Salute

Health claims dell’Efsa sull’olio

I polifenoli dell’olio di oliva e il loro ruolo protettivo. Un utile studio sulla qualità nutrizionale degli oli extra vergine di oliva sugli scaffali italiani. L’articolo “Dove sono finiti i claims?”, pubblicato su OlioOfficina, è stato uno stimolo per approfondire un tema centrale, tutto incentrato sui benefici nutrizionali

Nicola Caporaso

Health claims dell’Efsa sull’olio

La critica principale che si muove verso gli health claims dell’EFSA relativi all’olio di oliva è la difficoltà del linguaggio, che rende forse incomprensibile il significato di queste frasi al vasto pubblico, e dunque al consumatore, a cui non è certo richiesta una formazione scientifica universitaria per acquistare dell’olio.
I polifenoli, composti fenolici, biofenoli o con qualsiasi altro nome si vogliano riportare, esercitano un ruolo protettivo quando l’assunzione giornaliera supera una certa soglia minima. L’EFSA ha stabilito che il consumo dovrebbe essere per lo meno pari a 5 mg di idrossitirosolo, usando quindi questa specifica molecola come metro, e quindi esprimendo tutti i composti fenoli dell’olio come idrossitirosolo.

Ora, per avere un consumo di 5 mg, non possiamo certo bere mezza bottiglia di olio di oliva al giorno, per il suo alto contenuto calorico (resta pur sempre un grasso). Il quantitativo giornaliero raccomandato di olio consigliato – basato ad esempio sulle richieste nutrizionali per l’acido linoleico e linolenico – è di due cucchiai al giorno, corrispondenti a circa 23 grammi. I famosi 5 mg dovrebbero quindi essere assunti consumando 23 grammi di olio. Pur non essendo specificata una concentrazione minima di fenoli nell’olio, sembra quindi chiaro che un buon olio extravergine di oliva, per poter vantare il claim dell’EFSA, dovrebbe contenere almeno 200-250 mg /kg di composti fenolici.

Da uno studio su 32 oli extravergini di oliva prelevati direttamente dagli scaffali italiani, si è giunti ad un articolo scientifico di cui sono co-autore, pubblicato recentemente su una rivista scientifica internazionale (Journal of Food Composition and Analysis). Dalle nostre analisi è emerso – innanzitutto – che è ancora di notevole la quantità di oli etichettati come “extra vergine di oliva” ma che non superano i test analitici e soprattutto sensoriali previsti per legge.
Per quanto riguarda i polifenoli e i tocoferoli è emersa una grande variabilità. Ad esempio, nonostante la media della concentrazione di tocoferoli sia di circa 200 mg/kg, i valori minimi e massimi erano compresi fra 100 e 300 mg/kg. Ancora più eclatanti i valori dei polifenoli totali: da circa 50 a circa 500 mg/kg, quindi sullo scaffale si può comprare un olio “salutare” che ha 500 ppm di biofenoli, o uno che ne ha ben dieci volte meno.

Un’altra nota riguarda la concentrazione di esteri metilici ed etilici degli acidi grassi, i cosiddetti alchil esteri. Questi composti hanno avuto una revisione con abbassamento della concentrazione massima per gli extra vergini, che al momento della stesura dell’articolo era ancora a 75 mg/kg. Con l’abbassamento del limite, il numero di oli non definibili più extravergine sulla base del livello di alchil esteri sarà ancora maggiore.

Il dato migliore, come ci si aspettava, è stato ottenuto per gli oli DOP, che avevano la concentrazione di alchil esteri più bassa fra i campioni analizzati, insieme ad alcuni altri oli etichettati come “100% italiani”. Anche la concentrazione dei composti fenolici era notevolemente maggiore negli oli 100% italiani, e in particolare in quelli DOP, raggiungendo valori fra 400 e 590 mg/kg di biofenoli totali in quest’ultimo gruppo.

Confrontando le medie dei valori ottenuti da extravergini etichettati come blend di oli comunitari (quindi, probabilmente miscele di oli spagnoli, greci e italiani) e quelli 100% italiani, per questi ultimi si sono ottenuti valori significativamente maggiori per tutti i seguenti parametri: attività antiossidante, concentrazione in tocoferoli, composti fenolici totali e punteggio al panel test.
Con particolar riguardo ai composti fenolici, è da notare che la media per gli italiani era di circa 300 mg/kg, mentre per i blend europei era di circa la metà.
Sulla base di questa considerazione, perciò, non è detto che tutti gli oli extravergine possano automaticamente forgiarsi degli health claims previsti dall’EFSA, e i produttori (o l’industria) dovranno avere la certezza che la concentrazione dei composti fenolici raggiunga almeno la soglia minima.

Un altro paio di considerazioni finali sono però d’obbligo.

1. E’ vero che a maggior concentrazione di fenoli corrispondono maggiori benefici nutrizionali e maggiore attività antiossidante in vivo e in vitro (che aiuta anche nella conservazione dell’olio), ma la conseguenza sensoriale è quella di un olio amaro e piccante, che è di difficile accettabilita’ sensoriale da parte del consumatore. Quando si parla di oli di qualita’, i concetti di equilibrio e di armonia vanno considerati in modo adeguato, e non avrebbe forse senso cercare di ottenere a tutti i costi un olio che esprime quasi esclusivamente forte note di amaro e piccante.

2. A livello analitico, è ancora da definirsi la tecnica di analisi ufficiale da adottare per quantificare i composti fenolici dell’olio di oliva, in modo da armonizzare la legislazione europea e dei paesi membri del COI. All’interno del gruppo di esperti chimici del COI è in corso da tempo il dibattito relativo al metodo, poiché ad esempio l’adozione di un metodo colorimetrico come il Folin-Ciocalteu o la cromatografia mediante HPLC, con o senza idrolisi preventiva dei fenoli, può portare a valori leggermente diversi.

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Lo studio citato

Dove sono finiti i claims?

La foto di apertura è di Gianfranco Maggio

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