Salute

Suicidio, la devastazione della Coscienza

La mission impossible della prevenzione e della predittività in un articolato e circostanziato saggio. In questi anni si è cercato di prevedere le persone con maggiore rischio suicidario tramite procedure di imaging cerebrale e intelligenza artificiale. I risultati dello studio, pur a fronte di un numero limitato di campioni rappresentativi, sembrano incoraggianti. Pare impossibile che il pensiero suicida, fino alla sua attuazione, sia avulso dall’aura psicopatologica; le evidenze biochimiche e molecolari, fino ad oggi documentate, non trascurano gli effetti della ridotta concentrazione di colesterolo e acido linoleico

Marco Cavaglià

Suicidio, la devastazione della Coscienza

I terremoti non si possono evitare, né, a oggi, è possibile prevederli con precisione. I terremoti, infatti, si verificano in modo solo apparentemente casuale e in alcuni casi è possibile ricondurre la sismicità al concetto di caos deterministico”

Enciclopedia Treccani

Anche nella psicopatologia potremmo parlare di “caos deterministico” per via della molteplicità dei fattori coinvolti, come si può osservare nella figura seguente:

È, verosimilmente, la concomitanza di tutti questi fattori che, in una coincidente serie di fenomeni, si realizza la condizione psicopatologica.

All’interno della condizione psicopatologica, con prevalenza nel disordine bipolare, si può inscrivere il determinismo suicidario.

Per affinità con il “terremoto” nella devastazione ambientale che produce, prevedere il suicidio, nella devastazione della coscienza che produce, è praticamente impossibile, prevenire può essere più probabile anche se, la complessità degli interventi rende particolarmente difficile attuare una prevenzione sistematica ed efficace.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità fra le possibili cause coinvolte nel determinismo suicidario riferisce:

“I disturbi della salute mentale (in particolare la depressione e l’abuso di sostanze) sono associati a oltre il 90% di tutti i casi di suicidio”.

Tuttavia, il suicidio deriva da molti fattori socioculturali complessi ed è più probabile che si verifichi durante periodi di crisi socioeconomica, familiare e individuale (ad es. perdita di una persona cara, disoccupazione, orientamento sessuale, difficoltà nello sviluppo della propria identità, dissociazione dalla propria comunità o altri /gruppo di credenze e onore)” …

“Le strategie che comportano la restrizione dell’accesso ai metodi comuni di suicidio si sono dimostrate efficaci nel ridurre i tassi di suicidio. Tuttavia, è necessario adottare approcci multisettoriali che coinvolgano altri livelli di intervento e attività, come i centri di crisi.

Esistono prove convincenti che indicano che un’adeguata prevenzione e trattamento della depressione, dell’alcol e dell’abuso di sostanze può ridurre i tassi di suicidio.

È stato dimostrato che gli interventi scolastici che coinvolgono la gestione delle crisi, il miglioramento dell’autostima e lo sviluppo delle capacità di “fare fronte” e di un sano processo decisionale riducono il rischio di suicidio tra i giovani.

L’Associazione Internazionale per la Prevenzione del Suicidio (IASP) www.med.uio.no/iasp/index fornisce un forum per organizzazioni nazionali e locali, ricercatori, volontari, medici e professionisti per condividere conoscenze, fornire supporto e collaborare alla prevenzione del suicidio in tutto il mondo.

In queste dichiarazioni, come nelle tante altre della letteratura che affrontano l’argomento “prevenzione”, non si fa mai riferimento all’esistenza di possibili marcatori biologici come reperti caratteristici del quadro bio-molecolare del suicida, facendo supporre dell’esistenza di un’imponderabile quanto impalpabile percorso della mente nell’intenzione suicidaria.

Prima di affrontare questa complessa argomentazione, è bene ricordare come il reperto di indicatori biochimici abbia consentito di realizzare uno strumento diagnostico che consente di discriminare la condizione depressiva maggiore dalla condizione bipolare, cioè le due manifestazioni all’interno delle quali può inquadrarsi la dinamica suicidaria.

Oltre a ciò, lo stesso strumento diagnostico ha consentito, seppure per un numero ridotto di casi, di identificare una precisa caratteristica che, nella membrana piastrinica, nella sua affinità con il neurone, consente di ragionare in senso molecolare sull’evento del tentativo suicidario.

La ridottissima concentrazione dell’Acido Linoleico, nonché la dimostrazione che l’andamento dell’Acido Linoleico si accompagna al conseguente andamento della concentrazione del Colesterolo (al calare della concentrazione dell’Acido Linoleico corrisponde un calo della concentrazione del Colesterolo), sembrano essere le due caratteristiche che intervengono sulla molecolarità della membrana provocando il terremoto della coscienza (per ragioni di non complessare questo scritto con l’inserimento delle bibliografie, esse saranno fornite a richiesta, come garanzia delle affermazioni).

