Più oliveti intensivi
Il futuro dell'Italia olivicola e olearia? È nell'abbinata modello intensivo e metodo bio. Serve, con urgenza, un rilancio nazionale con impianti nuovi e una maggiore densità di olivi a ettaro, scommettendo pertanto su innovazione e Pac post 2020. È quanto emerso dal convegno “L’olivicoltura biologica intensiva, un’opportunità per la competitività dell’olio extra vergine di oliva italiano”, organizzato da Cia-Agricoltori Italiani e Anabio. In Italia, va precisato, c’è solo un 1% di oliveti intensivi con più di 600 piante e un 4% di semintensivi tra 400 e 599 piante, rispetto a un significativo 42% con meno di 140 piante a ettaro
Riportiamo integralmente una nota stampa diffusa da Cia, dandone massimo rilievo in quanto è raro che una organizzazione agricola sfidi l’onda populistica degli ultimi anni, dando corda a coloro che vogliono una agricoltura involuta e contraria al progresso e alla innovazione. In olivicoltura, come uttti i lettori di Olio Officina Magazine ben sanno, c’è una tenace ostilità verso il progresso, contro il sistema di coltivazione intensivo e superintensivo degli olivi, con i drammatici risultati che conosciamo. Ecco allora il testo di un comunicato che riporta quanto emerso all’ultima edizione di sana.
Per recuperare competitività sui mercati e guadagnare sostenibilità ambientale, l’olivicoltura Made in Italy deve intraprendere al più presto la strada della modernizzazione e dell’innovazione. Investendo su un modello produttivo intensivo e tecnologico, che valorizzi al contempo il patrimonio varietale dei diversi territori e utilizzi anche il metodo biologico.
Oggi in Italia l’olivo è coltivato su un milione di ettari, conta oltre 820.000 aziende agricole e circa 5.000 frantoi. Il valore della produzione agricola è di 1,3 miliardi di euro, mentre il fatturato dell’industria olearia è di oltre 3 miliardi di euro. L’olivicoltura “bio”, in particolare, rappresenta oltre il 20% della superficie totale, con più di 222.000 ettari lavorati con il metodo biologico.
Eppure, nonostante questi numeri, il settore fatica a stare dietro a competitor con sistemi olivicoli più moderni -spiegano Cia e Anabio- che si stanno espandendo sfruttando un mercato mondiale caratterizzato da domanda crescente. È chiaro, in questo contesto, che migliorare la produttività dell’olio italiano deve diventare la priorità assoluta: ciò vuol dire investire sugli oliveti, accrescendo per esempio estensione e densità.
Tuttora, infatti, l’olivicoltura nazionale è caratterizzata da basse dimensioni medie aziendali (1,3 ettari) con una superficie occupata da oliveti “adulti”: il 63% ha più di 50 anni, mentre solo 1% ha meno di 5 anni. Non solo poche piante e impianti nuovi, rimane anche la questione della bassa densità a ettaro. In Italia solo c’è solo un 1% di oliveti intensivi con più di 600 piante e un 4% di semintensivi tra 400 e 599 piante, rispetto a un significativo 42% con meno di 140 piante a ettaro.
“Per questo vogliamo proporre un modello di modernizzazione del settore che preveda soluzioni tecniche e linee di indirizzo per il rinnovo degli oliveti italiani -ha spiegato al convegno il presidente nazionale di Anabio, Federico Marchini- così da orientare gli investimenti secondo criteri di convenienza economica, sostenibilità ambientale e resilienza. Ovviamente, non si può ripetere per l’Italia un modello come quello diffuso in Spagna e, su scala minore, in Portogallo e nel Nord Africa, con aziende molto grandi, impianti estremamente meccanizzati e limitate varietà poco caratterizzate. Crediamo, però, che si possano realizzare nuovi oliveti, con il metodo biologico, ad alta densità (400-500 piante per ettaro) utilizzando l’enorme patrimonio varietale italiano fortemente legato al territorio; praticando correttamente potature, irrigazione, difesa fitosanitaria e adottando le nuove tecniche di agricoltura digitale.
In questo senso, “il Piano strategico della Pac post 2020 rappresenta l’occasione giusta -ha aggiunto Cristiano Fini della Giunta nazionale Cia- per definire un vero piano di rilancio del settore, che combini assieme politiche e azioni per rendere l’olivicoltura italiana più competitiva. Condividendo questa scelta d’innovazione tra Ministero e Regioni”.
In apertura, foto di repertorio
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