Terra Nuda

La voce di Jean-Louis Barjol

La creatività salva l’olio. Il direttore del Consiglio oleicolo internazionale sostiene la necessità di trovare un giusto equilibrio, lasciando spazio di libertà alle imprese. Il Coi, inoltre, incoraggia i produttori non solo a continuare gli sforzi per ridurre i costi di produzione, ma anche a concentrare e differenziare un'offerta ancora troppo spesso atomizzata

Luigi Caricato

La voce di Jean-Louis Barjol

Prosegue e si conclude con questa seconda puntata l’intervista al direttore esecutrivo del Consiglio oleicolo internazionale Jean-Louis Barjol. Per chi s fosse persa la prima parte dell’intervista, può leggerla QUI. L’intervista è scaturita dall’incontro a Milano del 23 gennaio 2014, in occasione della terza edizione di Olio Officina Food Festival.

Direttore Barjol, nella prima edizione di Olio Officina Food Festival il tema portante era il linguaggio dell’olio. Era emersa la necessita di innovare la comunicazione dell’olio e intorno all’olio. Il Coi ha avuto un ruolo determinante, introducendo un lessico codificato dal valore universale. Gli operatori del settore a mio parere non sono stati in grado di fare altrettanto, di lavorare cioè a vantaggio di una comunicazione rivolta al consumatore. Secondo lei sarà possibile svecchiare la comunicazione, o crede che si sia già sufficientemente al passo con i tempi? La parola d’ordine era creatività. Crede che il mondo dell’olio sia sufficientemente creativo?
In termini di creatività, penso che si debba distinguere chiaramente da una parte quello che lei chiama lessico codificato e che noi chiamiamo la norma del COI, e dall’altra parte la comunicazione delle marche.
Per quello che riguarda la norma del COI, direi che è lontana dall’essere fissata, poiché si sviluppa continuamente; ma cosi facendo, deve fare attenzione da una parte ad offrire un quadro stabile e chiaro che protegga molti produttori e consumatori, e dall’altra ad evolversi con le tecniche di produzione. Forse in questo lavoro di normalizzazione il COI resta un po’ troppo contraddistinto dalla produzione ed è per questo che, come ho detto, auspica di aprirsi ai paesi consumatori. Recentemente il vocabolario del quadro regolamentare è stato esteso per comunicare il profilo sensoriale degli oli vergini. Pertanto bisogna trovare un giusto equilibrio e lasciare uno spazio di libertà alle imprese.
Questo spazio di libertà, è quello della comunicazione propriamente detta di marca. Per rispondere alla sua domanda, mi sembra che sì, il mondo dell’olio sia creativo. Penso naturalmente al packaging, ma anche alle iniziative su internet col commercio on-line, o ancora, alle iniziative nel campo di oli di qualità superiore.
La comunicazione, è anche la promozione. Il ruolo del COI è stato molto importante in passato e spero che i suoi membri rinnovino i loro sforzi economici affinché il Consiglio continui ad accompagnare, in un approccio generico a profitto di tutti, gli sforzi di promozione dei paesi, dei produttori e delle loro organizzazioni professionali. Penso in particolare agli sforzi nei confronti dei degustatori, mettendo a loro disposizione un metodo e delle norme specifiche, ma anche un pubblico nel senso più ampio del termine, con pubblicazioni come l’Encyclopédie mondiale de l’olivier, il Catalogue mondial des variétés d’olivier, il recente saggio Following Olivefootprint, la rivista ufficiale del COI Olivæ, pubblicata nelle cinque lingue dell’Organizzazione – inglese, arabo, spagnolo, francese e italiano -, alcune schede-salute, numerosi libri di cucina (anche in lingua cinese e in hindi, a causa della loro diffusione nel quadro delle campagne di promozione) e, più recentemente, pubblicando sul suo sito web un glossario di terminologia olivicola associata alla tecnica, all’elaborazione delle olive da tavola, all’agronomia, alla chimica olivicola e all’analisi organolettica.