Come risulta da un’autorevole letteratura scientifica, quindi, Acido Linoleico e Colesterolo possono essere considerati indicatori dell’intenzione suicidaria, smentendo l’orientamento psichiatrico nel suo ostinato perseverare nel non riconoscere la molecolarità del suicidio.

Prima, tuttavia, di scendere nel dettaglio esplicativo del fenomeno, sembra corretto riferire la sequenza delle dichiarazioni che portarono Thomas Insell, Direttore dell’Istituto Nazionale della Salute Mentale degli Stati Uniti, al tempo della sua carica, a contestare il DSM V (considerato la bibbia della diagnosi psichiatrica) per l’assenza di ogni riferimento a marcatori biologici nella diagnosi psichiatrica.

Nella cronologia si avvertirà anche come fosse poi indotto a una dichiarazione congiunta con il Presidente degli psichiatri americani, ad attenuare le sue dichiarazioni.

By Thomas Insel on April 29, 2013

… L’obiettivo di questo nuovo manuale, come di tutte le precedenti edizioni, è fornire un linguaggio comune per descrivere la psicopatologia. Mentre il DSM è stato descritto come una “Bibbia” per il settore, è, nella migliore delle ipotesi, un dizionario, che crea un insieme di etichette e ne definisce ciascuna. La forza di ciascuna delle edizioni del DSM è stata “l’affidabilità”: ogni edizione ha assicurato che i medici utilizzassero gli stessi termini nello stesso modo. Il punto debole è la sua mancanza di validità. A differenza delle nostre definizioni di cardiopatia ischemica, linfoma o AIDS, le diagnosi del DSM si basano su un consenso sui gruppi di sintomi clinici, non su una misura oggettiva di laboratorio. Nel resto della medicina, ciò equivarrebbe a creare sistemi diagnostici basati sulla natura del dolore toracico o sulla qualità della febbre. In effetti, la diagnosi basata sui sintomi, una volta comune in altre aree della medicina, è stata ampiamente sostituita nell’ultimo mezzo secolo poiché abbiamo capito che i sintomi da soli raramente indicano la migliore scelta di trattamento…

May 14, 2013

Release No. 13-37

Thomas R. Insel, M.D., director, NIMH

Jeffrey A. Lieberman, M.D., president-elect, APA

“NIMH e APA hanno un interesse comune nel garantire che i pazienti e gli operatori sanitari dispongano dei migliori strumenti e informazioni disponibili oggi per identificare e trattare i problemi di salute mentale, mentre continuiamo a investire nel miglioramento e nell’avanzamento della diagnostica dei disturbi mentali per il futuro” …

…” Oggi, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) dell’American Psychiatric Association (APA), insieme alla Classificazione internazionale delle malattie (ICD) rappresenta le migliori informazioni attualmente disponibili per la diagnosi clinica dei disturbi mentali. I pazienti, le famiglie e gli assicuratori possono essere certi che siano disponibili trattamenti efficaci e che il DSM sia la risorsa chiave per fornire le migliori cure disponibili. Il National Institute of Mental Health (NIMH) non ha cambiato la sua posizione sul DSM-5. Come afferma il sito web del progetto Research Domain Criteria (RDoC) del NIMH, “Le categorie diagnostiche rappresentate nel DSM-IV e nell’International Classification of Diseases-10 (ICD-10, contenente codici di disturbo praticamente identici) rimangono lo standard di consenso contemporaneo su come i disturbi mentali vengono diagnosticati e trattati” …

Come il potere trasforma e condiziona i pareri critici con neppure tanto velata ipocrisia.

Torniamo alle considerazioni biochimiche sul suicidio.

Delusioni psichiatriche

Come si è accennato, questo decennio è stato segnato dalla revisione del DSM, il quinto della serie, lo strumento considerato la “bibbia” della psichiatria, a livello mondiale.

Il documento appare saldamente radicato nella psichiatria tradizionale conservatrice, ignorando i progressi compiuti dal campo della ricerca biologica. Chiaramente, la dicotomia tra psichiatria conservatrice e progressista non è finita, nonostante gli sforzi della ricerca scientifica nel campo della psichiatria, del cervello, dei neurotrasmettitori e della computazione quantistica del cervello e della coscienza, cioè le discipline che appartengono alle neuroscienze. Sembra corretto, dal punto di vista etico, ricordare quanto sia difficile considerare la ricerca in psichiatria come del tutto indipendente da fattori esterni influenti.

Alcuni importanti eventi hanno aperto la strada a una scuola di pensiero innovativa e profondamente critica che ha iniziato a interrogarsi sulle implicazioni ideologiche della diagnosi psichiatrica e sulla crescente complessità delle sfumature nella classificazione del disturbo psichiatrico. Questo movimento sostiene, in primo luogo, l’idea di utilizzare marcatori biologici per ottenere una diagnosi affidabile e cure adeguate.

