Terra Nuda

Marchigiano? Sì

Lui è Elio Palombi: chimico, studioso di idrocarburi. Ha lavorato per la Ferrari e altre case automobilistiche, coltivando nel contempo il piacere della tavola. Preferisce sempre il piatto buono al piatto pieno; e vede in Gualtiero Marchesi l’immagine e il concetto di una rivoluzione del gusto. Sono due i piatti di cucina domestica che ricorda con rispetto e tenerezza. Un buon motivo per consegnarci due ricette

Nicola Dal Falco

Marchigiano? Sì

Elio Palombi, chimico, studioso di idrocarburi, ha girato il mondo grazie al petrolio e ai suoi derivati, cogliendo due occasioni: lavorare per la Ferrari e altre case automobilistiche, coltivare il piacere della tavola.
Lo ha fatto, però, da marchigiano, concretamente e discretamente.

Colgo dalle pagine di Viaggio in Italia, di Guido Piovene, due coppie di concetti ancora validi per descrivere le Marche, rimasta l’unica regione a essere declinata al plurale, dopo che i termini Puglie e Abruzzi sono caduti in disuso.

La prima serie di concetti è una doppia negazione:«Non esiste una terra meno gotica o meno barocca» non vi alligna, cioè, né un’austera cupezza né il gusto per la pompa. I valori vanno naturalmente verso una misura media.

La seconda affermazione di Piovene è la seguente, sottolineata ancora da una doppia negazione: «Non si ritrova nelle Marche né il primitivo né l’estremamente moderno. Nulla di iperbolico».
Dunque, forse, il carattere di questa terra e dei suoi abitanti, tra montagna e colline che corrono al mare, tagliata orizzontalmente da tredici fiumi-torrenti, trae la sua forza nell’occupare un punto x, in buon equilibrio tra due estremi.

Una condizione spirituale moderata, media, che non ha troppo a che fare con la banalità del bene e del male, con lotte ideologiche, che predilige una condotta pratica, riservata, non avventata.
Una cultura della terra, mescolata alla curiosità del mare, laboriosa, solida, inventiva, senza fanfare.

Il piatto buono più che il piatto pieno

Alla fine, nel caso di Palombi, scrivere formule in modo da migliorare la “digestione” di un motore e lanciarlo al massimo mostra non poche affinità con la cucina ben fatta.
Recentissimamente, Elio Palombi è stato il tessitore (e l’anfitrione) del premio che la città di Senigallia ha dedicato a Gualtiero Marchesi.
Quando l’ho incontrato a colazione, il giorno prima della premiazione, gli ho chiesto quando avesse incontrato il maestro e che impressione ebbe.
«Successe negli anni Settanta, poco dopo l’apertura del ristorante in via Bonvesin de la Riva – ricorda Palombi – mi ritrovai davanti al famoso piatto con sette penne, sette punte di asparagi e venti grammi di tartufo nero di Norcia affettato. Una provocazione, certo, ma rivoluzionaria. Capii che la cucina italiana era tutt’altra cosa.
«Cosa emergeva in quella ricetta? La composizione, il sapore, una purezza d’intenzioni. Io che ho sempre preferito il piatto buono al piatto pieno ne ero entusiasta».

Una fagianella col gilet di tartufi

«Un altro piatto di Gualtiero – aggiunge Palombi – continua a rappresentare nella mia testa l’immagine e il concetto di quella rivoluzione del gusto, iniziata a Milano.
È la fagianella cotta a vapore con un gilet di fette di tartufo, acconciate tra la pelle e la carne. Essenziale e indimenticabile».
Parliamo, ora, invece, dell’altro quadro, quello dei motori e di tutto ciò che ne scalda i cuori.

Il campo di ricerca di Palombi, dalla benzina ai lubrificanti, dal liquido per i freni agli anticongelanti lo conduce dritto nelle officine e tra i box nella Formula 1.
Ed ecco alcuni brevi ritratti di piloti che correvano con la Ferrari.

«Mentre Lauda era soprattutto un grandissimo collaudatore – spiega Palombi – uno in grado di preparare la macchina al meglio, Regazzoni mostrava il suo carattere di bon vivant, amava i piaceri della vita ed era molto sensibile al tema dell’amicizia. Pironi univa il mestiere ad una grande educazione, di Alboreto posso solo dire che era una persona squisita.
«E poi, c’era Villeneuve, un pilota che riusciva a portare la macchina allo spasimo. Un sorta di cavaliere in perenne sfida con la morte. Il tipo di gente che piaceva a Ferrari».

Domeniche d’infanzia

Naturalmente, nell’universo culinario di un marchigiano come Palombi, c’è una madre e anche una zia.
Di quella cucina casalinga che rendeva onore alla domenica in famiglia, ci sono due piatti da ricordare con rispetto e con tenerezza.

Il primo sono le tagliatelle con le rigaglie di pollo. Molto, allora, faceva il pollo giusto, ma il risultato dipendeva dalla cottura separata delle varie parti: budelline, fegato, cuore.

«La mamma o la zia – dice Palombi – si svegliavano alle sei per portare a termine quel superbo ragù contadino.
A volte, invece, si pranzava con il piccione, cotto nel coccio con un ripieno di carne di manzo, salsiccia, le interiora del piccione e le amarene.
«Solo più tardi ho ritrovato lo stesso procedimento nel libro del mio concittadino Antonio Latini, nativo di Fabriano, cuoco in casa Barberini e di Esteban Carillo Salsedo, Reggente del Regno di Napoli; insignito del titolo di Cavaliere dello Speron d’oro, autore del trattato seicentesco Lo scalco alla moderna, o vero l’arte di ben disporre i conviti. Un testo dove si parla anche dei modi di trinciare, una pratica che proprio Gualtiero ha riportato in sala».
«Ma c’è ancora una ricetta marchigiana di terra e di mare – prosegue Palombi – che mi fa piacere citare e sono le cozze di ferragosto.
Cozze sovrane, farcite e passate al forno con un impasto di pane raffermo, uova, carne, cipolla, aglio, pomodoro e prezzemolo».

Due indirizzi di qua

Chiediamo, infine, a Palombi di indicarci due tavole marchigiane.
«Direi la Trattoria Mafalda di Poggio di Ancona per l’accoglienza, la cura familiare degli ingredienti e la bella terrazza; l’altro indirizzo è Da Maria a Fano.
Si può solo prenotare e mangiare quello che trovi. Quando manca il pescato fresco la porta resta chiusa. Non è un posto qualsiasi, ma un posto diverso, tagliato sulla personalità di Maria, ultraottantenne e di sua figlia Domenica».

Le ricette di Elio Palombi

Tagliatele della festa

Ingredienti per 6 persone
gr 500 di tagliatelle fatte a mano
gr 150 di rigaglie miste di pollo tritate
gr 100 di manzo tritato
gr 50 di lardo pestato e 1 salsiccia sminuzzata
1 mestolo di sugo di pomodoro, un poco di noce moscata
1 cipolla con infilzati tre chiodi di garofano, un cucchiaio di olio extravergine
½ costa di sedano tritato, 1 carota piccola tritata
sale, pepe
parmigiano grattugiato

Preparazione
Far rosolare in una pentola il lardo pestato insieme al trito di verdure e alla cipolla coi chiodi di garofano, aggiungere le rigaglie di pollo, il manzo tritato e la salsiccia sminuzzata e far bollire adagio per qualche minuto. Quindi unire il sugo di pomodoro, la noce moscata, il pepe macinato e il sale, mescolando spesso. Proseguire la cottura fino a quando il ragù non diventa denso.
A parte cuocere in acqua bollente le tagliatelle, scolarle, versarle in un piatto di portata e unire il ragù. Mescolare bene, aggiungere il parmigiano grattugiato e servire.

Piccione in tegame

Ingredienti per 6 persone
3 piccioni riempiti da un composto preparato con le rigaglie degli stessi tagliate grossolanamente
gr 200 di polpa di manzo macinata
gr 60 di prosciutto crudo macinato
1 uovo
un poco di noce moscata
gr 100 di polpa di amarene
qualche pezzetto di cedro candito
gr 30 di pistacchi
1 bicchiere di vino bianco secco
sale e pepe

Preparazione
Cuocere insieme le rigaglie, scottate prima in una padella con un poco di olio extravergine, con la carne macinata, il prosciutto macinato, l’uovo, la noce moscata, la polpa di amarene, il cedro candito, i pistacchi, il sale e il pepe. Farcire quindi i piccioni con questo composto.
Cucire i piccioni ripieni, aggiungere un po’ di olio extra vergine e metterli in un tegame facendoli cuocere a 180°C irrorando ogni tanto con il vino. Servirli ben caldi, dopo averli tagliati a metà.

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