Ricordando Gianni Celati
È morto il mio professore di inglese all’università. Estremamente ironico, malinconico, attento, gentile, silenzioso e surreale. Promosse una mia traduzione di un sonetto di Shakespeare. Mi ammutolì chiamandomi alla cattedra, conscia della mia fortuna e della mia ignoranza. Sotto al sonetto scrisse: “chi lo ha tradotto?”. Gli dimostrai che lo avevo tradotto io, e ci guardammo stupiti entrambi. Erano i primi anni Novanta e ad ogni lezione ci incitava a cercare altrove, fuori dall’Italia, forme di espressione più profonde