Ciò potrebbe limitare l’errore psichiatrico di lunga data nella distinzione tra disturbo bipolare e depressione maggiore, che va dal 40%, come riferito da Bowden, al 70%, come affermato durante la Decima Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, svoltasi a Roma (2012).

Diverse autorità hanno criticato la quinta edizione del DSM, ancor prima della sua pubblicazione ufficiale. La principale spinta critica è stata che i cambiamenti nel DSM non hanno tenuto il passo con i progressi nella comprensione scientifica della disfunzione psichiatrica. Un’altra critica è che lo sviluppo del DSM-5 è stato indebitamente influenzato dall’input dell’industria dei farmaci psichiatrici. Un certo numero di scienziati ha obiettato che il DSM costringe i medici a fare distinzioni che non hanno prove solide, distinzioni che comportano implicazioni del trattamento farmacologico, comprese le prescrizioni di farmaci e la disponibilità di copertura assicurativa sanitaria.

La psicopatologia ragionata in chiave biochimica

Al di là della convinzione e di recenti dimostrazioni che la depressione maggiore possa trovare la sua origine nella genetica, un meccanismo biomolecolare potrebbe essere ipotizzato da quanto emerso dagli studi sulla composizione degli acidi grassi piastrinici nell’uomo (soggetti normali e depressi). Ciò ha permesso di classificare il disturbo depressivo dal disturbo bipolare utilizzando una Rete Neurale Artificiale (Self Organizing Map-SOM), come strumento matematico, a causa della complessità delle dinamiche di membrana.

I rapidi cambiamenti nella composizione dei lipidi di membrana o nel citoscheletro potrebbero modificare la segnalazione neuronale. Nella consapevolezza di aver riscontrato qualcosa che potesse avere implicazioni nella comprensione di alcuni aspetti dei disturbi psichiatrici è stata costruita un’ipotesi molto suggestiva come sintetizzato nella Figura dove è descritta l’ipotesi molecolare della coscienza.

La viscosità della membrana può modificare lo stato della proteina Gsα. La proteina Gsα è collegata alla tubulina.

La tubulina, a seconda della concentrazione locale della fase lipidica della membrana, può fungere da regolatore positivo o negativo dell’idrolisi del fosfatidilinositolo bisfosfato (PIP2), come fa la proteina Gsα. La tubulina forma complessi ad alta affinità con alcune proteine G. La formazione di tali complessi consente alla tubulina di attivare la proteina Gsα, che, a sua volta, può attivare la proteina chinasi C e favorisce un sistema per cui elementi del citoscheletro possono influenzare la segnalazione della proteina G. I rapidi cambiamenti nella composizione dei lipidi di membrana o nel citoscheletro potrebbero modificare la segnalazione neuronale.

Abbiamo ipotizzato che attraverso questo meccanismo sia possibile modificare lo stato di coscienza e che sia misurabile attraverso l’EEG di sincronia gamma.

Ci sono forti ragioni per pensare che Acido Palmitico, Acido Linoleico e Acido Arachidonico piastrinici siano responsabili della viscosità della membrana essendo la maggior parte del profilo completo degli acidi grassi delle piastrine. Inoltre, possono condizionare le strutture molecolari e cellulari (Gsα e Tubulina) e il principale obiettivo terapeutico è ripristinare un corretto equilibrio della viscosità della membrana.

A scopo sperimentale, abbiamo studiato 105 soggetti adulti e 112 bambini:

Soggetti adulti

Criteri di inclusione: a tutti i soggetti era stato diagnosticato un disturbo affettivo bipolare (BD) o una depressione maggiore (MD). La diagnosi è stata raggiunta attraverso un’indagine clinico-anamnestica volta ad accertare la presenza dei criteri previsti dal DSM.

Tutti i pazienti sono stati sottoposti a indagini psicodiagnostiche: HRSD-21, HRSA, CGI, SCL-90 e HCL-32. I soggetti sono stati reclutati indipendentemente dal sesso, dall’età, dai modelli di assunzione di cibo o dalle terapie farmacologiche.

Lo studio era in doppio cieco.

Criteri di esclusione: soggetti che non hanno dato il consenso, pazienti con diagnosi diversa da disturbo affettivo e persone al primo episodio clinico.

Bambini

112 bambini (età 10,5 ± SD 2,7) sono stati reclutati senza considerare alcun fattore se non la loro età. In particolare, i disturbi dell’umore non sono stati testati.

Entrambi gli studi sono stati condotti secondo la Dichiarazione di Helsinki. Ai genitori dei soggetti sono stati forniti i dettagli dello studio e hanno dato il consenso informato. Il comitato etico della ricerca locale ha approvato lo studio.

