Terra Nuda

New York per l’olio

Italia protagonista, ma per essere vincenti occorre presentarsi uniti. Ed esserlo realmente, soprattutto. Così, osservando gli scaffali dei punti vendita, si resta piuttosto sorpresi. Nel frattempo, il nostro Paese cerca uno spazio istituzionale autorevole in cui far esprimere al meglio i propri talenti. Ci prova con l’Italian Brand Ambassador, segnando un buon inizio

Luigi Caricato

New York per l’olio

E’ stata una bella esperienza. Vissuta in prima persona vale molto più di mille racconti riferiti da terzi. Io c’ero. L’idea di attraversare in lungo e in largo New York, attraverso i suoi tanti punti vendita, mi ha consentito di verificare con mano, se non le tendenze dei consumi, quanto meno le offerte commerciali – e comprenderle, assimilarle, valutarle caso per caso. C’è chi, tra i newyorkesi, nell’olio da olive ci crede per davvero, puntandoci moltissimo. Non si può dunque rinunciare al ruolo di primattore, la storia è dalla nostra parte.

Basta osservarsi intorno. Si scopre che l’Italia è protagonista reale di uno scenario che non ha finito ancora di stupire. Tutto ciò che è riconducibile all’Italia attrae, tanto che ovunque si cerca di imitare il nostro brand Italia, e in tanti casi si tenta – a volte, ahinoi, riuscendoci – a depredarne anche il nome. L’italian sounding visto da vicino è un fenomeno che riempie di amarezza, lascia tuttavia nel contempo un segnale comunque positivo: se ci si imitano, se speculano sul nostro buon nome, vuol dire che il made in Italy ancora attira più di altri riferimenti, e piace, piace tantissimo.

Puntare sull’Italia, valorizzando le imprese sensibili a un rafforzamento della nostra buona immagine presso una città tanto accogliente quanto curiosa come New York, è il passo necessario da compiere senza alcuna sosta, anche perché la Grande Mela è sempre in movimento, e nulla sembra eterno, i cambiamenti sono rapidi, non si può vivere di rendite di posizione. Per questo l’idea di istituire un premio per dare risalto e valore a chi, attraverso la propria professione, promuove l’Italia, con tutte le sue imprese, è proprio una scelta saggia.

Avendo una visione oliocentrica, trascuro volutamente, qui, quanto, di altro, era presente nell’occasione dell’iniziativa organizzata dell’ITA, questa nuova sigla che non tutti ancora conoscono. Non solo olio, dunque, visto che al centro dell’attenzione vi era anche il vino, come pure il mondo della moda, e altro ancora. Certo è che Pier Paolo Celeste – il direttore dell’ITA, l’Italian trade agency, ovvero Italian trade commission – ha fatto egregiamente la sua parte. Dalle ceneri dell’ICE, ora che si è riformulata rinascendo in una nuova realtà, l’atteggiamento sembra essere ormai mutato. Vista da fuori, l’ITA, almeno dalla mia esperienza personale dei pochi giorni vissuti a New York, appare di gran lunga più dinamica e moderna rispetto alla precedente struttura, con, in più, alle spalle, l’esperienza decennale di una struttura che in ogni caso ha saputo comunque apportare benefici al nostro sistema economico.

L’occasione dell’Italian brand ambassador è un buon punto di partenza e sicuramente costituisce un salto di qualità. Non ho precedenti esperienze dirette, ma l’ideazione di un premio (leggi QUI) da assegnare a coloro che possono, attraverso il proprio lavoro, trainarci in un mercato importante come quello degli Stati Uniti, e in particolare quello di un’area nevralgica e decisiva nel dettare le linee di tendenza, come è il caso di New York, mi sembra una scelta non solo azzecata, ma meritoria. L’aver lavorato bene – dal momento che io ci sono stato e ho potuto appurare in prima persona il buon lavoro svolto – è sicuramente degno di considerazione e apprezzamento. E’ un buon inizio, e occorre di sicuro insistere in tale direzione. Sempre con la collaborazione delle aziende, rendendole partecipi di continue iniziative, proprio come è avvenuto nei giorni scorsi. Onore al merito, dunque – e va detto senza alcuna esitazione, anche alle stesse aziende che hanno sostenuto tale importante premio. L’evento di cui abbiamo dato notizia, è avvenuto infatti in collaborazione con Emirates Airlines, oltre ai gruppi Monini North America e Colavita USA, presenti tra l’altro con proprie sedi autonome negli Stati Uniti.