Il tema della seconda edizione di Olio Officina Food Festival è stato il lato femminile dell’olio e in tale contesto si è affermato il concetto di olio democratico, di un olio, vale a dire, che oggi tutti possono consumare, in quanto economicamente più accessibile, per via della sensibile riduzione dei costi di produzione e della diffusione di una tecnologia ce ha reso più facilmente accessibile un prodotto che per lunghi secoli era prerogativa di pochi ricchi. Ecco, riguardo alle donne, queste hanno avuto un ruolo determinante, almeno in Italia, nel corso degli ultimi dieci, vent’anni. Come vede – lei che è a contatto con tanti Paesi che aderiscono al Coi – la situazione delle donne nel mondo che si occupa di olivo e di olio?
Le donne occupano in effetti un ruolo importante in questo settore: in primo luogo pensiamo al loro posto come mogli, compagne o membri della famiglia. Sono loro che, nella maggior parte dei paesi produttori tradizionali, sono ancora incaricate della raccolta delle olive, del recupero dei frutti a terra, della stesura delle reti, della pulizia dei frutti e del riempimento dei sacchi. Sono ancora loro che gestiscono le scorte d’olio di cui la famiglia disporrà fino alla prossima raccolta. Infine, sono loro che hanno trasmesso la tradizione dell’impiego dell’olio d’oliva in cucina da generazioni.
In tutte le regioni olivicole in sviluppo, il lavoro temporaneo, occasionale o stagionale in occasione delle raccolte resta probabilmente una caratteristica determinante del lavoro delle donne in questo settore. Tuttavia, il ruolo delle donne varia secondo le regioni: nei paesi olivicoli più avanzati, le donne sono più autonome, formate meglio, più visibili e più coscienti del loro contributo essenziale alla modernizzazione del settore e alla sua apertura al resto della società.
A questo proposito, mi permetta di offrire una testimonianza di questa evoluzione alla quale si assiste in numerosi paesi, che sia il Nord, il Sud o l’Est del Mediterraneo, con l’emergere di donne a capo di frantoi familiari – a diversi livelli di responsabilità nelle imprese, nelle organizzazioni professionali o ancora nelle delegazioni ufficiali – per rappresentare il loro paese al COI o nelle amministrazioni nazionali.

Per quanto invece concerne il concetto di un olio democratico, in quanto destinato a un consumo popolare, secondo lei è possibile che si possa giungere a un olio accessibile a tutti e nel medesimo tempo in grado di remunerare adeguatamente sia chi coltiva gli olivi, sia chi produce l’olio?
Trovare un giusto equilibrio tra il produttore e il consumatore è una vera preoccupazione. Parte della risposta sta in una buona differenziazione dell’offerta e in una chiara valorizzazione delle diverse categorie di prodotti olivicoli che rispondono a bisogni diversi con prezzi mirati: pensiamo per esempio all’olio di oliva composto esclusivamente d’olio d’oliva vergine raffinato e d’olio d’oliva vergine, e all’olio d’oliva vergine extra. Ma non bisogna dimenticare l’olio d’oliva vergine o l’olio di semi d’oliva.
Oggi, i prezzi praticati sui principali mercati produttori per l’olio vergine d’oliva o extra vergine sono preoccupanti perché sono suscettibili, se si mantengono a questi livelli, di rimettere in questione la produzione olivicola in alcune zone rurali – chiaramente le meno competitive, ma proprio quelle dove l’olivicoltura gioca un ruolo molto importante. Di fronte a questa tendenza che rende fragile la perennità di alcune risorse, il COI incoraggia i produttori non solo a continuare gli sforzi per ridurre i costi di produzione, ma anche a concentrare e differenziare un’offerta ancora troppo spesso atomizzata. A questo proposito, citeremo il dispiegamento di azioni collettive basate su segni di qualità superiore, giustificando un prezzo di vendita superiore, a cominciare dalle indicazioni geografiche.

Il tema portante della terza edizione di Olio Officina Food Festival è incentrato sull’anima sociale dell’olio. L’Onu, tra l’altro, ha dedicato il 2014 anno internazionale dell’agricoltura familiare. Il ruolo della famiglia è significativo e determinante. Lo slogan 2014 del festival è “Dacci oggi il nostro olio quotidiano”. Verranno sviluppate le implicanze sociali, saranno coinvolte non a caso le fattorie sociali, le aziende gestite da ex detenuti, da ex tossicodipendenti, o da aziende che coltivano olivi in terre confiscate alla mafia. L’olio, dunque, come elemento che unisce e che aggrega sul fronte dei valori e dell’etica. Questa sensibilità si sta diffondendo un po’ ovunque, portando anche avanti il concetto di una olivicoltura sostenibile. Come vede la situazione mondiale al riguardo? Avverte anche lei questa sensibilità verso certi temi?
La valorizzazione e la salvaguardia dell’ambiente costituiscono una delle priorità della nostra generazione e, per raccogliere questa sfida di apertura nel campo dell’olivicoltura, l’aspetto ambientale è stato preso in considerazione specificatamente nell’ultimo « Accordo Internazionale sull’olio d’oliva e sulle olive da tavola », negoziato nel 2005. Nel corso degli ultimi anni, il COI è stato il punto di partenza di numerosi progetti di ricerca-sviluppo che avevano per principale obiettivo la protezione dell’ambiente. In particolare è stato all’origine di un programma per lo sviluppo e la diffusione di un modello di gestione durevole delle risorse idriche e olivicole, di un progetto per la conservazione, la caratterizzazione, la raccolta e l’utilizzo di risorse genetiche, di un progetto sul trattamento e l’impiego degli scarti e dei semi, ma anche dell’installazione di plurime collezioni internazionali di germoplasma dell’olivo e della pubblicazione di numerose opere interattive come il Code de bonnes pratiques pour le développement durable des oliveraies situées dans des aires caractérisées par un écosystème fragile. Queste attività s’iscrivono nel quadro della riflessione condotta dal COI sulla conservazione del suolo e il controllo della desertificazione, l’impiego razionale dell’acqua, la conservazione del carbone o l’influenza del cambiamento climatico sulla cultura dell’olivo.

