta di antiossidanti (ERO l’acronimo delle lingue latine e ROS – reactive oxygen specie – di quelle anglosassoni) e del termine “radicali liberi” nella letteratura scientifica. Spesso ROS e radicali liberi sono usati come sinonimi e questo non e’ corretto per esempio H2O2 e’ ROS ma non radicale, così come HOCl e perossinitrito E’ solo dal 1970 però che emerge la nozione di potere antiossidante positivo nell’alimentazione e nella protezione di alimenti complessi e instabili. Per dare contenuto agli antiossidanti si era partiti dal fatto che la vitamina C proteggeva il latte dal gusto di rancido, mentre sempre negli anni ’70 alla vitamina C si diede un significato antinomico al precedente (Collins, 1971, J. Dairy Sci. 54 :148-152), più precisamente una potenziale pericolosità in presenza di metalli di transizione.

Si e’, però, dimenticato che nell’animale vivente gli antiossidanti vengono sintetizzati in continuazione in gran quantità, nell’alimento no, quindi bisogna aggiungerli. Essa sembra responsabile di lesioni cromosomiche probabilmente dovute alla formazione ex novo di radicali liberi. Spieghiamo meglio: un antiossidante non lo è in quanto tale, ma solo se trova una sostanza (molecola) che può subire la sua azione, nel senso che accetta di essere ridotta, vale a dire di cedere un elettrone. Per contro un antiossidante può anche incontrare una sostanza che invece è più disponibile ad accettare un elettrone e quindi in questo caso non è più un antiossidante, ma diviene un “proossidante”. In questo contesto ricorderei la nascita (nefasta) della dizione “stress ossidativo” coniata da H Sies (Sies H. Oxidative stress. Introductory remarks. In: Sies H, Ed. Oxidative Stress. Pp 1–8. London: Academic Press, 1985.)

Il problema è essenzialmente che “stress ossidativo” è diventato molto popolare tra gli addetti ai lavori e tutte le malattie conosciute sono in qualche modo associate alla presenza di “stress ossidativo” con migliaia di pubblicazioni definite scientifiche che lo attestino. Peccato che pressoché nessuno sappia come misurarlo lo stress ossidativo, anche se esistono centinaia di metodiche e decine di molecole definite come biomarker di stress ossidativo.

Molti antiossidanti si dimostrano tali in vitro ma non in vivo. Spesso vengono testati in sistemi in vitro capaci di ossidare molecole segnale (ne viene valutato l’effetto protettore), ma questo ovviamente in vivo non significa niente. C’e’ da considerare la biodisponibilità, la concentrazione con la quale la molecola può raggiungere le cellule (o l’ambiente extracellulare) che deve proteggere, quanto tempo ci mette e/o ci resta etc. Oltre a questo, vi è il fatto che ogni ROS (o RNS) ha reattività tipica verso alcuni antiossidanti magari ci reagisce e magari no, o troppo lentamente, quindi dire antiossidante è una grossolana approssimazione.

a) Antiossidanti e rischio cardiovascolare

Leggi QUI e QUI. La storia di questi due lavori è l’esempio di come la notizia che una vitamina o qualcosa di naturale sia benefico, anche se pubblicata con buone intenzioni, poi prenda vie incontrollabili.
Gli autori di ambedue gli articoli concludono: “public policy recommendations about the widespread use of vitamin E should await the results of these trials”

Alla stampa piace molto la notizia ad effetto:

Ovviamente, poi è venuto fuori che alcuni fattori confondenti non erano stati considerati, come il mancato controllo dei livelli ematici di vit E e vit C e la scarsa correlazione di questi e l’ingestione di nutrienti come dichiarato nei questionari. Oppure non considerazione del fatto che chi faceva diete più ricche di cibi contenenti vitamine è più attento alla salute in generale, facendo più attività sportiva ed una vita “più sana”.
Uno studio del 1993 (EURAMIC) pubblicato su “Lancet” dimostrava come non ci fosse differenza tra i livelli di vit E nel tessuto adiposo in soggetti colpiti da eventi cardiovascolari e controlli. Questo studio ha avuto molta meno esposizione mediatica.

Anche il mito del resveratrolo è stato ampiamente smontato infatti uno dei più attivi ricercatori nel campo barava ampiamente sui dati ed è stato anche licenziato dalla sua università dopo accurate indagini (QUI).

Comunque, il mito del resveratrolo come benefico antiossidante resiste ancora nella letteratura scientifica anche se si è cominciato a dire che il resveratrolo non fa bene perché è antiossidante ma perché ha altre virtù (QUI).

