Terra Nuda

La madre di tutte le truffe

Si rompe il muro di omertà nel mondo dell’olio. Secondo Maurizio Bertini, già buyer della Gdo e in seguito funzionario di vendita e acquisto per una grande ditta nazionale di confezionamento oleario, tutti conoscono la realtà, anche se nessuno, o quasi, ha il coraggio di affrontare e denunciare. Tutto parte dall’articolo di Paolo Berizzi sul quotidiano “la Repubblica”

Olio Officina

La madre di tutte le truffe

Abbiamo ricevuto una lettera, tramite posta elettronica, a firma di Maurizio Bertini, la quale a sua volta precede una lettera spedita al giornalista di “Repubblica” Paolo Berizzi, un signore giunto alla ribalta dopo aver pubblicato una fantasiosa quanto poco verosimile inchiesta causa di notevoli danni all’export del settore. Sicuramente una lettera tra le tante inoltrate al quotidiano “la Repubblica”, cui non seguì mai alcuna risposta, com’era ed è d’altra prevedibile, quando le inchieste non servono a creare argomentazioni ma a imporre semmai una strategia di tensione.

In diversi, come ben immaginiamo, scrissero al quotidiano fondato da Scalfari, perdendo fiducia in un giornale che aveva comunque dato di sé una immagine positiva e indipendente. Prevalse invece il silenzio, quasi fosse un’inchiesta a senso unico, senza ascoltare altre voci che non sia la stessa di sempre: Coldiretti.

Pubblichiamo pertanto anche la lettera di Bertini a Berizzi, anche perché quanto era stato scritto allora rimane una questione aperta e irrisolta. Non si ha ancora il coraggio di denunciare i falsi numeri che ancora rigurdano il settore.

Ciò che emerge, è la complessità di un sistema che poggia su un passato che di anno in anno sta sempre più scricchiolando; e forse sembra proprio essere giunto il momento di fare i conti con il passato. Per ripartire.

LA LETTERA DI BERTINI

Ho letto con interesse e condivisione le argomentazioni riportate sulla vs testata dai sigg. Ricchi e Mazzei. La mia prima reazione è stata di soddisfazione perchè finalmente un muro di omertà si sta rompendo. La seconda reazione è stata di sconforto perchè ormai da diversi anni denuncio la realtà della frode produttiva olearia italiana senza avere alcun ascolto. Ritengo opportuno spedirvi una risposta che avevo (ben due anni or sono) inviato al dr. Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica che aveva fatto un articolo sul settore dell’olio di oliva confezionato.Ovviamente tale risposta non è stata considerata meritoria di alcuna risposta. Credo comunque che quanto scritto al dr. Berizzi allora sia ancora valido oggi.
Maurizio Bertini

Alla cortese attenzione del sig. Paolo Berizzi

Buona giornata sig. Berizzi.
Mi chiamo Maurizio Bertini, sono oggi un pensionato ma nella mia vita lavorativa mi sono sempre occupato di olio prima come buyer della grande distribuzione poi come funzionario di vendita e di acquisto di una grande ditta nazionale di confezionamento oleario.
Penso pertanto di conoscere a fondo il mercato dell’olio ed in particolare quello dell’olio extra vergine di oliva.
Mi permetto quindi di entrare nel merito della sua inchiesta che, mirata a dimostrare loschi traffici nel settore, dimentica la madre di tutte le truffe che tutti gli operatori di questo mercato conoscono e che nessuno ha il coraggio di affrontare e denunciare.

