Terra Nuda

Chi ha paura della bassa acidità

Stanno uccidendo l'olio da olive. Stanno depredando l’Italia. Si muovono senza comprendere le conseguenze dei propri gesti. E’ il masochismo la chiave di lettura di alcuni recenti episodi che vedono protagonista il Corpo Forestale dello Stato. Si sta trasformando la felice espressione “bassa acidità”, da incisiva leva di marketing in una pratica ingannevole e truffaldina. Per pura ideologia? Per ignoranza? E’ un segnale di arretramento, presagio di una disfatta del sistema paese

Luigi Caricato

Chi ha paura della bassa acidità

Non so voi, io mi arrendo. La mia parte continuerò a farla comunque, finchè resisto, ma non posso fare miracoli. Continuerò a fare cultura di prodotto, ma se l’Italia ha deciso di automassacrarsi, faccia pure. Io però prendo le distanze. Non mi riconosco piu in coloro che dovrebbero essere a servizio del Paese, quando invece al contrario, con parole o azioni, si comportano facendo esattamente il contrario: affossando ogni libera iniziativa.

Già il comparto oleario non se la passa molto bene, investe poco in comunicazione e marketing, perché resta un comparto che si è impoverito nel tempo, ora però siamo arrivati al paradosso che anche alcune leve importanti di marketing, che più di altre hanno funzionato, le si vogliono debellare, addirittura ritenendole pratiche truffaldine.

Ricordo ai lettori che la parola “truffaldine” è una parola grossa. Occorre prestare attenzione alle parole, prima di metterle in pasto a un vasto pubblico.

Nonostante siano trascorsi circa due decenni, da quando tale dicitura, “bassa acidità”, compare in etichetta, diventando di fatto una acquisizione ormai di carattere popolare, adesso si vuol compiere un passo indietro. Per puro gioco autodistruttivo, più che per ragioni forti e fondate.

C’è qualcosa che funziona? Si fa di tutto per annientarla.

Leggendo un testo apparso sul sito del Corpo Forestale dello Stato, ci si imbatte sul lungo titolo di un dispaccio che per fortuna non viene ripreso da molti media, come invece è accaduto con tante altre comunicazioni, di altre fonti, pubblicate tal quali, in maniera acritica, proprio perché diffuse spesso da fonti comunque credibili, ancorchè istituzionali.

Provate a leggere il seguente titolo, lunghissimo, concepito proprio al fine di essere meglio indicizzato dai motori di ricerca. Lo riporto tal quale, lasciando il ridondante maiuscolo originario:

LA DIZIONE GENERICA “BASSA ACIDITÀ” RISULTA UNA PRATICA COMMERCIALE INGANNEVOLE POICHÉ INDUCE IL CONSUMATORE A CREDERE CHE IL PRODOTTO POSSIEDA CARATTERISTICHE PARTICOLARI

Io resto con tutta sincerità stupefatto. Mai avrei immaginato di leggere nel sito della Forestale una notizia su cui si è cucita tutta una storia a partire dalle “674 confezioni di olio extra vergine di oliva etichettate con dispositivo irregolare poiché recante il riferimento fraudolento alla bassa acidità del prodotto. Contestualmente sono state contestate sanzioni amministrative per un importo complessivo pari a 18.000,00 euro per pratica commerciale ingannevole”.

C’è da chiedersi come sia possibile che ciò possa accadere, nonostante la dicitura “bassa acidità” sia entrata di fatto nel linguaggio comune, e sia ormai da ritenere una acquisizione consolidata?
Sia ben chiaro: il consumatore non sa cosa significhi esattamente “bassa acidità”, ma ne intuisce tuttavia la migliore qualità, e si fida, acquistando in maniera serena perché ne apprezza l’indicazione. All’organismo di controllo spetta il compito di verificare la corrrispondenza al vero di quanto dichiarato in etichetta, ma l’accezione in quanto tale non è truffaldina. Mi devono spiegare i Forestali cosa si intenda per truffa se in una etichetta compare la voce “bassa acidità”, trattandosi di una espressione di uso comune, ormai cementata dall’abitudine. Non è un caso che le stesse quotazioni in alcune borse merci distinguano gli extra vergini in base al loro grado di acidità libera, perché allora disconoscere una pratica che si è storicizzata?

