Occhi puntati sul Pomédes di Roberto Subla
A distanza di tre decadi, l’unione di Pinot bianco (60%), Friulano (30%) e un tocco di Riesling renano (10%) resiste ancora alle insidie delle mode enologiche, continuando a dar vita, vendemmia dopo vendemmia, a uno dei più grandi vini bianchi italiani

Nel 1991 Roberto Scubla, lasciato l’impiego in banca, avvia la sua azienda sulle colline di Ipplis, nelle immediate adiacenze della Rocca Bernarda, l’epicentro qualitativo della Doc Friuli Colli Orientali. Qui rispolvera gli studi in biologia e concentra il proprio impegno enologico sui 12 ettari di vigneto, un’estensione che gli consente di seguire molto attentamente la vigna e la vinificazione. Nella gamma dei vini – la produzione media si attesta intorno alle 50mila bottiglie – è presente anche una perla di dolcezza, il Cràtis, da sole uve verduzzo fatte appassite sui graticci per tre mesi sotto una tettoia sferzata dai freddi venti di bora.
La storia enologica moderna del territorio porta la data del 1965, quando Mario Schiopetto realizzò il suo primo Tocai in purezza, vinificando in bianco e in acciaio le uve della tenuta di Capriva del Friuli, presa in affitto dalla Curia di Gorizia. Si delineò così una filosofia produttiva che privilegiava la singola varietà, un esempio seguito da parecchi produttori. La pratica dell’uvaggio e l’uso sapiente del legno non vennero tuttavia abbandonati, ma furono riservati a un numero esiguo di tipologie.
Era il 1995, esattamente trent’anni fa, quando Roberto Scubla e il suo enologo Gianni Menotti trovarono riparo da una tormenta di neve in un rifugio montano nei pressi di Cortina d’Ampezzo. Qui ebbero la felice intuizione di produrre il vino che mettiamo sotto la lente, il Pomédes, che prende il nome proprio dal rifugio in cui venne ideato.
Sono circa 3.000 bottiglie, ottenute da un uvaggio preponderante di pinot bianco (60%), con il prezioso contributo di friulano (30%) e un tocco di riesling renano (10%). A distanza di tre decadi l’unione di queste varietà ancora resiste alle insidie delle mode enologiche, e continua a dar vita, vendemmia dopo vendemmia, a uno dei più grandi vini bianchi italiani.
Il processo produttivo prevede basse rese per ettaro, una vendemmia manuale a piena maturazione e una pressatura soffice. Il mosto poi fermenta fra barrique e tonneau di rovere per metà nuovi e il resto di secondo passaggio. La maturazione dura 8 mesi con frequenti bâtonnage; segue un assemblaggio di 10 mesi in vasche d’acciaio, mantenendo il contatto con le fecce nobili, e poi l’affinamento in bottiglia.
All’assaggio colpisce per lo smagliante paglierino dai riflessi dorati e per un profilo olfattivo ricco e generoso: agrumi canditi, miele di acacia, confettura di albicocca, erbe aromatiche (salvia e rosmarino su tutte), con un refolo iodato nel finale. Al sorso freschezza e sapidità sono perfettamente bilanciate da un’avvolgente morbidezza, un equilibrio che procede fino al lentissimo congedo dal palato.
Lo serviamo non troppo freddo, tra i 12 e i 14 °C, in abbinamento a pietanze speziate e in umido a base di pescato o di carni bianche. Un esempio perfetto? Gamberoni al curry.
Friuli Colli Orientali Bianco Doc Pomédes 2022 – Scubla
pinot bianco (60%), friulano (30%), riesling renano (10%)
In apertura, foto di Ilaria Santomanco
Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui
Commenta la notizia
Devi essere connesso per inviare un commento.