In Italia, da sempre, si producono dai 2,5 ai 3 milioni di quintali di olio da olive a seconda che l’anno sia di carica o di scarica. In compenso siamo arrivati a dichiarare ben 8.400.000 q.li verso la fine degli anni 90. Lo sa perchè? Semplicemente per il fatto che per ogni kilogrammo di olio dichiarato i produttori ricevevano dalla comunità europea circa 1500 lire.Tale contributo si chiamava, e si chiama tutt’oggi, aiuto alla produzione.
Oggi tale aiuto non viene più liquidato con lo stesso criterio di allora ma forfettariamente sulla base di una media delle dichiarazioni fatte a cavallo fra la fine degli anni 90 e i primi anni 2000.
Pertanto si gode ancora oggi di dichiarazioni false emesse negli anni trascorsi. Ogni anno il mondo della produzione riceve 530.000.000 di euro.
Di questa truffa ordita ai danni della CE tutti i ministri dell’agricoltura succedutisi nei vari governi oltre che tutti gli operatori del settore sono perfettamente a conoscenza.
Perchè la definisco madre di tutte le truffe? Perchè per compensare la differenza tra quanto prodotto e quanto dichiarato e documentato con fatture false occorre importare un bel po’ di olio extra vergine dall’estero e battezzarlo come italiano. Ciò è possibile anche perchè non esiste un metodo ufficiale di analisi che permetta di dimostrare la provenienza dell’olio e la tracciabilità dello stesso è facilmente aggirabile.

Per dirla in soldoni in Italia non si produce olio extra vergine sufficiente a soddisfare i consumi interni; per farlo occorre importarne molto e buona parte di questo diventa italiano.
Questa “madre di tutte le truffe” è legata direttamente al mondo della produzione o, meglio, a quella imponente parte del mondo produttivo che è stata protetta dal mondo politico e associativo.
Per verificare quello che Le dico basta che svolga una indagine presso vari responsabili della repressione frodi (a Firenze ne può trovare uno molto serio) e anche presso i compratori della grande distribuzione (ad esempio Coop Italia).

Lei si domanderà come mai, pur essendo questo fatto noto a tutto il settore, non è stato mai pubblicamente denunciato dalle associazioni di categoria dell’industria olearia e del commercio oleario (Assitol e Federolio).
Semplicemente perchè anche fra gli associati di queste due categorie ci sono scheletri nell’armadio come l’acquisto di olio deodorato o la commercializzazione di olii vergini spacciati per oli extra vergini. O, più probabilmente, per la paura di creare danni all’intero settore.
Ed ora entro più nel merito di altri punti del suo articolo che, come ho già detto all’inizio,sembra più orientato al clamore, allo scoop, che a un serio approfondimento.

Le aziende confezionatrici dell’olio extra vergine non hanno mai franto le olive e confezionato le bottiglie con l’olio da esse prodotto. Forse lo avranno fatto all’inizio della loro attività i capostipiti delle varie famiglie olearie (Carapelli, Bertolli, Monini, Novaro, Berio, Carli) ma dagli anni Cinquanta almeno i grandi marchi oleari hanno confezionato le bottiglie con oli acquistati dai frantoi (deputati a frangere) avendo la capacità e la cura di selezionare e miscelare le migliori qualità che il mercato mondiale loro forniva.

Se oggi qualche azienda ha dentro le sue mura un frantoio è soltanto per coreografia non per utilizzo. Possono fare eccezione quelle cooperative che frangono le olive dei soci e confezionano l’olio prodotto, precisando però che anche questo è una minima quantità di quello da loro stesse confezionato.

Lei parla dell’olio spagnolo, greco e tunisino come si trattasse di schifezze o di sottoprodotti. Così non è come non è assolutamente vero che l’olio italiano è buono e soprattutto TUTTO buono.
Ci sono degli oli in Grecia e Spagna che nulla hanno da invidiare all’olio toscano, ligure o pugliese.
Chi controlla il mercato non è un cartello di grandi marche oggi in gran parte in mano agli spagnoli ma il mondo produttivo spagnolo che con i suoi 14 milioni di quintali rappresenta circa i 2/3 del totale olio consumato nel mondo (24 milioni di quintali).