Si legge nel comunicato in questione: “L’attività del Corpo forestale dello Stato nasce dalla presa d’atto che risultano in commercio numerose marche di olio extra vergine di oliva che riportano in etichetta riferimenti ai più vari attributi qualitativi, con l’intento di distinguere quel prodotto specifico dagli altri appartenenti alla stessa categoria merceologica ed attirare così l’attenzione del consumatore, condizionandolo nelle scelte di acquisto”.

Che significa “presa d’atto”, se questa poi risulta così tardiva? Circa i riferimenti agli “attributi qualitativi”, è pur vero che una pessima legislazione impedisce di fatto a un prodotto di così alto spessore qualitativo di esprimere tutte le proprie potenzialità comunicative, per via di una negligenza ma soprattutto di un deserto culturale che non ha precedenti nella storia. Vi siete infatti mai chiesti come sia possibile che altri grassi alimentari, ma pure molti altri alimenti, godano di maggiore libertà espressiva? Tutto ciò deriva dal fatto che la legislazione relativa agli oli da olive è stata gestista purtroppo da burocrati completamente estranei alle legittime esigenze del mondo commerciale, come pure totalmente ignari delle necessità del marketing, troppo ancorati come sono, questi legislatori ispirati da una unica lobby, a una visione di retroguardia, passatista, senza aperture, chiusa al futuro.

Ciò che lascia spiazzati, è che i comunicati stampa continuino a essere concepiti non più al fine di informare il lettore di un avvenuto sequestro, se proprio necessario, ma di condizionarlo attraverso esternazioni che non si attengono più ai soli fatti, ma esprimono giudizi che non appaiono certo distaccati e imparziali. Inoltre, c’è da osservare che tale abbondanza di dispacci, riservati alla stampa, sono concepiti più per mettere in mostra l’operato di un determinato ente, anzichè essere finalizzati, come invece dovrebbero, a una informazione neutra. A che scopo allora vantarsi di un’operazione se poi questa serve solo a gettare ombre e discredito ai settori produttivi, generando imbarazzi, disagi e dubbi nella popolazione? Il ritratto che emerge quotidianamente dell’Italia è di un Paese alla deriva, popolato da bande criminali, afflitto da frodi e sofisticazioni, quando sono certo che, nonostante quel che appare, non siamo affatto tutti mascalzoni. Siamo piuttosto degli autolesionisti, questo sì, capaci di amplificare le zone d’ombra, o di parlare impropriamente di frodi non si sa per quale motivo.

Sempre nel comunicato in questione, in coda si legge il seguente passaggio: “Dai dati investigativi in possesso del Corpo forestale dello Stato risulta che l’elevato valore raggiunto sul mercato dall’oro giallo, stia attirando forti interessi da parte di associazioni criminali che, attratte da facili guadagni, stanno operando significativi traffici illegali di prodotti di scarsa qualità basso valore qualitativo, o addirittura oggetto di furto come sta accadendo in Puglia, a danno delle produzioni nazionali, ed in particole di quelle toscane di eccellenza”.
Mi possono spiegare, quelli della Forestale, che senso abbia avuto inserire questo ulteriore inserto, del tutto scollegato dall’episodio delle 674 confezioni di extra vergine indicante la dicitura di “bassa acidità”. Cosa lega le bottiglie di extra vergine di aziende serie con gli interessi di associazioni criminali? Perché associare due mondi opposti,a quale fine? Forse per rafforzare il lavoro compiuto dai Forestali? Mi sembra un atteggiamento molto discutibile, poco opportuno, del tutto fuori luogo.

Il paradosso, in tutto ciò, è che gli elementi scientificamente verificabili, come la bassa acidità libera, vengono ritenuti truffaldini, mentre quelli che evocano qualcosa di indimostrabile vengono al contrario tollerati, seppure la legge consenta espressioni balorde perché inattuali come “prima spremitura a freddo”, giacché non esistono più le seconde o terze spremiture. E anche il riferimento all’estrazione o spremitura a freddo, ancorché prevista da un legislatore ambiguo, non è affatto documentabile, perché nessuno può garantirci di fatto che l’estrazione sia realmente avvenuta alle temperature inferiori a 27 °C. Trovo tutto ciò assurdo, perfino squalificante.

Tornando alla felicissima espressione “bassa acidità”, si è raggiunto di fatto, con una indicazione così persuasiva, l’acquisizione di un’idea di qualità non aleatoria, ma concreta, sostanziale, seppure sia necessario supportarla con l’indicazione di altri parametri.