Risultati

Soggetti adulti

La combinazione della Self Organizing Map (SOM) e dell’indice B2 ha dato i seguenti risultati:

(Indice B2: L’indice B2 è stato ottenuto dalla sommatoria delle percentuali di ciascun acido grasso (selezionato da SOM) moltiplicate per il suo punto di fusione e divise per il suo peso molecolare, ottenendo un’espressione indiretta della viscosità di membrana, che induce ad identificarlo con la viscosità della membrana neuronale)

Bambini

Utilizzando lo stesso metodo, le triplette di acidi grassi piastrinici di un gruppo di bambini sono state distribuite sulla SOM originale.

Possiamo osservare che nessuno dei bambini è nella zona rossa.

Poiché tutti i soggetti con Depressione Maggiore sono collocati in una parte specifica dell’area rossa, abbiamo concluso che non era possibile attribuire a nessuno dei bambini studiati, le caratteristiche molecolari di depressione maggiore. Forse la condizione di depressione maggiore è molto rara tra i bambini.

Dai soggetti adulti dell’esperimento, 8 pazienti con “tentativo di suicidio” (diagnosi psichiatrica) sono stati raggruppati sulla SOM e confrontati con bambini con le stesse caratteristiche molecolari delle piastrine del “suicidio adulto”.

Come è possibile vedere nella figura “suicidio adulto” (7 bipolari, 1 depressione maggiore) variano tra la posizione 13 e 16 dell’ascissa formando chiaramente un cluster. Abbiamo identificato questa zona come un cluster di “suicidio”. A causa della precisione della SOM, sembra esclusa la posizione 12 per i bambini, quindi i bambini che realmente corrispondono alla posizione “suicidio adulto” sono 2.

Si è cercato di studiare l'”area del suicidio” della SOM per trovare caratteristiche comuni tra le persone con pensieri o tentativi di suicidio, secondo la stessa SOM. Abbiamo focalizzato la nostra attenzione a livello dei tre Acidi Grassi e abbiamo riscontrato che la “zona suicida” della SOM corrisponde al valore più basso dell’Acido Linoleico (LA), che sembra l’aspetto critico nel “suicidio”, come mostrato in Figura.

Un modello matematico per la classificazione dei depressi ha mostrato che la viscosità della membrana piastrinica presenta caratteristiche diverse in MD e BD e trova nell’Acido Palmitico, Linoleico e Arachidonico i principali elementi di criticità.

Sappiamo che la BD è la condizione psichiatrica a maggior rischio di suicidio ed è probabile che non sia possibile indagare ed evidenziare il reale rischio senza l’utilizzo di marker biologici, utili, appunto per discriminare la Depressione Maggiore dal Disordine Bipolare, almeno nella prima diagnosi.

Sono stati identificati alcuni fattori di rischio, ad es. bassa concentrazione di Colesterolo e sono stati provati diversi modi per evidenziare marcatori biologici di suicidio.

Pur con forti implicazioni di plausibilità, questi tentativi non hanno avuto successo, fino ad ora, per identificare strumenti di classificazione che possano consentire interventi precoci di prevenzione.

Sappiamo che la SOM non è manipolabile ed ha un grado di precisione diagnostica molto elevato, per cui possiamo ipotizzare che i bambini indagati possano corrispondere agli adulti per la presenza di Disturbi dell’Umore. Tuttavia, in considerazione del fatto che non li abbiamo sottoposti a valutazione psichiatrica per la complessità delle ragioni etiche, siamo consapevoli che tali questioni necessitano di essere ulteriormente approfondite affinché sia ​​possibile allertare lo psichiatra di fronte alla non di rado, drammatica, predisposizione del bambino al suicidio.

L’indice di fluidità della membrana è stabile nel tempo nello stesso soggetto. Una condizione di maggiore o minore compensazione clinica corrisponde a variazioni non sostanziali della viscosità e non consente mai il passaggio da un valore positivo ad uno negativo o viceversa.

Il miglioramento clinico sembra corrispondere ad un aumento dell’indice B2 della membrana, cioè all’aumento della viscosità verso quella normale.

Va sottolineato, infatti, che la psicopatologia è sottesa alla condizione di normalità, quindi è in quella dimensione che vanno considerate le condizioni di maggiore o minore viscosità, rappresentate rispettivamente dal Disordine Bipolare e dalla Depressione Maggiore. In pratica le condizioni biochimiche della membrana si confrontano fra le due patologie laddove la captazione della serotonina è sostanzialmente ridotta rispetto alla condizione di normalità, ma in modo diverso fra le due patologie.

