Salute

Tutto quel che serve sapere intorno all’obesità, al diabete e all’organo adiposo

Partiamo innanzitutto da una domanda: perché mangiamo? La risposta sarà pure prevedibile: per la sopravvivenza, certo, ma non tutti sono a conoscenza che l'istinto che ci porta alla ricerca del cibo è dovuto all’ormone leptina. Non è tuttavia scontato che un soggetto che abbia cercato e trovato il cibo sia in grado di assumerlo. La questione alimentare è complessa e tante sono le patologie a essa collegate. Il Direttore scientifico del Centro Obesità dell'Università Politecnica delle Marche di Ancona ci chiarisce i complessi meccanismi e le dinamiche del corpo umano

Saverio Cinti

Tutto quel che serve sapere intorno all’obesità, al diabete e all’organo adiposo

Con questo articolo, la redazione di Olio Officina Magazine porge il saluto di benvenuto al professor Saverio Cinti, direttore scientifico del Centro Obesità dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona.

Saverio Cinti

Obesità, Diabete e Organo Adiposo

Perché mangiamo?

Solo pochi anni fa si è scoperto che mangiamo prevalentemente perché la cellula adiposa bianca (grasso comune), nel digiuno, produce un ormone detto asprosina (1). Senza l’asprosina non riusciamo ad introdurre il cibo nel nostro organismo anche se siamo magrissimi.

Nel 1994 un gruppo newyorkese scoprì che l’impulso istintuale principale che induce il comportamento fondamentale per la sopravvivenza dell’uomo, cioè la ricerca del cibo, è dovuto all’ormone leptina, sempre prodotto prevalentemente dalla cellula adiposa bianca (2).

La sua produzione è in proporzione alla quantità di cellule adipose del nostro organismo: più l’individuo è magro e più i bassi livelli di leptina lo inducono alla ricerca del cibo.

Topi ed esseri umani con mutazione genetica che impedisce la formazione di leptina diventano massivamente obesi, ma i rari soggetti senza asprosina non mangiano anche se hanno livelli molto bassi di leptina.

Gli ultimi dati quindi perfezionano la scoperta della leptina e permettono di distinguere i due fondamentali momenti della nutrizione: la ricerca del cibo e l’assunzione dello stesso. Non è infatti scontato che un soggetto che ha cercato e trovato il cibo sotto l’impulso del basso livello leptinico sia in grado di assumerlo. Per fare questo è necessario che le sue cellule adipose producano asprosina.

Ma che tipo di cellula è la cellula adiposa? Come funziona?

I 40 miliardi di cellule che compongono il nostro organismo hanno bisogno di continuo rifornimento di carburante per poter funzionare. Ovviamente il carburante deriva dal cibo che ingeriamo quotidianamente, ma come possiamo garantire un flusso continuo di carburante alle cellule se i pasti sono solo due-tre volte al giorno o se addirittura abbiamo periodi prolungati di digiuno?

Da notare che la morte da privazione di cibo giunge solo dopo cinque, sei settimane di totale digiuno. Il principale responsabile di questa garanzia di rifornimento continuo è il tessuto adiposo composto dalle cellule adipose bianche (3).

Queste cellule, oltre a produrre gli ormoni sopracitati, fondamentali nell’indurre il cervello a specifici comportamenti nutrizionali, riforniscono il nostro organismo di acidi grassi nell’intervallo tra i pasti. Queste molecole nutrizionali sono di fondamentale importanza per l’organo principe del nostro organismo che deve lavorare 24 ore al giorno: il cuore.

Ovviamente anche gli altri organi usufruiscono degli acidi grassi, ma il cervello funziona solo con gli zuccheri. Per questo motivo l’asprosina prodotta dalle cellule adipose bianche durante il digiuno provvede anche a stimolare la produzione di zuccheri da parte del serbatoio più importante del nostro organismo: il fegato.

Quindi la cellula adiposa bianca (detta anche adipocita bianco) è un serbatoio di acidi grassi. Essi si legano al glicerolo formando trigliceridi che riempiono la cellula adiposa. Per questi motivi la cellula adiposa è grande e sferica (forma geometrica che garantisce il massimo volume nel minimo spazio) (FIG 1).

Fig 1-Microscopia ottica che mostra una regione dell’organo adiposo dove il tessuto adiposo bianco confina con il tessuto adiposo bruno. Quest’ultimo risulta colorato perché reattivo agli anticorpi anti UCP1 usati in questo preparato. Barra: 15 micron

Il 90% del volume dell’adipocita bianco è occupato dal vacuolo lipidico sferico formato dai trigliceridi. Quindi queste sfere di energia hanno consentito nei secoli la sopravvivenza dei mammiferi garantendo loro una distribuzione di carburante tra un pasto e l’altro consentendo anche intervalli di settimane.

Esistono altri tipi di cellule adipose?

