Terra Nuda

Il caso Federconsorzi

Gli ex dipendenti hanno avviato nei confronti del Ministero delle Politiche agricole un’azione risarcitoria per i danni subiti. Le istituzioni e i sindaci revisori avevano tutti gli strumenti per impedirne il tracollo. La procedura fallimentare adottata ha condotto alla dispersione della holding, ma nessuno ha pagato per l'immane appropriazione di ricchezza pubblica

Olio Officina

Il caso Federconsorzi

Riprendiamo ancora una volta una annosa vicenda, che costituisce una pagina nera e irrisolta del settore agricolo italiano. E riportiamo in apertura anche le sempre illuminanti e autorevoli considerazioni di Alfonso Pascale, in relazione alla lettera che abbiamo ricevuto.

Ritengo utile far conoscere ai lettori di Olio Officina Magazine la posizione di questi ex dipendenti della Federconsorzi che hanno avviato nei confronti del Ministero delle Politiche Agricole un’azione risarcitoria per i danni subiti. Essi sostengono la tesi che “se tutti avessero fatto il proprio dovere, Ministri, direzioni deputate al controllo, sindaci e commissari di governo dopo, la crisi non sarebbe nata ed il crack non sarebbe mai avvenuto”. Si tratta di una tesi condivisibile. Le istituzioni e i sindaci revisori avevano tutti gli strumenti per impedire il tracollo della più importante struttura economica di servizi che l’agricoltura italiana aveva a disposizione. La procedura fallimentare adottata ha condotto alla dispersione della holding. Ma nessuno ha pagato per quella immane appropriazione di ricchezza pubblica. Rinviati a giudizio, i responsabili della procedura fallimentare sono stati assolti, mentre, in un altro processo, gli amministratori e i sindaci, dopo quasi trent’anni, attendono ancora un verdetto. Addirittura uno dei due funzionari della Coldiretti che, al momento del commissariamento, si trovavano nel collegio dei sindaci revisori a tutelare la regolarità dei bilanci, è diventato il capo dell’organizzazione con l’incarico di segretario generale. Adesso il Ministero delle Politiche agricole ha un solo modo per compiere un gesto riparatorio: prendere atto che la “mancata vigilanza” c’è stata e riconoscere ai ricorrenti quanto dovuto. Un po’ di giustizia in uno scandalo privo di colpevoli. Almeno finora.

Alfonso Pascale

Federconsorzi una vecchia vicenda ancora irrisolta

Gent.le Redazione

Sono passati circa 25 anni ma sulla grande stranezza che è ancora oggi fonte di disagio per molti, soprattutto per l’agricoltura, non si è fatta alcuna chiarezza. Se non si conosce e non si rende trasparente il passato, parlo dell’organizzazione Federconsorzi, ormai morta e sepolta, come può la nostra agricoltura, utilizzando ciò che è rimasto di buono dei residui del colosso agricolo, fare dei passi avanti? La sentenza dei giudici di Perugia passata in giudicato, non fa altro che riconfermare che seppur non sia stato individuato nessun colpevole del crack, i beni della Federconsorzi sono passati ad una società di banche ad un prezzo vile. In altre parole, la Corte afferma che la differenza tra quanto pagato dalla S.G.R. e il valore del realizzato è pari ad oltre 1.100 miliardi di vecchie lire. I giudici confermano che l’operazione condotta da Pellegrino Capaldo è stata giudicata affetta da nullità insanabile per contrasto con norme imperative. Mentre è stato ribadito chiaramente che il Giudice fallimentare Ivo Greco, omise il falso per soppressione in quanto non voleva che il concordato fosse messo gravemente in crisi dell’emersione di un sicuro profilo di non meritevolezza. Basterebbe già questo per dire che il concordato era illecito. La Corte conferma che Greco fosse l’effettivo dominus del concordato e di come volesse pilotarlo verso l’atto quadro con la S.G.R. I Giudici perugini, nonostante abbiano assolto Greco, in quanto hanno ritenuto di non poter ricondurre a lui la soppressione dei tre pareri, hanno però ribadito che il fatto storico si è comunque verificato. La Corte risolve la questione relativa alla qualifica giuridica di D’Ercole che come commissario liquidatore di Federconsorzi non sarebbe rientrato nei soggetti attivi previsti dalla legge fallimentare, determinando così la non punibilità di tutti gli imputati. I Giudici d’Appello, nel valutare D’Ercole, hanno seguito l’insegnamento della Corte di legittimità che nella tesi prospettata dalla difesa leggeva un inammissibile vuoto nella tutela penale. Vale ricordare che di D’ercole fu la sottoscrizione dell’atto quadro da cui derivò la vendita sottocosto del patrimonio della Federconsorzi. Di fronte a questi fatti incontrovertibili, subito dopo il pronunciamento dei Giudici Penali di Perugia (1° grado), alcuni dipendenti hanno proposto un’azione risarcitoria nei confronti del Ministero dell’Agricoltura sul presupposto della responsabilità per “culpa in vigilando”. La scandalosa sentenza emessa dalla XI sezione Civile del Tribunale di Roma, ha visto soccombere i lavoratori ricorrenti, i quali rilevano che il Giudice monocratico del Tribunale di Roma, ha solamente giudicato quanto prescritto dai Giudici di legittimità di Perugia, cioè, le assoluzioni degli imputati, tra cui D’ercole (Commissario governativo e commissario liquidatore Fedit). Il Giudice non ha giudicato il Ministero dell’Agricoltura per le gravi colpe di mancata vigilanza, come da richiesta, ma bensì D’ercole nel doppio incarico assolto, così come scaturito dal processo penale. I dipendenti appellanti nel ricorso in appello, ribadiscono che già dagli anni 80 del secolo scorso, se tutti avessero fatto il proprio dovere, Ministri, direzioni deputate al controllo, sindaci e commissari di governo dopo, la crisi non sarebbe nata ed il crack non sarebbe mai avvenuto.