La Italian trade commission di New York ha individuato così nella figura di Mel Bomprezzi – vice presidente della Grocery & Natural Foods merchandising, Kroger Co. – e in Steve Jenkins – vice presidente dell’import di Fairway Market – i professionisti cui assegnare il premio. Il loro merito l’aver avuto la visione di un progetto Italia, esprimendo grande dedizione e cura nella diffusione della cultura del made in Italy, attraverso scelte sagge, da veicolare con la massima attenzione al composito pubblico dei consumatori degli Stati Uniti.

La cerimonia della prima edizione dell’Italian brand ambassador è avvenuta domenica primo giugno, nell’Highline Ballroom, con una coda riservata a un altro pubblico selezionato, presso la sede dell’ITA, il giorno della festa della Repubblica Italiana. Le battute scambiate con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin sono state incoraggianti, e chissà che l’Italia non ritrovi lo smalto di un tempo. Certamente all’estero c’è maggiore coesione e voglia di intraprendere. L’importante è arginare le conseuete diatribe interne, con le difese degli orticelli.

Ho conosciuto per l’occasione il direttore dell’ITA Pier Paolo Celeste, ampiamente soddisfatto per la riuscita dell’evento. “Non è solo un premio”, ha detto. “E’ un impegno a fare di più, a insistere”. La forza evocativa del brand Italia lo si percepisce nettamente, l’ho sperimentato concretamente nel corso dei miei incontri e nelle visite presso i vari punti vendita, soprattutto nei più prestigiosi.

Ho vistitato di persona i punti vendita della catena Fairway, per esempio, e sono rimasto impressionato per la gran cura nella selezione dei prodotti e nella presentazione degli stessi. L’olio da olive è presente da protagonista e non da comparsa. Vi sono perfino gli oli monovarietali presentati da un selezionatore italiano specializzato in tale segmento di prodotto, oltre poi alla presenza sullo scaffale di tanti altri extra vergini, in rappresentanza anche delle piccole e medie aziende agricole, oltre, evidentemente, a marchi storici italiani, e a una ricca e variegata presenza di oli non italiani comunque ben selezionati.

Non ho avuto modo, per mancanza di tempo, di visitare i punti vendita Kroger Co., ma si tratta – come afferma Marco Petrini, presidente della Monini North America, di una catena nazionale con oltre tre mila punti vendita. Si tratta per l’esattezza del secondo retailer USA dopo Walmart, una insegna tra l’altro molto attenta alla qualità dei prodotti importati. Nel 2015 – aggiunge Petrini – saranno impegnati in una promozione nazionale che chiameranno “Taste of Italy”.

Ciò che conta, è puntare sul sistema Italia. Gli americani sono molto affascinati, anche se a volte non lo esprimono espressamente. Il mio girovagare a New York, ascoltando la diretta voce degli italo-americani presenti in città da oltre trent’anni – chef, giornalisti, buyer, di cui scriverò in altre puntate – ci fa comprendere come l’attenzione per l’Italia sia notevole. Occorre solo lavorare in sintonia, senza cadere nel provincialismo di chi rema contro, pensando di stare in Italia. New York è un altro mondo, una dimensione che va oltre le nostre piccinerie interne.

In Tutti gli Stati Uniti ha avuto successo il programma dell’Anno della Cultura Italiana, celebratosi nel 2013. Adesso non ci resta che lavorare uniti, per davvero, non a parole, onde favorire un rafforzamento dell’immagine dell’Italia proprio a partire dalla cultura. Dal 12 al 14 giugno ci sarà tra l’altro Enrico Brignano, molto atteso con il suo spettacolo, il Rugantino. Per gli americani noi rappresentiamo ancora l’eccellenza della cultura, e ci vogliono in fondo un gran bene, nonostante il più delle volte ci dimostriamo molto pasticcioni, e litigiosi soprattutto.

“Tutto si fonda sui rapporti interpersonali instaurati con le figure chiave”, ha chiarito il direttore Pier Paolo Celeste. Il successo delle vendite delle nostre produzioni, non solo agroalimentari, la stessa percezione che ne ha il consumatore, è frutto di un onvinto e consapevole investimento sulle persone. “Sono le relazioni coltivate negli anni che ci hanno permesso di strutturare, consolidare e far crescere la nostra posizione sul mercato statunitense. Siamo stati visti come soggetti che lavorano bene sul fronte della qualità, e abbiamo così meritato la loro fiducia”. Sta a noi non perdere, nè smarrire, la leadership acquisita sul campo.