Il termine adipocita o cellula adiposa è stato coniato per definire le cellule ad alto contenuto di grasso. Accanto all’adipocita bianco è stato identificato anche un altro di tipo di adipocita definito come bruno perché ricco di mitocondri con citocromi responsabili della colorazione del tessuto composto da queste cellule: il tessuto adiposo bruno. Inoltre questo tessuto, è provvisto di una maggiore densità di vasi sanguigni che contribuiscono al colore. Il grasso di queste cellule è abbondante ma disposto in forma multiloculare, cioè a formare piccoli e multipli vacuoli, differenti quindi dall’unico grosso vacuolo dell’adipocita bianco (FIG 1).

La diversa anatomia è ovviamente dovuta ad una diversa funzione infatti gli adipociti bruni non distribuiscono l’energia ma la bruciano. Questa funzione deriva dalla presenza di una proteina espressa unicamente nei mitocondri di queste cellule: l’UCP1 che essendo un disaccoppiante, trasforma in calore l’energia intrinseca degli acidi grassi. Quindi la funzione d queste cellule è quella di produrre calore (termogenesi) (4).

La termogenesi è essenziale per l’uomo che vive prevalentemente in territori a temperatura inferiore ai 37°C necessari alla normale funzionalità delle nostre cellule. Ovviamente lo stimolo che attiva il grasso bruno è l’esposizione al freddo che determina un’attivazione del sistema adrenergico che stimola, con la noradrenalina, i recettori funzionali specifici sulle cellule (beta3).

Dove sono contenuti i tessuti adiposi?

Studi anatomici hanno dimostrato che i tessuti adiposi sono contenuti in un vero e proprio organo dissecabile: l’organo adiposo (FIG 2).

Fig 2 – Organo adiposo di topo dissecato a temperatura ambiente (sinistra) e dopo 10 giorni di esposizione al freddo (destra). Nota che dopo l’esposizione al freddo aumenta la componente bruna dell’organo. Nello schema: A: sottocutaneo anteriore, B: viscerale mediastinico, C: viscerale mesenterico, D: viscerale retroperitonele, E: viscerale addomino-pelvico, F: sottocutaneo posteriore. Da Murano et al Adipocytes 2:121-130, 2005 con permesso. Barra: 2 cm.

Normalmente i diversi tessuti che compongono un organo cooperano tra di loro dal punto di vista funzionale. Ad esempio nello stomaco il muscolo produce peristalsi e le ghiandole producono succo gastrico. Quindi nonostante la grande differenza anatomica e funzionale questi tessuti cooperano ad un fine comune: la digestione.

Qual è la cooperazione dei tessuti adiposi nell’organo adiposo?

Abbiamo notato che l’organo di animali sottoposti al freddo cronico cambia colore diventando più bruno (FIG. 2). Ciò corrisponde ad un vero e proprio aumento di tessuto adiposo bruno, che in assenza di una modifica del numero totale delle cellule adipose dell’organo e di una riduzione del tessuto adiposo bianco equivalente all’aumento del bruno indica chiaramente che i due tessuti sono intercambiabili, confermando nostri dati sperimentali precedenti (5). La risposta quindi alla domanda è che in caso di necessità i due tessuti si convertono reciprocamente: nel freddo cronico il bianco si trasforma in bruno implementando la termogenesi.

Nella cronica positività della bilancia energetica il bruno converte in bianco per immagazzinare l’eccesso energetico in assenza della possibilità di prevedere periodi di digiuno.

Quali sono le implicazioni della plasticità dell’organo adiposo?

Questa plasticità è molto importante perché dati sperimentali del nostro laboratorio e di altri indicano chiaramente gli effetti benefici di una attivazione del tessuto adiposo bruno con prevenzione e cura dell’obesità, del diabete, dell’aterosclerosi e con positivo effetto sulla longevità (6-9).

Dati recenti indicano che la trasformazione del grasso bianco in bruno è possibile e benefica anche nell’uomo e le industri farmaceutiche stanno producendo nuovi farmaci in grado di indurre questa salutare trasformazione (10).

Una cellula matura può cambiare il suo fenotipo (transdifferenziazione)?

Ma la plasticità dell’organo adiposo implica anche un nuovo importante messaggio di biologia cellulare: la cellula matura può riprogrammarsi fisiologicamente e reversibilmente per assumere un nuovo fenotipo e quindi una nuova attività funzionale: transdifferenziazione fisiologica e reversibile (11).

Per verificare questo aspetto abbiamo cercato altri esempi e li abbiamo trovato proprio nell’organo adiposo. Nelle femmine durante la gravidanza l’organo adiposo subisce importanti modifiche atte alla formazione del latte per i neonati. La componente ghiandolare che produce il latte non è presente nella mammella al di fuori della gravidanza. Quindi quest’ organo è composto da grasso bianco per 90% del volume, infiltrato da dotti ramificati che si raccolgono in un capezzolo per mammella. Durante la gravidanza si assiste ad una progressiva crescita della componente epiteliale-alveolare a cui corrisponde una equivalente decrescita adiposa. Durante l’allattamento la mammella è una vera e propria ghiandola quasi priva della componente adiposa. Quest’ultima si riforma velocemente al termine dell’allattamento (12).