Il resveratrolo è stato anche tirato in ballo per spiegare il paradosso francese secondo cui il consumo di vino rosso sarebbe alla base della minor incidenza di malattie cardiovascolari a parità di dieta in Francia. Tutto molto affascinante peccato che basti leggere i risultati dello studio MONICA del WHO da cui si evince che la mortalità cardiovascolare diminuisce linearmente passando dai paesi del nord Europa a quelli del sud. Non c’e’ infatti differenza ad esempio tra nord Italia e sud della Francia mentre e’ significativa tra Norvegia e Sicilia. Ovviamente senza considerare che il resveratrolo ha biodisponibilità così bassa che ce ne vorrebbe una damigiana al giorno per raggiungere valori ematici significativi.

Negli anni ’80 poi è uscita la ricerca che ipotizzava che certi radicali liberi ossigenati giocassero un ruolo di ossigenazione delle lipoproteine LDL (trasportatrici del colesterolo) e che queste, una volta ossidate giocassero un ruolo importante nell’aterogenesi (deposito di placche di colesterolo nei vasi arteriosi), (Steinberg D, Parthasarathy S, Carew TE. Am. J. Cardiol. 1988, 62 : 6B-12B.). Infine negli anni ‘80 degli esperimenti in vitro mostrarono che la vitamina E (QUI) poteva essere un antiossidante protettore (Quehenberger et al 1987, Free Radic. Res. Commun., 3 : 233-242), e più tardi (Esterbauer et al 1993, Br. Med. Bull. 49 :566-576) venne suggerito (Hennig B, Boissonneault GA, Wang Y. Int. J. Vitaminol. Nutr. Res. 1989, 59 : 273-279) anche il meccanismo: la vit. E proteggerebbe lo strato interno delle arterie dove eventuali lesioni sappiamo essere la causa diretta dell’arteriosclerosi dell’uomo. Inoltre delle successive ricerche epidemiologiche che comparavano le popolazioni di vari paesi (Gey et al 1991, Am. J. Clin. Nutr., 53 : 326S-334S) sembravano confermare l’ipotesi, ma ben presto con studi epidemiologici molto più sofisticati per eliminare il rischio di biais metodologici non confermarono i risultati.

Un altro fatto è che negli animali da laboratorio gli antiossidanti sono protettori, mentre nell’uomo non lo sono. Le spiegazioni si sono sprecate, ma nessuna è convincente.
Se poi prendiamo in considerazione le ricerche più recenti e limitiamo l’esame alle più affidabili metodologicamente (clinical trials – RDIP) e che hanno studiato il rapporto tra antiossidanti (quelli studiati sono stati la vitamina E e C, il beta-carotene e il selenio; singoli o associati) e malattie cardiovascolari si ricava che 12 pubblicazioni tra il 1996 ed il 2008, di cui 5 di prevenzione primaria, una sola tra le 5 ultime da un’associazione tra antiossidate (vit, E) e diminuzione del rischio. La diminuzione è solo sul rischio di decesso, ma non sull’insieme degli effetti maggiori legati alla malattie vascolari.

Circa i polifenoli e in particolare i flavonoidi, che costituiscono una famiglia importante dei polifenoli, l’analisi di 133 studi recenti mostra chiaramente che non si conosce fino ad ora l’influenza di questi composti sugli indicatori primari del rischio cardiovascolare nell’uomo (Hooper L, Kroon PA, Rimm EB, et al. Am. J. Clin. Nutr., 2008, 88 : 38-50). Purtroppo, bisogna dire anche che molti studi non sono fatti in base a indicatori primari (decessi o implicazioni cliniche maggiori), ma solo sui biomarcatori (la ricerca diviene così meno costosa…) validati (tasso del colesterolo e ipertensione) o su altri ritenuti correlati (spessore delle pareti, marcatori dell’infiammazione come la proteina C reattiva) ed è su questi che sono basati i consigli dietetici ed in particolare tutte le indicazioni afferenti la capacità di un alimento di possedere una allegazione funzionale.

Ebbene su otto studi, uno solo permette di collegare antiossidante con la diminuzione del rischio e per di più questa relazione è stata vista solo nell’uomo e non nella donna. Su 15 ricerche in vivo fatte tramite biomarcatori, i punti fondamentali di cui si occupa il Prof. Ranieri Rossi sono: cosa sono i biomarker di ossidazione, quali misuriamo, come li misuriamo. Ad oggi ognuno misura quello che gli pare e come gli pare con una fiorente industria che spaccia kit farlocchi per la misura di quello o quell’altro biomarker di stress ossidativo e con centinaia di ricercatori che se approfittano.

Nel lavoro pubblicato su CRCLS abbiamo analizzato la letteratura limitandoci ai soli lavori del 2006 in cui compare nel titolo o nell’abstract la parole “stress ossidativo” e “sangue”, limitandoci ai lavori a cui avevamo accesso on line. E’ venuto fuori che vengono utilizzati 71 parametri diversi come biomarker di stress ossidativo ognuno di questi misurato con 3-5 metodiche diverse, ma quello che è più grave con livelli riportati che variavano fino a 2 ordini di grandezza anche nei controlli. In pratica ognuno può dire quello che vuole tanto lo stress ossidativo non si conosce bene e non lo si vuole misurare.