Ipotesi della via molecolare della coscienza

Dalle logiche comportamentali della membrana cellulare, dai livelli di rottura della simmetria, inizierebbe il lungo cammino delle modificazioni biomolecolari che, per aderire strettamente a quanto indagato, possono influenzare la coscienza, nei disturbi dell’umore, attraverso alterazioni della mobilità della membrana, che la SOM ha così bene espresso e coerentemente interpretato. Cocchi e Tonello, Rasenick ecc. mostrano che sono state riscontrate differenze nelle membrane di pazienti con disturbi psichiatrici rispetto a soggetti presunti sani. Pertanto, è plausibile presumere che vi siano differenze nella frequenza degli “eventi coscienti” nei pazienti con disturbi psichiatrici rispetto ai presunti soggetti sani.

Sembra plausibile l’ipotesi che ci possa essere un allungamento del periodo di collasso della funzione d’onda (cioè una riduzione della frequenza) nei soggetti con Depressione Maggiore, o che possa esserci un accorciamento dello stesso nei soggetti con disturbo bipolare. Si può suggerire una performance che alterni momenti di alta frequenza con momenti di bassa frequenza. In breve, la descrizione del collasso della funzione d’onda nella Depressione Maggiore e nel Disturbo Bipolare, nella coscienza quantistica, potrebbe essere ipotizzata come segue:

L’intera connessione può essere descritta come nella figura seguente.

Ipotesi di connessione tra la forza meccanica della membrana, citoscheletro, microtubuli e spin nucleare, per spiegare la possibile modificazione dello stato di coscienza.

La sequenza molecolare descritta e precedentemente riportata, che mette in relazione mobilità di membrana, proteina Gsa e tubulina, sembrerebbe inevitabile nel determinare l’asse dei fenomeni micromolecolari che consentono la regolazione dei disturbi dell’umore. La ricerca condotta su piastrine e neuroni, a causa della loro somiglianza, ha portato all’ipotesi conclusiva che il suddetto asse potesse essere responsabile dei cambiamenti di coscienza, e della sua modulazione, e quindi, delle risposte comportamentali di esseri umani e animali:

“La condizione di costante mobilità della membrana, sia in condizioni fisiologiche che patologiche, si traduce in una deformazione della stessa, esercitando una forza meccanica, a diversi livelli di intensità con conseguenze che possono coinvolgere il microdominio del lipid raft di membrana, la proteina GsI e il citoscheletro. I fattori dinamici dei lipidi di membrana costituiscono fattori dipendenti dai lipidi che possono influenzare notevolmente le funzioni proteiche o le interazioni proteina-proteina. I fenomeni di adesione, tra membrana e citoscheletro, sono influenzati da una serie di fattori, tra cui la composizione lipidica, la densità e distribuzione del citoscheletro, il rapporto tra superficie e volume della membrana e la pressione cellulare interna.

In letteratura sono state ampiamente descritte le modificazioni cito scheletriche da parte delle forze esercitate sulla membrana. Lo studio dell’ipotesi quantistica della coscienza, occasione di dialogo che si apre nel QPP (Quantum Paradigm Psychopathology Group), hanno certamente contribuito alla costruzione di un nuovo tentativo di ipotesi che potesse conciliare le precedenti che, di fatto, sono solo il risultato di diversi modi di guardare allo stesso fenomeno.

Lo stato di continuo rinnovamento e scambio di acidi grassi da parte della membrana con conseguente deformazione del doppio strato lipidico, può essere pensato nei termini di una forza meccanica, sia in condizioni fisiologiche che patologiche, che si esercita sul citoscheletro con continuità, consentendo, quando esistono condizioni fisiologiche per la membrana, periodi di decoerenza dei microtubuli (500ms), che danno luogo alla manifestazione cosciente che si tradurrà in coscienza classica (neurocorrelato). Il problema che si pone è capire come, nelle diverse condizioni dei disturbi dell’umore, la decoerenza possa essere modificata allungando o accorciando il periodo fisiologico di decoerenza. Avendo avuto modo di comprendere che una maggiore e minore mobilità di membrana, rispettivamente, caratterizzano MD e BD, si percepisce che esistono condizioni patologiche di deformazione della membrana che possono esercitare forze meccaniche differenti sul citoscheletro dall’interno della stessa membrana e potrebbero potenzialmente influenzare il fenomeno fisiologico di sovrapposizione dei microtubuli e di conseguenza il periodo di oscillazione. L’ipotesi è che nel caso di MD e BD si avrebbe, rispettivamente, un allungamento e una riduzione del periodo di decoerenza. A questa possibilità corrisponderebbero modifiche dello stato di coscienza? Questa forza, che nel caso del neurone potrebbe essere definita “neuromeccanica” potrebbe rappresentare infatti il ​​fattore condizionante dell’attività dei microtubuli e della loro relazione critica con sinapsi, corteccia e serotonina. D’altra parte, le deformazioni delle membrane cellulari in condizioni patologiche possono essere direttamente coinvolte nell’aspetto quantistico della coscienza secondo la teoria della coscienza spin-mediata”.

