
Campobello di Licata è un piccolo comune della provincia di Agrigento, con una storica tradizione vitivinicola messa a dura prova dall’avvento della fillossera nella seconda metà del XIX secolo.
Il progetto della famiglia Bonetta, avviato nei primi anni Duemila, si propone di dare nuova linfa al glorioso passato. Per rendere ancora sostenibile la viticoltura locale, tra le vecchie vigne di grillo e nero d’Avola, dalla resa ormai limitata, si selezionano i migliori tralci da propagare, così da ricreare un adeguato equilibrio produttivo. Gli eccellenti risultati delle prime microvinificazioni confermano il potenziale di quelle uve e stimolano papà Angelo e i figli Carmelo e Domenico a proseguire nell’attività intrapresa.
Un grande vantaggio è rappresentato dalla matrice prevalentemente gessosa dei terreni, che ha la prerogativa di assorbire e trattenere l’acqua durante il periodo delle piogge, assicurando nei mesi estivi il necessario apporto idrico alle piante. Inoltre, la giacitura collinare tra i 250 e i 400 metri e la vicinanza del mare garantiscono un microclima ideale, grazie alle brezze che accarezzano i filari e favoriscono escursioni termiche anche di 20 °C tra il giorno e la notte.
Il nome dell’azienda è un omaggio all’antico crocifisso ligneo che sorge nei pressi dei vigneti, fatto realizzare più di 200 anni fa da un contadino riconoscente per una grazia ricevuta. Il Cristo di Campobello è da sempre meta di fedeli, molti dei quali lo raggiungono in pellegrinaggio il 3 maggio, in occasione dell’annuale processione che attraversa le campagne e i vigneti.

Angelo Bonetta
La superficie vitata copre attualmente 65 ettari, più della metà di proprietà e i restanti in conduzione diretta, per una produzione media annuale che si aggira intorno alle 300.000 bottiglie.
La cura dedicata a tutte le referenze che compongono la gamma aziendale si percepisce già nella linea di ingresso, denominata C’D’C’ e composta da un bianco, un rosato e un rosso, dalla beva immediata e gradevole. Le etichette, declinate in tre differenti cromaticità, richiamano i tradizionali veli in pizzo con cui un tempo le donne si adornavano il capo.
Pura sicilianità traspare anche nel nome della linea Adènzia, riconducibile all’espressione sicula dari adènzia, che rispetto al latino audentia ha assunto un significato più profondo: non un semplice ascolto, bensì partecipazione e coinvolgimento nel prestare attenzione e prendersi cura del prossimo. L’Adènzia bianco è ottenuto da un blend paritario di grillo e inzolia, mentre per l’Adènzia rosso si utilizzano nero d’Avola e syrah.
I vertici della produzione si raggiungono nella vinificazione in purezza di talune varietà, anche di impronta internazionale. Si tratta di vini di grande originalità e dai nomi evocativi, come lo smagliante Laluci, da sole uve grillo, l’encomiabile Laudàri, uno chardonnay di sapida espressione, l’elegante Lusirà, ottenuto giust’appunto da uve syrah, fino al sontuoso Lu Patri, intrigante espressione di nero d’Avola.
Dalla cantina di contrada Favarotta non escono soltanto vini fermi, poiché la curiosità di esplorare tutte le potenzialità del grillo e del nero d’Avola ha spinto i Bonetta a declinare le singole varietà in altrettanti spumanti rifermentati in bottiglia, un bianco e un rosé con 36 mesi di sosta sui lieviti. Di recente sono state realizzate anche piccole tirature lasciate sui lieviti fino a 50 mesi.
Sotto la lente mettiamo il Nero d’Avola Lu Patri, il vino che Carmelo e Domenico (prematuramente scomparso nel 2015) hanno dedicato al padre Angelo. Questo vino, nelle loro intenzioni, intendeva evidenziare come il nero d’Avola fosse in grado di rappresentare più di ogni altra uva la Sicilia vitivinicola, con tutte le carte in regola per essere considerato il padre dei vitigni della regione.
Curiosa è la storia del nero d’Avola, iscritto fin dal 1970 nel Registro Nazionale tenuto dal Ministero dell’Agricoltura, ma non con il nome che oggi campeggia sulle blasonate etichette dell’isola, bensì con quello fuorviante di “calabrese”, generando così parecchi equivoci sull’areale di provenienza, sebbene la sua presenza in Sicilia fosse documentata fin dall’antichità. A causare l’ambiguità fu Francesco Cupani, frate francescano e botanico, che – primo studioso dei tempi moderni a descrivere il nero d’Avola – nella sua opera Hortus Catholicus del 1696 si riferì al vitigno utilizzando il termine calavrisi, intendendolo come l’unione di calea (“uva”, nel linguaggio dell’epoca) e aulìsi (ossia “originaria di Avola”).
Le uve destinate a Lu Patri sono raccolte manualmente in piccole cassette tra l’ultima decade di settembre e la prima di ottobre. Dopo un’ulteriore selezione in cantina, sono diraspate e avviate a una pigiatura soffice. Il tempo di macerazione è di circa 18 giorni a temperatura controllata, con continui rimontaggi per estrarre le sostanze racchiuse nelle bucce. Seguono 14 mesi in barrique di rovere francese, di cui un terzo nuove, e altri 12 di affinamento in bottiglia.
Una veste rubino intenso anticipa un ventaglio olfattivo di amarena candita, confettura di mora e violetta appassita, seguito da tratti speziati di pepe nero, chiodi di garofano e refoli balsamici in chiusura. Grazie alla ricca dotazione calorica, mitigata da tannini vivi e presenti, si abbina alla perfezione con le carni rosse in umido o alla brace.
Sicilia Doc Nero d’Avola Lu Patri 2021
Baglio del Cristo di Campobello
14,5% vol.
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