Circa l’influenza dell’antiossidante sull’uomo, ben 9 non permettono di stabilire nessun legame tra effetto antiossidante e il mangiare cibo contenente antiossidanti, 4 danno legami contraddittori a seconda del biomarcatore e solo 2 supportano l’esistenza del legame.
Questi dati, per cui un antiossidante perde le sue capacita in vivo di antiossidare, sono paradossali solo in apparenza se si pensa che essi prima di tutto perdono le loro capacità antiossidanti nel corso della digestione, dell’assorbimento o dei processi metabolici ed in secondo luogo essi comunque arrivano, sempre per effetto di quanto appena detto, in quantità talmente ridotte nel circolo sanguigno da essere surclassati nelle quantità da parte degli antiossidanti endogeni prodotti dall’organismo stesso. Addirittura essi possono divenire dei proossidanti come è il caso della della vit. C in presenza di ferro ferroso o del beta-carotene e vi sono studi (ambedue in vitro) che lo dimostrano: (Podmore ID, Griffiths HR, Herbert KE, Mistry N, Mistry P, Lunec J. Nature, 1998, 392 : 559); ( Palozza P, Calviello G, Serini S, Maggiano N, Lanza P, Ranelletti FO, Bartoli GA. Free Rad. Biol. Med.2001, 30 : 1000-1007.). La vit C in presenza di ferro o rame non è certo un toccasana, in generale la cosa più dannosa sono i metalli che possono partecipare a reazioni di ossidoriduzione, infatti, questi non circolano da soli ma ben chelati in proteine come ceruloplasmina, ferritina e transferrina.

In conclusione. Allo stato delle ricerche scientifiche affidabili, è impossibile sostenere o giustificare una allegazione verso un ruolo protettore degli antiossidanti ingeriti con il cibo nei confronti delle malattie cardiovascolari. Quindi coloro che assegnano un effetto terapeutico agli antiossidanti contenuti nei cibi che vendono o lo provano o non lo potrebbero dichiarare. Tuttavia essi aggirano la disposizione di legge adducendo un effetto anticolesterolemico, che è un effetto salutistico e non terapeutico ed di cui ne è ammessa la dichiarazione senza doverla dimostrare, Solo che il consumatore non fa di queste distinzioni un po’ da azzeccagarbugli e quindi il messaggio che passa è che sono terapeutici.

b) Antiossidanti e cancro

Le malattie tumorali implicano anch’esse dei fenomeni ossidativi (questo è, però, da dimostrare in quanto ad oggi nonostante le centinaia di pubblicazioni a riguardo, non e’ chiaro come si debbano misurare “i fenomeni ossidativi” è come dire che uno e’ diabetico e poi tutti misurano parametri diversi, con metodi diversi e livelli diversi senza valori di riferimento. Il fatto del collegamento cancro radicali liberi è nato probabilmente dal fatto che le radiazioni ionizzanti sono sicuramente cancerogene per produzione di OH°, questo è un forte ossidante che reagisce praticamente con tutto a velocità “near diffusion limited” quindi anche con DNA rompendone la catena. Ma da qui a definire il legame cancro-stress ossidativo… Però la letteratura è piena di lavori, in genere piccoli studi che lo attestano e da qui si è fatta strada l’idea che gli antiossidanti potessero avere un ruolo preventivo, idea tra l’altro confortata da studi epidemiologici osservazionali. Ciò ci permette, essendoci degli studi, di poter trarre delle conclusioni più affidabili.

Le sostanze ad effetto antiossidante più studiate sono la vitamina E e il β-carotene.
Uno studio ha mostrato che la vitamina E potrebbe rallentare la progressione del cancro alla prostata nei fumatori (The ATBC Study Group. N. Engl. J. Med., 1994, 330 : 1029-1 035 and N. Engl. J. Med., 2003, 290 : 476-485), ma questi risultati non sono stati confermati, come non lo sono per i tumori degli apparati aerodigestivi. Per contro il β-carotene sembra proprio capace di accelerare la progressione del tumore al polmone in soggetti già esposti a maggiori rischi (Omenn GS, Goodman GE, Thornquist MD et al. « The CARET Study ». N. Engl. J. Med., 1996, 334 :1150-1155). Tuttavia questi risultati non sono stati confermati in soggetti non esposti (Hennekens CH, Buring JE, Manson JE et al. N. Engl. J. Med., 1996, 334 : 1145-1149). Sembra anche che il rischio di tumore gastro-intestinale sia aumentato con l’ingestione di complementi antiossidanti (Bjelakovic G, Nikolova D, Simonetti RG, Gluud C. Lancet, 2004,364 :1219-1228).

