Terra Nuda

Castagne d’Italia, il clima non favorisce la coltura

L’Italia è un paese importatore di castagne, per la necessità di soddisfare i propri fabbisogni. Nei primi sei mesi dell’anno si è avuto un aumento record delle importazioni. Purtroppo, non è ancora soddisfacente la produzione, nonostante proceda bene la lotta biologica al cinipide

Marcello Ortenzi

Castagne d’Italia, il clima non favorisce la coltura

La Castanicoltura per il 2019 appare in una situazione in chiaro scuro. Le presunzioni produttive per il 2019 fatte dalla Coldiretti vedono un calo del raccolto del 30% in meno rispetto al 2018 e una produzione nazionale inferiore ai 25 milioni di chili di castagne e marroni. Uno degli aspetti positivi a livello nazionale è la riduzione della presenza del Cinipide nelle regioni del Sud Italia, quelle in grado di fornire le produzioni più importanti (Campania, Calabria, Basilicata) che fanno ben sperare per la prossima produzione e per il futuro della castanicoltura nazionale. Se così fosse, si raggiungerebbe nel tempo un recupero produttivo che permetterebbe un alleggerimento del deficit commerciale.

Invece al Nord dove in primavera, forse anche a causa dell’andamento climatico del periodo, in particolare del mese di maggio, si è temuto un importante ritorno del Cinipide, che poi si è dimostrato eccessivo Infatti, i controlli hanno posto in evidenza un buon livello di parassitizzazione dell’insetto nocivo da parte del Torymus sinensis che porterà ad un riequilibrio fra l’insetto dannoso e l’antagonista. In alcuni areali della regione Emilia-Romagna, il problema del Cinipide permane probabilmente favorito da alcune pratiche agronomiche non del tutto corrette che impediscono il diffondersi e il moltiplicarsi del Torymus sinensis. Occorre fare, e questo è fondamentale, una forte azione di convincimento sui castanicoltori per interrompere la pratica della bruciatura in campo dei residui della vegetazione (es. potature, ramaglie o foglie). Questa pratica determina l’eliminazione del parassitoide che abita le galle presenti sui residui della vegetazione anche per più di un anno. Tra l’altro bruciare o asportare i residui della vegetazione, compreso il taglio dell’erba, provoca un impoverimento della sostanza organica del suolo che è elemento fondamentale per la salute del castagneto. Anche l’utilizzo dei fitofarmaci è pericoloso perché distrugge sia l’insetto nocivo sia il suo parassitoide. Il recente convegno in Portogallo organizzato dalla rete internazionale Eurocasta ha evidenziato il problema del marciume nero della castagna ormai più noto come Gnomoniopsis Castaneae. Un fungo che crea gravi danni al frutto rendendolo inutilizzabile e per il quale ancora oggi non sono state trovate soluzioni valide per debellarlo. Questo patogeno il cui sviluppo è molto legato all’andamento stagionale può incidere in maniera importante sia sulla quantità sia sulla commercializzazione di castagne e marroni.

L’Italia è un paese importatore di castagne, per la necessità di soddisfare i propri fabbisogni. Nei primi sei mesi dell’anno si è avuto un aumento record delle importazioni del 18%. Questo spesso comporta di trovare sui mercati prodotto spacciato per nazionale mentre proviene da Portogallo, Turchia, Cile, ecc. Eppure, abbiamo ben 15 prodotti a denominazione di origine legati al castagno. Questo induce a pensare che serva un piano per implementare la coltivazione di marroni e castagne almeno per soddisfare il fabbisogno interno. Per rimediare si può rinvigorire il recupero di quei castagneti che, pur essendo ormai vecchi, sono ancora in grado di produrre ma soprattutto occorre rinnovare un grande valore al paesaggio rurale di montagna e alla sua tutela. Poi sarebbe importante dare una nuova opportunità ai giovani castanicoltori, intraprendendo la strada legata alla realizzazione di frutteti di castagno. Impianti moderni irrigabili, lavorabili meccanicamente, trapiantati anche a elevata densità che possano usufruire di sistemi meccanizzati anche per le operazioni di potatura e di raccolta. Un processo di ammodernamento dell’agricoltura di collina e di montagna potrebbe favorire il reinsediamento di giovani in questi territori considerati svantaggiati.

La foto di apertura è di Marcello Ortenzi

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