In Spagna oggi si produce a costi molto bassi grazie ad investimenti e tecnologie che in Italia ci
sognamo.
Oggi il costo dell’olio extra vergine sfuso franco arrivo è il seguente:
– provenienza Spagna e Tunisia da euro 1,90 a euro 2,10 al kg
– provenienza Grecia da euro 2,15 a euro 2,25 al kg
– provenienza Italia da euro 2,30 a euro 2,50 al kg
Fanno eccezione gli oli Dop e Igp che hanno ben altri prezzi. Chi le ha detto che l’olio costa 23-25 centesimi al kg è perlomeno male informato se non uno sparaballe.

Il processo di deodorazione dell’olio è a mia conoscenza fin dal 1972. Purtroppo non si sono mai trovati metodi di analisi probanti che permettessero di rilevarlo. E’ effettivamente un olio fuorilegge ma ancora una volta i metodi di sofisticazione (di invenzione tutta italiana) sono più avanzati dei metodi di controllo.

Il sig. Masini prima di parlare di Agromafia dovrebbe fare un serio esame ai suoi associati e alla sua associazione.
Rimango a sua disposizione se volesse approfondire la questione.
Non ho interessi da difendere. Sono solo un assiduo lettore di Repubblica da quando Eugenio Scalfari la lanciò e mi piacciono particolarmente le inchieste giornalistiche alla D’Avanzo.
Non voglio ricredermi sulla serietà di queste inchieste. Per tale ragione come lettore, come amante dell’olio voglio leggere sempre verità palesi o nascoste che siano.
Ringraziandola dell’attenzione che avrà voluto riservare a questa mia la saluto cordialmente.

Maurizio Bertini
Barberino Val d’Elsa

28 dicembre 2011

LA RISPOSTA DELLA REDAZIONE

E’ risaputo che la vera produzione italiana sia inferiore, talvolta anche nettamente, rispetto a quanto pubblicamente dichiarato. Chiunque in questi anni si sia occupato professionalmente dell’ampia gamma degli oli di oliva sa che i numeri ufficiali sono stati gonfiati in passato e continuino a esserlo tuttora.

Il mondo della produzione lo sa, quello del commercio pure e anche il mondo dell’industria ne è al corrente. Il problema è che non si può provare l’alterazione dei numeri. Visto oltretutto che di recente, pur essendo stata introdotta una nuova burocrazia, il tanto contestato registro Sian, ha solo prtato con sé un inutile sovraccarico di incombenze e di costi per le aziende. Per non vanificare tale strumento, visto che lo si è comunque introdotto, sarebbe alquanto utile che tutti i componenti della filiera, quindi anche i produttori agricoli, siano di fatto tracciati, così da cogliere la reale consistenza delle produzioni.

Nel momento in cui sulla carta c’è un olio che manca all’appello, risulterà inevitabilmente facile “riempire” tale vuoto con un prodotto d’importazione, dal momento che una tracciabilità lacunosa serve a ben poco.

Comunque vada, c’è sempre Coldiretti di mezzo. Questa inggombrante organizzazione si è opposta all’estensione della tracciabilità a tutti i soggetti della filiera. Il Ministero delle Politiche agricole, dal canto suo, sostiene di riuscire a garantire comunque tale tracciabilità, attraverso il controllo delle superfici. Nel frattempo, tuttavia, ci ritroviamo un sistema che da una parte ci illude possa servire a qualcosa, ma che nella realtà dei fatti non offre mai dati certi. Ciò che resta invece certo e tangibile, è che si poteva benissimo evitare di mettere in piedi uno strumento così macchinoso come il Sian, buono solo per complicare la realtà.

Sul fatto di continuare a enfatizzare le frodi, infine, visto che sono ineliminabili, perché fanno parte della natura dell’uomo, sarebbe meglio affrontarle con discrezione e determinazione. Mai tenere abbassata la guardia, anche perché il rischio frodi è reale e non immaginario, ma non è il caso nemmeno di esaltare e ingigantire un fenomeno che non sembra costituisca un serio problema, visto che abbiamo all’opera, oltretutto, non uno ma tanti organismi di controllo, alquanto efficienti e sempre in guardia.

Infine, quanto agli scheletri negli armadi, chi non ha responsabilità, in questo Paese in disfacimento, scagli pure la prima pietra.

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