Suicidio e Coscienza

Alla luce di quanto descritto sembrerebbe plausibile ritenere che il determinarsi di una condizione di criticità negli elementi che conducono dalla membrana al citoscheletro possa tradursi, di fatto, in un appiattimento delle onde collassali in caso di depressione maggiore e in un accorciamento degli spazi d’onda collassali nel disordine bipolare fino ad oscurare la stessa coscienza rendendo l’individuo inconsapevole del gesto finale, uno stato di coscienza in cui la lucidità diviene apparente per l’annullamento delle connessioni di percorso.

Sarebbe di conforto in tale spiegazione, l’individuazione del fenomeno che si accompagna alla riduzione dell’Acido Linoleico, dimezzando, di fatto, il flusso di potassio dai canali ionici di membrana, quindi compromettendo sostanzialmente la trasmissione neuroelettrica.

Un evento epigenetico potrebbe creare una situazione di criticità tale, in chi avesse le caratteristiche sopra descritte, da creare la scossa tellurica dello stato cosciente.

In questa disamina, tuttavia manca ancora un tassello sul quale stiamo ragionando e che coinvolgerebbe la dinamica dei campi elettro magnetici a livello del cervello.

Prima di affrontare quest’altro affascinante argomento, sia concesso di sottolineare come sia utopistica la possibilità di prevenire il suicidio, a partire dalla diagnosi psichiatrica che in prima istanza diagnostica presenta un errore che si aggira attorno al 70%.

Se la prevenzione primaria del suicidio dipende, per gran parte, dalla correttezza e tempestività della diagnosi psicopatologica (vedi riferimento OMS), appare chiaro come l’elevata possibilità di errore annulli, di fatto, uno dei cardini della prevenzione.

Il cervello umano è uno tra i sistemi più caotici, instabili, non lineari, non gaussiani, asincroni e rumorosi che sia stato prodotto da migliaia di anni di evoluzione. In assenza di un sistema nervoso in grado di originare una psiche non esisterebbe la possibilità di formulare alcun pensiero tanto meno quello suicidario. Di fatto non abbiamo evidenza scientifica di tale atteggiamento in nessun componente del regno animale eccezion fatta che per l’uomo. Risulta pertanto arguibile che la differente organizzazione degli elementi che compongono il sistema nervoso di ogni essere, raggiunga nell’uomo quel grado di complessità tale da originare il pensiero. In biologia la relazione tra struttura e funzione è presente su ogni piano dimensionale di analisi seguendo un pattern frattale e caotico. Numerose evidenze confermano che la riduzione della variabilità rappresenta l’avverarsi di una condizione avversa. Per esempio, la variazione del passo durante la camminata di un soggetto normale è caotica, mentre nel Parkinson si assiste alla perdita di tale variabilità con un’andatura che diviene più costante. Lo stesso è stato dimostrato riguardo all’attività cardiaca che nel soggetto normale presenta un’alta variabilità nel tempo (per l’adattamento ai fattori fisiologici quali l’attività fisica, respirazione, stress etc.) mentre i soggetti in scompenso cardiaco perdono questa variabilità essendo meno adattabili agli stimoli. Riportando l’esempio alle membrane neuronali una minore concentrazione dell’acido linoleico creerebbe una membrana più rigida da cui originerebbe un segnale alterato. La teoria del caos ha permesso di modellare matematicamente il ritmo alfa dell’attività cerebrale elettrica umana aprendo la possibilità di considerare il segnale elettrico generato dalle membrane come il vero artefice della formazione del pensiero. Su questa ipotesi Marco Cavaglià, Stephen Dombrowski, Gene Dolgoff e Jack Tuszynski stanno elaborando un’interessante teoria basata sull’ipotesi che i campi elettromagnetici generati dall’incessante attività ionica delle membrane cellulari solvatate nel liquido cefalorachidiano diano origine a pattern di interferenza che generano ologrammi. L’idea che l’attività elettromagnetica cerebrale possa originare la percezione olografica della realtà è stata riportata da autori diversi a partire dal 1960 e da Dolgoff nel 1973, senza prove conclusive. Se la manifestazione olografica della realtà venisse provata, risulterebbero chiare le differenze nell’integrazione di tale fenomeno da parte dei cervelli di ogni specie animale. In particolare, il grado di complessità nella computazione cerebrale dei segnali sarebbe responsabile del comportamento di ogni essere dal paramecio all’uomo.

In fisica la risonanza o fase di accoppiamento è una condizione in cui un sistema oscillante risponde a una forza motrice esterna con la massima ampiezza. Tale condizione può esistere quando la frequenza della forza motrice esogena corrisponde alla frequenza oscillatoria naturale del sistema. Pertanto, nel caso di una membrana cellulare che crea un proprio campo elettromagnetico, questo risponderà in modo misurabile solo a quelle oscillazioni esogene (cioè forza motrice alternativa) che corrispondono alle oscillazioni elettromagnetiche (EM-endogene) prodotte da tale membrana.