Lo studio Su.Vi.Max (SUpplementation en VItamines et Mineraux Anti-oXidants) francese condotto con rigore scientifico e durato 8 anni ha mostrato che un miscuglio di sostanze antiossidanti influenzavano il rischio cardiovascolare nell’insieme della popolazione esaminata. Nello studio la somministrazione è avvenuta mediante capsule contenenti tra l’altro le vitamine C (120 mg) ed E (preparato sintetico 30 mg), β-carotene (sintetico 6 mg), selenio (120 mcg) e zinco. Il rischio di cancro diminuiva negli uomini ma non nelle donne.

L’interpretazione data è stata che l’uomo ha contenuti di β-carotene nel sangue molo minori delle donne e quindi ne traeva più vantaggi. (Hercberg S, Pilar Galan P, Paul Preziosi, P et al. Arch. Intern. Med., 2004,164 : 2335-2342). Tuttavia Hercberg subito dopo la pubblicazione dei risultati si prodigò nel dire che non era necessario ricorrere a capsule, ma si doveva mangiare frutta e verdura (lo studio era finanziato da associazioni di produttori ortofrutticoli). Interpellato perché, pur avendo usato integratori nell’esperimento, ne ricava la conclusione che bisognava mangiare frutta e verdura, la sua spiegazione è stata: motivi metodologici!

E’ da qui che poi si è divulgato al pubblico e da tutti è stato propagandato il motto “5 frutti e verdure al giorno” che ha aumentato ancora di più l’indeterminatezza del messaggio (quali frutti e quali verdure?). Solo che per raggiungere i quantitativi di antiossidanti somministrati nella prova mangiando frutta è verdura occorre consumarne dei chilogrammi, Infatti, rispetto ai consumi normali di frutta e verdura che si fanno, la prova ha apportato contenuti di 4 e 2 volte più di vitamina E e C, 3 di selenio e 2 di zinco. Guarda caso poi, lo studio finanziato dai produttori di frutta e verdura non ha tanto giovato a loro quanto ai produttori di integratori con antiossidanti sintetici (QUI e QUI)

In conclusione: dato che anche rispetto al cancro di evidenze scientifiche sicure non ve ne sono, significa che, anche in questo caso, nel cibarsi non vale la pena fare scelte solo in funzione degli effetti salutistici e tantomeno terapeutici. Non ve ne sono di provati. Rimane intatto invece la validità di una dieta equilibrata fondata su un apporto appropriato di carboidrati, grassi e proteine tramite alimenti molto variati e comprendenti vegetali, frutta verdura, carne e pesce. Al limite è meglio scegliere semplicemente un cibo perché è buono o perché fa parte della nostra tradizione e soprattutto non ci si deve abbuffare… salvo farlo qualche volta perché la vita va vissuta ed è ancora valido il detto latino “semel in anno licet insanire”!!!

(1) Differenza tra “rischio” e “pericolo”

Il pericolo è una fonte potenziale di danno. Il pericolo in sé non pone problemi in quanto è funzione dell’esposizione. Il rischio invece è la probabilità del pregiudizio legato all’esposizione ad un pericolo. In una casa in Italia un coltello rappresenta un rischio di pericolo maggiore di un serpente a sonagli. E’ però d’uso comune associare sempre il rischio al massimo del pericolo e quindi nell’uso comune il serpente rappresenta un rischio di pericolo maggiore anche da noi.

La presente nota è il frutto di un assemblaggio di articoli dei seguenti specialisti:

– Claude-Louis Léger, che è direttore di ricerca all’INRA. Ha diretto numerosi lavori sugli antiossidanti ed il loor modo di azione, e su degli alimenti naturalmente ricchi in antiossidanti. Ha partecipato alla redazione di molti rapporti dell’AFSSA. Ha codiretto un programma europeo sulla valorizzazione degli antiossidanti dell’olivo.

– Roland Cash, che è un medico, economista della salute e incaricato di insegnamenti al Corservatorio Nazionale delle Arti e Mestieri in economia della salute. In particolare si è occupauto dello studio Su.Vi.Max

– Il contenuto di un rapporto dello PNNS, Programme National Nutrition-Santé, francese dal titolo “Alimentation, nutrition et cancer : quelques idées fausses et stéréotypes.

– Vari articoli di Léon Guéguen sul biologico

– Rivista AFIS n° 283-2008 contenente un dossier su Alimentation et santé

– Ringrazio vivamente Ranieri Rossi PhD – Department of Life Sciences Laboratory of Pharmacology and Toxicology University of Siena, Via A Moro 4, 53100 Siena – per aver accettato di visionare questa nota e di avervi apportato doverose integrazioni.

La foto di apertura è di Luigi Caricato

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