Dietro ci sono storie molto belle, toccanti. A dimostrazione che gli Stati Uniti sono un Paese che offre grandi opportunità. Mel Bomprezzi, per esempio, è partito dal basso. Ha iniziato a lavorare per Kroger Co. nel 1979, poi nel corso degli anni è giunto a livelli sempre più alti, e, da addeto al taglio delle carni, è passato a capo acquisto, fino poi a conseguire, nel 2004, il ruolo di vice presidente della Merchandising Columbus Division. “Il premio mi inorgoglisce”, ammette; e pensa al padre ormai anziano, enormemente felice per il successo riconosciuto al figlio. “E’ stato mio padre – prosegue – a insegnarmi ad apprezzare e riconoscere la qualità e genuinità dei prodotti alimentari italiani. C’è, dietro alla mia professione, una storia intessuta da tante emozioni e saperi. Così, alla fine, quando si svolge bene il proprio lavoro, l’esperienza personale è fondamentale, ed esercita un ruolo determinante”.

Anche Steve Jenkins ha raccontato le proprie emozioni. Quando si riceve un premio – ha detto – si crea un rapporto anche di amicizia, un legame forte tra chi lo assegna e chi lo riceve. E anch’egli ha i suoi aneddoti, legati in particolare alla Fontina. Nel suo primo viaggio in Italia avvenne la grande scoperta. Ne rimase estasiato, tanto che poi questo formaggio lo introdusse in America. Jenkins si ritiene molto fortunato ad aver dedicato tante attenzioni al cibo italiano, nel corso della sua lunga carriera. Sin dal 1975. La sua è stata come una missione. “La Fontina la si produce in Valle d’Aosta, in una piccola regione ai piedi delle Alpi, fin dal dodicesimo secolo. Gli americani pensavano invece provenisse da Paesi come Svezia o Danimarca. “Sentivo di dover far qualcosa, e ho tanto insistito che ho fatto in modo che i miei connazionali conoscessero i veri cibi italiani, quelli autentici. Ho lavorato educando i consumatori, come pure ho lavorato seguendo i cuochi. Ho fatto capire a quest’ultimi che per loro cucine dovevano necessariamente attingere a materie prime autentiche, altrimenti non ha più senso di parlare di italianità”.

Altrettanto importante quanto ha infine riferito Jenkins, un po’ piccato. “Alcuni anni fa era stato invitato a un evento in cui si promuovevano i prodotti del made in Italy alimentare”, confessa. Non venne considerato dagli organizzatori. Ci rimase molto male. Ed è comprensibile, d’altra parte, visto anche il ruolo ch’egli ricopre presso Fairway Market. In secondo luogo, anche in ragione del fatto che tutta la sua vita professionale l’ha dedicata con un occhio di particolare riguardo alle produzioni italiane, portando oltretutto i consumatori quasi per mano, spingendoli a scegliere prodotti di qualità. “Tutti – ha confidato – prestavano attenzione agli chef, in quell’vento, nessuno che considerasse i rivenditori. Eppure noi, con il nostro ruolo, siamo molto importanti, determinanti anzi, per il successo delle vendite”.

A fare da corollario alla cerimonia di premiazione vi erano gli oli extra vergini di oliva di Badia a Coltibuono, Cesare Casella, Colavita, Colonna, Galuffo, La Baita, Monini e Terre di Grifonetto. L’elenco dei nomi è rigorosamente in ordine alfabetico; ma, a dominare la scena, vi erano on soltanto in bella mostra, ma quale materia viva da apprezzare all’assaggio, anche il Prosciutto di Parma Dop, l’Asiago Dop, il Piave Dop e il Grana Padano Dop, il tutto rafforzato con i bicchieri, pieni, di Prosecco Brut Doc a firma Maschio. Spero di non aver trascurato nulla. Ciò che è certo, è che l’effetto complessivo è stato molto bello e coinvolgente. La performance con i nostri tesori si è ripetuta l’indomani, con un intrattenimento nella sede dell’ITA, dove a campeggiare non era soltanto il cibo, ma lo stile italiano, con l’abbigliamento e altro, e altro ancora. L’Italia c’era, c’è, si è vista, mancano ancora gli italiani. Il resto – con uno sguardo anche sugli scaffali dei punti vendita – alle prossime puntate.

1. continua

La foto di apertura è di Luigi Caricato. La galleria immagini di Silvia Ruggieri.

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