Marco Vercesi e l’Oltrepò che non ti aspetti
Sotto la lente il Buttafuoco Borlano, dedicato al primogenito Manuele, da un uvaggio di Croatina e Barbera, integrato da Uva rara e Vespolina. La vendemmia si protrae per parecchi giorni alla fine di settembre, poiché le uve hanno tempi di maturazione differenti

Nell’ambito della produzione agricola della Lombardia, l’Oltrepò Pavese rappresenta l’areale dove storicamente si registra la maggior produzione di vino. Il territorio, incastonato tra il Piemonte, la Liguria e l’Emilia, beneficia infatti di ottime condizioni ambientali per la coltivazione della vite. Al fianco di aziende dedite ai grandi numeri, le colline sono tratteggiate da una nutrita presenza di piccole aziende familiari, come quella di Marco Vercesi, che tengono in vita una tradizione secolare.
Il cognome Vercesi è frequente in Valle Versa, una delle migliori zone del comprensorio: qui molte famiglie acquisirono l’appellativo di Versesi, trasformatosi nel tempo in Vercesi. Si chiamava così anche Carlo, classe 1886, che ai primi del Novecento sui terreni della località La Crosia, oggi ricadenti nel comune di Montù Beccaria, edificò la casa colonica che tuttora ospita la sede aziendale.
Dopo un periodo di relativo abbandono tra i due conflitti mondiali, fu Pierino Vercesi, del 1925, a dare impulso all’attività vitivinicola alla morte dello zio Carlo, alla fine degli anni Cinquanta. Nell’impianto dei nuovi vigneti la sua esperienza da vivaista si rivelò preziosa per la scelta dei migliori cloni e per l’abilità nell’innesto delle barbatelle, di cui si occupava personalmente. La sua intraprendenza influenzò anche il figlio Marco, il quale, dopo il diploma in Agraria e un significativo percorso in una rinomata cantina della zona, nel 1988 prese in mano l’azienda, operando una radicale trasformazione in vigna e in cantina.
All’epoca l’Oltrepò Pavese era ancora conosciuto come la “damigiana di Milano”, in grado di fornire vini economici e senza troppe pretese alla grande area metropolitana in crescita frenetica. Una prospettiva non certo appagante per chi nutriva un grande rispetto verso un territorio così vocato e intuiva orizzonti più ambiziosi.
Oggi questa realtà, pur mantenendo dimensioni contenute – parliamo di quasi cinque ettari vitati, con rese molto basse, e una produzione di circa 12mila bottiglie – si è guadagnata un’ottima reputazione e può contare su una clientela consolidata. A sostenere la grande passione di Marco c’è Simona Cremonesi, che collabora attivamente al fianco del marito, con la prospettiva di coinvolgere in futuro anche i figli Manuele e Massimiliano, ai quali sono stati dedicati i due blasonati vini rossi dell’azienda: il Buttafuoco Borlano e il Re di Bric, robusto blend di Croatina e Merlot. Dalla cantina, in funzione dell’annata, escono altri cinque o sei vini fermi, declinati nei classici dell’Oltrepò, come Bonarda e Barbera, oppure attingendo alle varietà borgognone, di cui Marco è un estimatore. Tra queste ricordiamo il Pimò, da uve Pinot Nero, e il San Doné, nome con cui papà Pierino chiamava lo Chardonnay, ottenuto da cloni selezionati provenienti da Chablis.
Sotto la lente mettiamo il Buttafuoco Borlano, toponimo del luogo in cui si trovano le vigne, allevate a guyot e adagiate su terreni argillosi a 260 metri di altezza nel comune di Montescano, confinante con quello di Montù Beccaria. La zona di provenienza delle uve per il Buttafuoco è infatti riservata ai soli sette comuni di Stradella, Broni, Canneto Pavese, Montescano, Castana, Cigognola e Pietra de’ Giorgi. Nel primo disciplinare di produzione, stilato nel 1970, il Buttafuoco era considerato una tipologia della Doc Oltrepò Pavese, ma nel 2010 è stata creata una denominazione a sé stante con il nome di Oltrepò Pavese Buttafuoco o semplicemente Buttafuoco, per sancire la sua spiccata storicità, al di là del contesto ambientale. E se oggi i vini dell’Oltrepò Pavese sono connotati prevalentemente con il nome del vitigno di origine, il Buttafuoco rappresenta una nobile eccezione, poiché il disciplinare prevede in uvaggio quattro varietà, con prevalenza di Croatina e Barbera, integrate dall’apporto di Uva rara e Vespolina, anche singolarmente.
Nella ricetta di Marco Vercesi la Croatina è presente per il 50 per cento, seguita da un 30 per cento di Barbera e da Uva rara e Vespolina in proporzioni identiche del 10 per cento ciascuna.
La vendemmia si protrae per parecchi giorni alla fine di settembre, poiché le uve hanno tempi di maturazione differenti. Si inizia con la Vespolina, la più delicata, per terminare con la Croatina che, a dispetto di quanto si potrebbe immaginare, necessita di un’adeguata maturazione per la significativa presenza di componenti fenoliche. Terminata la fermentazione separata delle quattro varietà, effettuata con frequenti rimontaggi, si procede all’assemblaggio, con una sosta in barrique di secondo passaggio per ben cinque anni, cui seguono sei mesi di affinamento in bottiglia.
Carminio scuro e impenetrabile, dotato di spiccata luminosità. L’incipit olfattivo è orientato su sentori di ribes nero, amarena candita, confettura di mora e rabarbaro, intercalati da richiami di liquirizia, pepe nero e refoli balsamici in chiusura. Un tannino ben calibrato tiene a bada la rilevante dotazione calorica che impegna il palato. Del resto, è molto probabile che il nome del vino derivi dall’espressione dialettale al buta me al feug, ossia “butta (sprigiona) come il fuoco”.
Servito a una temperatura di 18 °C accompagna molto bene le carni in umido e la selvaggina, con una spiccata predilezione per i bata lavar (batti labbro), i tipici ravioli di Canneto Pavese ripieni di stracotto, che per le loro dimensioni mettono in difficoltà chi tenta di mangiarli in un solo boccone.
Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese Doc Borlano 2016 – Marco Vercesi
Croatina 50%, Barbera 30%, Uva rara 10%, Vespolina 10% – 15,5% vol.
In apertura, foto di Ilaria Santomanco. All’interno foto di Simona Cremonesi
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