I sacri testi spiegavano questi fenomeni con una perdita lipidica da parte delle cellule adipose (che diventerebbero invisibili nel tessuto) per far fronte alla richiesta ghiandolare dei lipidi del latte. Al termine dell’allattamento le cellule adipose si riempiono di nuovo di lipidi e ricompaiono. Nostri studi hanno invece dimostrato che le cellule epiteliali che producono il latte derivano direttamente per trasformazione delle cellule adipose e poiché sono ricche di grasso le abbiamo denominate adipociti rosa (dal colore dell’organo adiposo in gravidanza) (FIG. 3).

Fig. 3 -Microscopia ottica che mostra il tipico aspetto delle cellule epiteliali alveolari della ghiandola mammaria di topo durante la gravidanza. Nota l’abbondante contenuto lipidico delle cellule che consente la loro denominazione come adipociti rosa. Barra: 10 micron.

Al termine dell’allattamento le cellule ghiandolari epiteliali che hanno prodotto il latte terminano la loro funzione e si trasformano in adipociti bianchi (13, 14).

In conclusione quindi l’organo adiposo è dotato di proprietà straordinarie volte a garantire l’omeostasi a breve termine dell’animale mediante la garanzia di una nutrizione continua negli intervalli tra un pasto e l’altro e la garanzia di una adeguata capacità termogenetica.

Inoltre quest’organo è anche in grado di garantire un’omeostasi a lungo termine mediante la sua capacità di formare strutture ghiandolari capaciti di fornire il latte e quindi di nutrire la prole garantendo la continuità della specie.

Cosa accade nell’obesità?

Per garantire l’accumulo delle preziose molecole energetiche, in assenza di garanzia di supporto nutrizionale futuro, l’organo adiposo risponde moltiplicano gli adipociti bianchi e determinando una ipertrofia degli stessi.

Le cellule ipertrofiche raggiungono dimensioni notevoli e vanno incontro a problemi di stress cellulare che determina la produzione di sostanze che richiamano i macrofagi (cellule dell’infiammazione) dal sangue (15, 16). Questi ultimi sono le cellule spazzino del nostro organismo, principalmente deputate a rimuovere i detriti derivati dalle cellule morte. Le cellule stressate sono in procinto di morire e si premurano di avere i macrofagi nelle vicinanze per eseguire gli adempimenti atti alla loro rimozione come detriti cellulari.

Le cellule ipertrofiche dei tessuti adiposi obesi muoiono in grande quantità e il tessuto adiposo obeso è quindi molto infiammato (17). Poiché i detriti da rimuovere sono molti e particolarmente voluminosi, perché derivati da cellule ipertrofiche, l’infiammazione diventa cronica e produce molte sostanze tossiche. Tra queste il TNFalfa (Tumor Necrosis Factor) che interferisce con il recettore dell’insulina (18).

L’insulina è l’ormone pancreatico che permette l’ingresso degli zuccheri nelle cellule aprendo loro la porta tramite la sua azione sul recettore che funge da vera e propria serratura per l’ingresso degli zuccheri. Le la serratura è minata dall’azione del TNFalfa, l’insulina non riesce a far entrare gli zuccheri nelle cellule e di conseguenza questi ultimi restano elevati nel sangue determinando il diabete. Tutto ciò spiega perché il 90% degli obesi sia anche diabetico e lo stesso meccanismo si applica anche ad altre importanti conseguenze dell’obesità come l’Alzheimer e alcuni tipi di neoplasie (19).

Non tutti i tipi di obesità hanno le stesse conseguenze e il fatto che gli adipociti viscerali (contenuti dentro l’addome e responsabili della tipica pancia maschile) muoiano più facilmente rispetto a quelli del sottocutaneo (20-22) offre la possibilità di spiegare perché l’obesità maschile (a mela) sia più pericolosa di quella femminile (a pera, con accumulo del sottocutaneo gluteo-femorale).

Che prospettive ci sono?

Una possibile strategia per opporsi a questi deleteri meccanismi potrebbe essere quella di impedire o ridurre l’ipertrofia dell’adipocita bianco promuovendo la termogenesi nel tessuto adiposo bruno e stimolando la transdifferenziazione bianco-bruna. La presenza dei recettori beta adrenergici anche nella cellula bianca pone le basi per un potenziale utilizzo dei beta3 agonisti come terapia dell’obesità e delle sue conseguenze (23).

In apertura, foto di Olio Officina, da una parete di un ristorante madrileno

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia