Terra Nuda

Metti un giorno a Olio Officina

Una visita al festival che si è da poco concluso a Milano, nella sua quarta edizione, lo scorso 24 gennaio. Quel che racconta l’enologa e oleologa di Cantine Intesa, in Emilia Romagna, prende il via dal piacere dell’assaggio, finendo con le scoperte che lasciano a bocca aperta

Claudia Donegaglia

Metti un giorno a Olio Officina

Milano è una città che mi mette ansia, sembrano tanti piccoli cricetini nella ruota, non fanno altro che correre, correre. La metropolitana poi accentua la mia claustrofobia latente, di donna di campagna e di cantina. Però il mio amore per l’olio, l’invito di Luigi Caricato ad Olio Officina Food Festival hanno prevalso sulle
mie fobie e il 23 gennaio ero presente a Milano.

Miracolosamente, visto il senso d’ordientamento di bradipo che mi ritrovo non mi sono persa e alle 10 mi trovavo al Palazzo delle Stelline, sede dell’evento.
Non faccio in tempo a orientarmi all’interno della manifestazione che mi ritrovo catapultata in una degustazione di oli organizzata dall’associazione delle Donne dell’Olio.

Rimango forlgorata ad ascoltare Alissa Mattei, un tempo direttore ricerca e sviluppo e responsabile assicurazione qualità del Gruppo Carapelli. Con parle semplici ci ha ricordato l’importanza dei polifenoli nell’olio, responsabili del gusto dell’amaro, che, non dimentichiamo, nell’olio è una peculiarità da ricercare.

Il primo olio in degustazione era un Dop Garda, fruttato leggero, con sentori delicati di erbaceo e mandorla.
Abbiamo proseguito con un monocultivar Frantoio, un po’ il signor Rossi dell’olio, dal momento che si tratta di una varietà ubiquitaria. In questo caso abbiamo riscontrato che che per avere maggiore nitezza olfattiva probabilmente avrebbero dovuto anticipare la raccolta.

Il viaggio nell’olio ci ha portato in Abruzzo ad incontrare il monocultivar Dritta di
Monscufo, e abbiamo riscontato la quasi pienezza olfattiva, con una prodominanza delle note di carciofo e cicoria che la facevano da padrone.
Tutti noi degustatori lo abbiamo trovato equilibrato ed armonico, ideale per ogni pietanza, perché come il vino, a ogni piatto il suo olio.

Finalmente arriva l’olio che avrei voluto fare io: monocultivar di Nocellara del Belice, di Librandi. Un po’ squilibrato, piccante al punto giusto, per me avezza alla Nostrana di Brisighella, un ritorno a casa.
Abbiamo concluso la degustazione con una Nocellara del Belice, peccato per la raccolta posticipata che forse ne ha compromesso la finezza olfattiva e la longevità.

Al termine della degustazione mi sono trasferita nella sala Leonardo, dove ho ascoltato l’incontro dal tema “Il Blend non è peccato, chi ha paura del blend?”.
Nell’incontro si sono puntualizzate, a mio parere, alcune cose estremamente
Importanti: l’olio non dovrebbe essere solo quantità da acquistare al minor prezzo possibile , ma anche qualità, e questo andrebbe evidenziato anche nella pratica della degustazione, pratica che finora è principalemnte finalizzata nell’individuazione dei difetti.

Parlando di blend occorre porsi una domanda fondamentale: fra origine e qualità che cosa scelgo? Quando si fa un blend è fondamentale non dimenticare i polifenoli che reagiscono e si combinano fra loro in maniera non sempre prevedibile.
Fortunatamente non esiste un impiego del naso elettronico, in quanto si deve avere, in fase di blending, una visione globale di come sarà l’olio anche dopo alcuni mesi.

Così ho fatto il pieno di pensieri e non sono più riuscita a rimanere seduta. Sono andata ad ammirare le vignette di Valerio Marini. Ho fotografato, a bocca aperta, tutte le opere curata dall’associazione Arte da Mangiare: “Che cos’è un’oliera per un artista?” E mi sono riempita gli occhi con le xilografie presenti nel chiostro.
Ovviamente ho acquistato l’Atlante degli oli italiani, di Luigi Caricato, in vendita in anteprima al festival, poi sono andata alla mostra “Camminare la terra”, ma questa è un’altra storia.

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