Alcuni studi hanno dimostrato che la comunicazione elettrica esiste anche nei biosistemi unicellulari. Infatti, quando un paramecio colpisce un ostacolo, si generano impulsi EM (solitoni), che si propagano lungo la membrana della cellula, diminuendo d’intensità nella distanza. Queste vibrazioni trasmettono l’informazione all’interno della membrana in modo binario, per esempio utile/non utile alla sopravvivenza. Sembrerebbe evidente che i fattori di supporto alla vita, dalla singola cellula all’intero organismo, siano dovuti principalmente a interazioni e accoppiamenti non lineari tra l’ambiente e oscillazioni elettromagnetiche di bassissima intensità prodotte dalle membrane neuronali. L’utilizzo dei campi elettrici o elettromagnetici trova di fatto oggi, numerose applicazioni nell’ambito clinico terapeutico, che si estendono da patologie neurodegenerative come il Parkinson sino a disordini psichiatrici come la depressione, il disturbo ossessivo compulsivo e la sindrome di Tourette. Il modello fisico di percezione olografica della realtà, proposto da questo gruppo di scienziati, analizza l’attività bioelettrica cerebrale come il mezzo fisico per la creazione della stessa.

Senza proseguire nelle spiegazioni tecniche della fisica dei campi elettromagnetici a sostegno della teoria, Marco Cavaglià si propone di rispondere al quesito su quale ologramma formi un essere umano che decida di suicidarsi. Seguendo la teoria della percezione olografica, ogni cervello si struttura sulla base delle informazioni contenute nel proprio DNA, in modo da ricostituire un pattern bioelettrico di nodi e anti-nodi in fase con le onde elettromagnetiche del proprio essere e con quelle provenienti dall’ambiente circostante. Il pattern di onde in stato di sonno e di veglia risulta definire una soglia frequenziale che separa la riproduzione olografica dell’essere dalla ricostruzione olografica dell’ambiente. In stato di veglia la convergenza dei due pattern frequenziali, interno e circostante unito al grado di complessità di elaborazione dei segnali potrebbe spiegare i comportamenti e le interazioni dell’essere con l’ambiente. Tali interazioni non possono essere che di carattere binario, vale a dire computate su una serie di si o no da cui scaturiscono o meno azioni, più o meno elaborate sulla base della capacità di computazione del sistema cerebrale. L’essere umano potrebbe essere dotato di un sistema nervoso centrale il cui grado di efficienza nell’elaborazione dell’interazione dei campi olografici, lo ha portato alla consapevolezza dell’interazione stessa in cui impara e costruisce l’EGO. La consapevolezza dell’esistenza di questo elaborato meccanismo potrebbe permettere di capire che nella dualità delle scelte possibili a cui instancabilmente il nostro cervello ci sottopone, esiste, in alcune circostanze, una frequenza esterna totalmente identitaria “coscienza”, che testimonia la scelta. In quegli istanti la percezione olografica svanisce così come ogni pensiero, infatti la meditazione è assenza di pensiero. Esseri umani nati con un imprinting bio-circuitale più sensibile ad ideazioni suicidarie se sottoposti a frequenze esterne in grado di ri-elicitarne il pattern di interferenza riattiverebbero l’ologramma percettivo rendendolo possibile in stato vigile e se sufficientemente rinforzato, realizzandolo in stato di iper-vigilanza. In tale stato i pattern d’onda verrebbero amplificati a frequenze tali per cui l’attività mentale non sarebbe più in grado di distinguere nell’istante pensiero la scelta tra si e no. Per concludere in quell’istante l’essere sarebbe consapevole ma non cosciente e la riduzione di acido linoleico potrebbe risultare l’unico vero responsabile. Il cervello si troverebbe in una condizione di “coscienza staccata”.

Molti muoiono troppo tardi, e alcuni troppo presto. Ancora suona insolita questa dottrina: Muori al momento giusto! Muori al momento giusto: Così insegna Zarathustra. Certo, colui che mai vive al momento giusto, come potrebbe morire al momento giusto? Non fosse mai nato!

Friedrich Nietzsche

L’alterità dell’altro è una x, un’incognita. L’altro è dismisura assoluta, non è mai riconducibile alle nostre logiche padronali: il suo ritrarsi a ogni nostra presa, le continue linee di fuga che ne specificano la relazione, lo rendono l’innumerabile, l’imperimetrabile, l’incolonizzabile per eccellenza.

Chiedersi la specifica natura dell’altro è come chiedersi la dolorosità del dolore o la rossità del rosso: nessuno può garantirci la resa pubblica, la misurabilità condivisa dell’alterità che abita i nostri incontri.

Se poi ci interroghiamo sul suicidio, sulle sue origini, i sui motivi, il suo destino, le risposte, le eventuali risposte, forse riposano sulle ginocchia degli dei.