Il COI è pienamente cosciente della necessità di conciliare uno sviluppo a misura d’uomo e il rispetto per l’ambiente, e proprio per questo l’olivicoltura non deve essere avvicinata solo da un punto di vista strettamente economico ma deve essere egualmente considerata sul piano culturale, sociale e storico, come parte integrante del patrimonio dei paesi del bacino del Mediterraneo, nei quali l’olivo riveste un ruolo fondamentale, e dove le sue diverse funzioni devono essere preservate. Ad esempio il fatto di:

1. Creare un paesaggio: l’ulivo è in effetti una specie che caratterizza fortemente il paesaggio, a seconda della disposizione, delle dimensioni, dell’aspetto e dell’età degli alberi, della vastità della coltivazione e della valorizzazione dei terreni sui quali sono coltivati;
2. Essere legati a luoghi storici e religiosi – a questo proposito, numerosi siti d’interesse storico e religioso trovano negli uliveti coltivati sul loro suolo un ulteriore motivo di esaltazione delle qualità che già presentano.
3. Partecipare alla difesa idrogeologica: l’uliveto occupa in effetti in numerose regioni terreni fragili o difficili e questo, grazie alla sua capacità riconosciuta di svilupparsi su questo tipo di suolo e di valorizzarlo ( questa caratteristica permette di coltivare ulivi produttivi, che giocano un ruolo fondamentale nella produzione idrologica del territorio)
4. Proteggere il suolo dall’erosione: questo aspetto è ancora più importante in questo momento, considerata la tendenza degli agricoltori a limitare al massimo le operazioni di sfruttamento del terreno e a ricorrere a tecniche di copertura vegetale.
5. valorizzare il territorio a fini turistici e anche per produzioni tipiche e di qualità. In numerose regioni, l’olivo è non solo capace di caratterizzare il territorio dal punto di vista del paesaggio ma egualmente d’influenzare in maniera significativa questo territorio in termini di utilizzo dei suoi prodotti tipici, grazie al consolidamento delle tradizioni e delle cucine legate all’olio d’oliva.
6. Occupare nuovi territori: l’olivo è una specie ideale per popolare le zone dai climi caldi caratterizzate da deboli precipitazioni, là dove altre culture non riescono a adattarsi, fornendo allo stesso tempo un alimento di grande valore. Possiamo dunque utilizzarlo per sfruttare le risorse naturali considerate difficili, per proteggere il territorio dalla degradazione e per ottenere un prodotto utile per l’economia. Non bisogna neanche dimenticare che in numerose società rurali, l’ulivo è la sola cultura capace di frenare l’esodo verso le città, perché si tratta di una delle rare culture che si adatta, come dicevo precedentemente, a climi realmente ostili.

Infine una domanda di natura personale. Lei è francese, nato e vissuto in un Paese che conosce solo marginalmente l’olivicoltura e che è fortemente radicato nella cultura del burro e degli oli da seme. Ebbene, come appare la situazione in Francia oggi? C’è attenzione per gli oli da olive?
Certo, sono nato in Francia e ci sono cresciuto, ma in Provenza, dunque la mia prima visione è la cultura olivicola di questa regione.
Detto questo, è evidente che la Francia è il paese del burro, che rappresenta ancora più del 42% del capitale riservato alle materie grasse delle famiglie francesi, davanti agli oli alimentari e le materie grasse solide alleggerite. Tuttavia questi valori medi nascondono le diversità tra regioni. Al Sud, più vicini ai loro vicini mediterranei, i francesi hanno una tradizione culinaria più ancorata nell’utilizzo quotidiano di olio d’oliva. I consumatori lo usano regolarmente per cucinare, condire, friggere, avvicinandosi così alle modalità di consumo degli spagnoli e degli italiani. Ma anche altre regioni, compresa la Bretagna, sono oggi consumatrici di olio d’oliva, soprattutto per condire le insalate o terminare un piatto magari cotto col burro.
Grazie agli sforzi delle imprese spagnole, francesi e italiane, la consumazione d’olio d’oliva si è dunque sviluppata in Francia e quello d’oliva è diventato l’olio vegetale più venduto dopo l’olio di girasole. Parlo di imprese spagnole e italiane perché la Francia è un paese importatore, molto più che un paese produttore. Con solo 3.000 tonnellate d’olio d’oliva prodotto annualmente, importa oggi più di 110.000 tonnellate. Caratteristica unica del mercato francese: tutte gli oli d’oliva importati e prodotti in Francia sono extra vergini e nessuno sembra dubitare che questa situazione continuerà.

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