Salute

La frittura degli alimenti

Cose da sapere. Su tale metodo di cottura c’è ancora molto da conoscere. Ed è troppa la disinformazione come tanta, nel medesimo tempo, la superficialità nell’approccio. Cosa fare, ad esempio, per cercare di tenere sotto controllo il pericolo acrilamide? E’ giusto consigliare di limitare il consumo di cibi impanati e fritti?

Giuseppe Caramia

La frittura degli alimenti

Le fritture vengono fatte con grassi di origine animale, lardo, strutto, burro, che, a temperatura ambiente, si presentano allo stato solido e sono costituiti prevalentemente da grassi saturi, o con oli vegetali che si presentano allo stato fluido e sono costituiti prevalentemente da grassi insaturi. Fa eccezione la margarina che è un grasso solido prodotto idrogenando oli vegetali, rendendo cioè saturi gli acidi grassi insaturi attraverso l’assorbimento di idrogeno.

Gli oli di semi ricchi di acidi grassi polinsaturi (cioè con più doppi legami fra gli atomi di carbonio) e in particolare di acido linolenico si ossidano facilmente e, quando l’olio, durante la cottura o frittura, viene riscaldato ad alte temperature l’ossidazione è ancora più rapida per la rottura dei doppi legami e l’assunzione di ossigeno, dando così luogo all’abbondante formazione di perossidi e radicali liberi, che sono considerati dannosi e cancerogeni una volta introdotti con l’alimentazione (Br J Nutr. 2002 Jul;88(1):57-65.).

Il riscaldamento degli oli, come avviene nella cottura o frittura, oltre ad accelerare un normale processo di ossidazione quando raggiunge temperature elevate superiori al loro punto di fumo, cioè la temperatura che viene raggiunta prima di sprigionare fumo, determina una perdita di valore nutritivo e formazione di composti tossici. Fra questi, la più importante è l’acroleina, tipica sostanza tossica per il fegato e irritante per la mucosa gastrica, dovuta alla frittura e prodotta dalla disidratazione del glicerolo in quantità tanto maggiore quanto più l’olio è ricco di acidi grassi insaturi.

L’olio di semi per frittura meno dannoso alla salute è, pertanto, quello di arachide che contiene di solito il 35% di acidi grassi polinsaturi, seguito da quello di girasole, che ne contiene il 55% e che si cerca di modificare con interventi genetici (Skorić D,et al. Can J Physiol Pharmacol. 2008).
Dopo la prima frittura, però, si rileva la comparsa di una quantità rilevante di acroleina, che ne sconsigliano l’uso per una seconda frittura, sia in padella che in friggitrice.

Una particolare attenzione, per l’uso nella frittura, merita invece l’olio extra vergine di oliva, in quanto ha un elevato punto di fumo e contiene pochi acidi grassi polinsaturi, per cui subisce un’ossidazione limitata. Inoltre, essendo una spremuta di un frutto che non ha subito trattamenti chimici con esano, butano, propano eccetera, contiene una notevole quantità di antiossidanti, polifenoli, tocoferoli, squalene eccetera, che danno luogo a una importante protezione dalle alte temperature per cui si riscontra una quantità di acroleina pericolosa, solo dopo almeno 2-3 fritture (Indart A, et al. Free Radic Res. 2002).

Infine, non va dimenticato che l’olio extra vergine d’oliva contiene composti ad azione anti-infiammatoria e detossificanti, che, utili al frutto dell’olivo per difendersi da batteri e parassiti, sono simili a quelli dell’uomo, per cui possono in qualche modo essere utili a proteggerlo dall’acroleina formatasi durante la frittura.
In conclusione, dunque, l’olio extra vergine d’oliva è il grasso più adatto per le fritture.

Un discorso a parte merita poi la presenza, in particolare negli alimenti fritti, dell’acrilamide, sostanza tossica che si forma durante il processo di cottura, a temperature elevate, degli alimenti ricchi di carboidrati. Scoperta alcuni anni fa nelle patatine fritte, aveva suscitato notevole scalpore per l’azione neurotossica e perché sospettata di essere un agente mutageno, e quindi cancerogeno, per cui ha indotto diversi gruppi di ricerca a studiare tecniche di cottura che possano evitare un simile inconveniente.

L’argomento, rimasto sempre all’attenzione dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), suscita timori sia da parte degli enti di sanità pubblica, preposti al controllo degli alimenti, sia da parte dei cittadini per il notevole consumo di prodotti da forno derivanti dai cereali e dalle patate.
La formazione di questa sostanza, soprattutto per gli alimenti ricchi di amido quali patate e cereali, comincia a temperature superiori ai 120ºC e diventa massima intorno ai 190°C.

La prevenzione si attua da un lato cercando di eliminare il problema all’origine, cioè selezionando varietà di patate e cereali che generino la minore quantità possibile di acrilamide e, dall’altro, puntando sull’ottimizzazione dei processi industriali e sull’informazione della cittadinanza.

Per cercare di tenere sotto controllo il pericolo acrilamide, viene pertanto consigliato di limitare il consumo di cibi impanati e fritti, in quanto farina e pane grattato sono ricchi di amido, di evitare altresì le parti troppo arrostite o carbonizzate, il pane troppo tostato, e di scegliere, per il fritto, un buon olio extra vergine di oliva, mantenendolo a una temperatura di 170° C e cambiarlo di volta in volta senza “rabboccarlo” e, quando possibile, preferire metodi di cottura al vapore, la bollitura e il cartoccio (non adatto però per i cibi acidi, come limoni e pomodori, perché la loro azione combinata con il calore favorisce il rilascio di alluminio dalla stagnola) (Napolitano A, et al. J Agric Food Chem. 2008).Non bisogna mai esagerare in ogni caso con la cottura, che fra l’altro accentua la perdita di vitamine e micronutrienti, soprattutto dei prodotti vegetali.

L’associazione di alimenti fritti con le verdure fresche, infine, diminuisce i rischi associati all’acrilamide e ad altre sostanze tossiche che si sviluppano durante il processo di cottura, sia per il loro prezioso carico di antiossidanti, sia perché le fibre ne riducono l’assorbimento di nutrienti dannosi.

La foto di apertura è di Lorenzo Cerretani

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