Anche se non tutti i consumatori conoscono la chimica degli oli (in realtà non la conoscono nemmeno gli addetti ai lavori), riconoscono tuttavia il valore attribuito alla bassa acidità. Riescono infatti a capire che un extra vergine di bassa acidità sia costituzionalmente migliore, sul piano qualitativo, rispetto a un extra vergine dall’acidità libera piu elevata, o prossima al suo limite massimo. E’ una verità assoluta, anche se sappiamo bene come non sia l’unico parametro da valutare in un olio, come sappiamo pure che altri parametri siano altrettanto importanti, anzi fondamentali.

Si legge inoltre, nel comunicato della Forestale, che la dizione generica bassa acidità risulti “una pratica commerciale ingannevole poiché induce il consumatore a credere che il prodotto possieda caratteristiche particolari e migliori rispetto a tutti gli altri prodotti appartenenti alla stessa categoria merceologica (olio extra vergine di oliva, in questo caso), i quali, invece, per legge, devono tutti possedere un tenore di acidità basso”.
Sbagliato: di fatto gli oli dalla bassa acidità sono migliori, altrimenti sul mercato dello sfuso non sarebbero certo valutati con prezzi più alti. Un errore grave, anche perché la categoria merceologica dell’olio extra vergine di oliva ha una estensione troppo estesa, da 0, a 0,8 c’è un abisso. Un olio che si attesta su uno 0,3 è motivo di orgoglio del produttore, se poi a questa acidità libera corrisponde anche un profilo sensoriale eccelso, tanto meglio: stiamo parlando di una eccellenza, perché allora impedire a un’azienda di rendere tale valore un merito da evocare? Gli organismi di controllo? Prelevino i campioni e verifichino la fondatezza di quanto dichiarato in etichetta, ma non distruggano i punti di forza del marketing, altrimenti depredano un Paese ormai già alla deriva, dove l’eccesso di burocrazia sta uccidendo la libera iniziativa imprenditoriale.

Alla luce di quanto si legge in giro da qualche anno a questa parte, anche sulla spinta di una potente lobby che detiene ormai il controllo del Paese, mi sembra necessario riflettere sulle conseguenze che tali comunicazioni possano determinare. L’arretramento del Paese è la chiara evidenza di una desertificazione culturale, ma soprattutto di una mancanza di quel minimo di buon senso che di solito dovrebbe ispirare la classe dirigente nel compiere le proprie operazioni e soprattutto nel farne pubblicità senza mescolare una pratica corrente e già storicizzata qual è appunto la “bassa acidità”, e le azioni criminali di gruppi malavitosi troppo spesso richiamate in modo inopportuno.

Le parole. Le parole hanno un significato: truffaldino (imbroglione, truffatore), truffa (frode, inganno, raggiro, al fine di conseguire un profitto), sono parole grosse, che scuotono, aprono ferite, sono corpi contundenti, non si possono utilizzare con leggerezza e improntitudine. Liquidare come truffaldino chi inserisce in etichetta l’espressione “bassa acidità” mi sembra non solo un atto disonorevole, ma anche un segno di desertificazione intellettuale pauroso, oltre che una scelta impropria, strumentale, ideologica, che poco si addice a una storica istituzione come il Corpo Forestale dello Stato. Un po’ di rispetto per le aziende mi sembra un atto doveroso.

Per dovere di cronaca. La contestazione che è stata effettuata rimanda all’articolo 5 lettera d) del Regolamento di esecuzione (ue) n. 29/2012 della Commissione del 13 gennaio 2012, art. 2 comma 1) lett. C) del D. Lgs. 109/92 e s.m.i., condotta punita dall’art. 18 comma 1) stessa legge. In particolare si contesta l’indicazione, nel campo visivo principale dell’etichetta, quindi fuori contesto rispetto agli altri parametri chimici previsti (indice perossidi, tenore in cere e assorbimento all’ultravioletto). Tutto rientrerebbe in una logica stringente, in quanto previsto dal legislatore, questione comunque aperta, alquanto discutibile; ciò tuttavia non toglie che si possano accettare comunicati stampa concepiti Per essere ancora più discutibili rispetto all’insensatezza di una norma scritta maldestramente.

Il valore della comunicazione. Imporre di aggiungere al termine “bassa acidità”, anche il resto dei parametri previsti dal legislatore, con caratteri della stessa evidenza e dimensione, significa depotenziare l’impatto visivo e comunicativo, tanto più che diverse aziende hanno oltretutto depositato il marchio “bassa acidità” ancor prima dell’introduzione del regolamento comunitario.

La foto di apertura è di Salvatore Scuderi

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