Il Giudice dell’ XI Sezione Civile del Tribunale di Roma, nel giudicare, doveva tener conto di quanto affermato in sentenza dal Giudice penale, ma nell’interezza delle motivazioni. Il quale Giudice, ha come scopo l’accertamento della verità nell’interesse dello Stato e della collettività, interesse rappresentato dalla punizione o meno per il reato. I ricorrenti affermano che, il Giudice monocratico Civile, avrebbe dovuto verificare e accertare l’esistenza di un diritto reclamato da uno o più privati cittadini e quale, tra le due parti in causa, ha ragione. Se dalle motivazioni della Corte d’Appello di Perugia, emergeva chiaramente che la ricostruzione dei fatti avanzata dall’accusa restava confermata in pieno, ed aggiungeva, che i beni di Federconsorzi sono stati venduti a prezzo vile, mediante la sottoscrizione anche da parte diD’ercole dell’atto quadro ad una società formata dalle principali banche creditrici, denominata SGR. Il Giudice Civile non doveva far altro che verificare ed accertare l’esistenza del diritto reclamato, cioè la mancata vigilanza, e quale, delle due parti in causa ha ragione. Per dirla in altro modo, non doveva fare un copia e incolla, oltretutto riduttivo, della sentenza della Corte di Appello e della Suprema Corte di Cassazione. Questo breve escursus, documentalmente già provato ed ampliato, potrebbe essere utile per gli addetti ai lavori, per chi oggi ha un ruolo pubblico collegabile alla vicenda Federconsorzi, e per tutti i ricorrenti in appello. Il documento, per chi ha volontà di comprendere, deve rappresentare una utile informazione sulla quale riflettere, una denuncia i cui effetti potrebbero essere dannosi per tutti. Il vero problema è uno, nonostante sia stato accertato di tutto e di più, i soggetti (quelli di ieri e quelli di oggi) deputati a far la chiarezza dovuta in merito al collasso della Federconsorzi, non vogliono rendersi disponibili, non si capisce per quali motivi. Cari signori, perché si vuol negare una verità nonostante il tempo trascorso ed i proclami di rendere la nostra nazione un palazzo trasparente, ovverosia di vetro? A questo punto che dire, gli annunci fatti sulla trasparenza e sui cambiamenti, sono solo di comodo oppure no? I soggetti deputati a far la dovuta chiarezza, commissario di governo compreso, che sono parte in causa, unitamente ai vertici politici e non del Ministero dell’Agricoltura, deputati a rendere giustizia sulla scandalosa vicenda federconsortile perché non intervengono? Si cerchi di capire qual è la portata, anche politica, di questo problema prima del 26 maggio p.v.

Infine, l’intento di chi ricorre è quello di non voler riesumare la Federconsorzi e ne gli ammassi. Non vuol contribuire a pagare onorari e strutture a qualsivoglia gestione che si rende inutile. I ricorrenti vorrebbero raggiungere, su basi eque, un accordo con il dicastero dell’Agricoltura, che ponga fine dopo oltre ¼ di secolo a questa scandalosa vicenda, per la quale ci si potrebbe scrivere una sceneggiatura per un film.

Maurizio Ceci

p.s. Chi segue la vicenda per i ricorrenti, quindi responsabile legale, è l’Avv. Domenico Reccia.

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