Terra Nuda

No Pure, no Light, no Extra Light

Davide contro Golia. Secondo quantto si legge sul quotidiano statunitense "Sacramento Bee", la nuova Commissione per l'olio d'oliva della California ha proposto standard di qualità e purezza dell'olio che vanno oltre quelli di Unione europea e Usda

Agra Press

No Pure, no Light, no Extra Light

Gli storici dell’alimentazione sono soliti dire che seguendo l’evoluzione di cibi si scopre la storia del mondo. In effetti, si sono combattute guerre per il sale, le aringhe e le spezie.

Ora la California sta scatenando una schermaglia internazionale su come il settore olivicolo dello stato intende misurare la qualità dei suoi prodotti. La nuova Commissione per l’olio d’oliva della California, che rappresenta la maggior parte della produzione dello Stato, ha proposto degli standard di qualità e purezza dell’olio che vanno oltre quelli dell’Unione europea e dell’USDA.

E non è tutto. La Commissione vuole anche un vocabolario per l’etichettatura dell’olio californiano completamente nuovo. L’intento bandire termini fumosi come “Pure”, “Light” ed “Extra Light”, che sono ancora in uso e confondono i consumatori. (…)

Se lo stato approverà gli standard, gli acquirenti di olio d’oliva californiano dovranno semplicemente scegliere tra “Extra vergine” – il grado maggiore – e “Vergine”, così come è oggi per le uova di classe A o classe B.

Sapremo entro l’1 ottobre, o forse anche prima, se il prodotto californiano otterrà un set di standard appropriati al tipo di olio d’oliva che la natura ci ha dato, per il nostro clima e il nostro suolo. Saranno standard californiani per i californiani e non influenzati da quelli esistenti in Europa.

Non è un caso che tutto ciò somigli a quando le colonie hanno reciso i legami con l’Inghilterra. La California, che produce solo una piccola quantità dell’olio d’oliva mondiale, è il Davide che si batte con Golia.

Con la stessa energia di quelli che si battono per rendere la parola “California” sinonimo di olio d’oliva extra vergine, il Consiglio olivicolo internazionale (COI) di Madrid e il suo partner commerciale, la North American Olive Oil Association, che ha sede in New Jersey, nonchè gli stati membri dell’Unione europea, stanno proteggendo la loro posizione di arbitri della qualità dell’olio di oliva.

Insieme, gli oppositori del piano californiano rappresentano produttori e commercianti così grandi che controllano il 90 per cento dell’olio d’oliva mondiale. Tutti voi conoscete alcuni dei loro marchi: Bertolli, Berio, Pompeiian, Star, Crisco.

Il lungo braccio del Consiglio si può vedere negli attuali standard statunitensi per l’olio d’oliva, che sono quasi una copia di quelli del COI.

Quando uno Stato tenta di definire i suoi propri standard, gli esportatori, commercianti e confezionatori europei entrano in azione. Ci sono già state battaglie sanguinose. Uno studio del 2011 realizzato dall’Olive Center dell’università UC Davis, contesto’ alle importazioni in grande quantità di olio d’oliva etichettato come extra vergine di non soddisfare le caratteristiche di qualità e purezza necessarie per avere questa classificazione. Eryn Valch, vicepresidente della North American Olive Oil Association, continua ancora oggi ad attaccare violentemente questo rapporto.

Perciò, ad una audizione che si è svolta il 15 luglio davanti al Dipartimento per l’agricoltura della California sul tema dell’adozione dei nuovi standard, l’opposizione si è presentata a Sacramento per impedirlo.

“E’ stata una giornata estenuante”, racconta Paul Miller, presidente dell’Associazione olivicoltori australiana. L’audizione, durata nove ore, è stata la più lunga della storia recente.

La situazione non era nuova per Miller. Lui stesso si era battuto contro lo statu quo nel 2011, definendo nuovi standard per l’olio d’oliva australiano. Le stesse legioni erano andate fino lì per tentare di bloccarli. Ma l’Australia prevalse, sicchè un intero continente ha standard più stringenti di quelli del COI.

“Cosa penserebbero se noi andassimo da loro quando vogliono definire gli standard per la propria produzione?”, ha chiesto [durante l’audizione] Kimberly Houlding, dell’American Olive Oil Producers Association. (…)

“Perché intervengono contro i nostri standard, se non li riguardano?”, ha domandato Jeff Colombini, un produttore di Lodi che fa parte della Commissione per l’olio d’oliva della California. I nuovi standard si applicherebbero solo all’olio d’oliva della California e solo ai produttori che ne fanno più di 5000 galloni l’anno il che significa una decina di frantoi e un centinaio di olivicoltori.

Luisito Cercaci, un chimico italiano, è intervenuto [all’audizione] a nome della Pompeii Olive Oil, affermando che egli “vorrebbe una armonizzazione degli standard (del COI) a livello mondiale”.

Ma Selina Wang, della UC Davis, ha presentato una testimonianza che ha messo in luce le reali ragioni per cui i produttori di olio d’oliva californiani vogliono i loro propri standard. Della composizione chimica dell’olio d’oliva fanno parte anche acidi grassi e steroli. Un loro livello elevato può essere un’indicazione di scarsa qualità o non adeguata manipolazione dei frutti. Ma l’olio d’oliva californiano è naturalmente ricco di questi componenti a causa del nostro clima caldo e soleggiato. “Tali oli non sarebbero nemmeno classificati come tali in base agli standard del COI”, ha scritto Wang in una relazione. Questa discrepanza mette in discussione uno standard applicato indiscriminatamente a tutti. (…)

[Elaine Corn, quotidiano “Sacramento Bee” – 14 settembre 2014, a cura di Agra Press]

La foto di apertura è di Luigi Caricato e ritrae l’insegna di una nota azienda olivicola con frantoio in California

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