Il noto incipit del Mito di Sisifo di Albert Camus fissa il punto in modo esemplare:

“Vi è soltanto un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto viene dopo”.

Quale vita? Quanto dolore possiamo sopportare? Quanta realtà possiamo sopportare? Chi e perché taglia i fili, cosa potevamo prevedere e fare per impedirlo?

Le domande rimbalzano, le risposte faticano a fiorire o si ecclissano ancora prima di annunciarsi sulle nostre labbra sgomente.

Naturalmente, questo non significa che l’uomo non abbia cercato di reperire un senso nel suicidio, come testimonia una cospicua porzione della storia della filosofia di cui, per ovvie ragioni di spazio, non posso dare contezza, oppure di ricondurlo a una qualche misura come, per esempio, un gruppo di ricerca statunitense (Just, M., Pan, L., Cherkassky, V.L. et al. Machine learning of neural representations of suicide and emotion concepts identifies suicidal youth. Nat Hum Behav 1, 911–919 (2017). https://doi.org/10.1038/s41562-017-0234-y).

In pratica, si è cercato di prevedere le persone con maggiore rischio suicidario tramite procedure di imaging cerebrale e intelligenza artificiale. I risultati dello studio, pur a fronte di un numero limitato di campioni rappresentativi, sembrano incoraggianti, tuttavia resto convinto che un’esperienza altamente qualitativa come il suicidio, così come l’alterità dell’altro, resti, allo stato attuale di conoscenze, insondabile o con una previsionalità che non offre garanzie di certezze matematicamente cogenti.

In tutto questo non sapere, credo di avere almeno una certezza, quella del filosofo Thomas Macho in Das Leben nehmen. Suizid in der Moderne (2017), contro ogni forma riduzionistica di patologizzazione: “non tutti quelli che si tolgono la vita (die sich das Leben nehmen) sono malati o pazzi”.

Questo scrive l’amico filosofo Fabio Gabrielli, ed è proprio questo suo scritto, nelle conclusioni, che, anche quando c’è divergenza di pensiero porta un contributo al ragionamento e alla ricerca della chiarezza.

Non c’è accordo sul pensiero di Thomas Macho e cercheremo di spiegare il perché.

A favore del pensiero Gabrielli-Macho ci sono lavori scientifici che classificano il suicidio per ragioni non psichiatriche e, ad una prima osservazione, viene spontanea una riflessione.

Il lavoro citato sulle ragioni non psichiatriche del suicidio è stato fatto analizzando i cervelli di persone decedute, dove, guarda caso, l’Acido Linoleico è in tendenza al ribasso nel suicidio per ragioni psichiatriche, un poco meno in quello giudicato per ragioni non psichiatriche, con una differenza risibile, pur tuttavia al ribasso entrambi.

Ora, il problema che ci si pone è come sia possibile valutare in soggetti deceduti se essi potevano presentare aspetti psicopatologici. Tale valutazione è, verosimilmente, originata dalla storia di questi individui, cioè dalla non presenza di una documentazione che riferisse di un loro eventuale coinvolgimento psicopatologico, non certo perché assoggettati a indagine psichiatrica.

Altri lavori riferiscono forti incidenze suicidarie, ad esempio, nei veterinari e nei soggetti che lavorano in settori fortemente assoggettati a campi elettromagnetici.

Anche in questo caso si potrebbe pensare che non ci sia coinvolgimento psicopatologico.

Alla luce dei risultati sperimentali ottenuti, tuttavia, pare impossibile che il pensiero suicida, fino alla sua attuazione, sia avulso dall’aura psicopatologica.

La distanza “molecolare” fra la condizione di apparente normalità e quella psicopatologica è talmente rilevante che rende impossibile pensare che ci siano vie molecolari al suicidio riferibili allo stato di normalità.

A rigore di logica, forse, sarebbe più coerente pensare che in certe professioni vi sia, o una predisposizione maggiore, rispetto ad altre professioni, a screzi psicopatologici o che i soggetti possano trovarsi esposti, vedi ad esempio l’alcolismo e campi elettromagnetici, a condizioni differenziate che in caso di meccanismi molecolari già predisponenti, possano risentire di condizioni esterne influenzanti sensibili modificazioni dell’assetto lipidico di membrana cellulare (piastrine nella loro assimilazione ai neuroni) e di tutto ciò che ne consegue.

Non si vuole certamente sostenere una causa ad ogni costo, tuttavia le evidenze biochimiche e molecolari fino ad oggi documentate dalla letteratura scientifica, ad esempio la ridotta concentrazione di Colesterolo e Acido Linoleico nell’ideazione/tentativo di suicidio e nello stesso, sono molto più favorevoli, per chi manifesta tale ideazione e anche fino al limite estremo, alla presenza di stimmate psicopatologiche.

In apertura, foto di Olio Officina

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