[Riceviamo e pubblichiamo una nota di Stefano Caroli, presidente dell’Associazione Frantoiani di Puglia Afp, di cui dissentiamo, perché non si può contrapporre l’olio extra vergine di oliva all’olio di sansa di oliva, in quanto si tratta di due distinti alimenti, ciascuno con differenti caratteristiche e tuttavia entrambi preziosi seppure in modo distinto sul piano nutrizionale. Lo riteniamo di conseguenza un imperdonabile errore di comunicazione e di prospettiva, oltre che un grave danno per la filiera olio da olive, motivo peraltro di confusione che genera disorientamento nei consumatori. Forse è il caso che si faccia una volta per tutte chiarezza in Italia tra gli stessi produttori sull’abc delle varie categorie merceologiche degli oli da olive, anche in relazione all’alto valore dell’intera gamma di oli derivante dall’oliva rispetto agli altri grassi alimentari].

Negli ultimi giorni, molto si è parlato della recente sentenza del Consiglio di Stato che ha accolto il principio del “food first”, ovvero la priorità dell’uso alimentare della sansa di oliva rispetto a quello energetico. Un principio che, a prima vista, sembra nobile: se un sottoprodotto è di origine alimentare, è giusto — si direbbe — riutilizzarlo come cibo. Ma dietro questa apparente tutela del consumatore si nasconde una verità amara: con questa decisione si favorisce la grande industria chimica degli oli, e si condannano le piccole e medie imprese che producono olio extra vergine di oliva vero, naturale e di alta qualità.

Le aziende industriali che lavorano la sansa con solventi e processi termici per ottenere oli raffinati escono vincitrici.

Le aziende agricole e i frantoi pugliesi, invece — quelli che non inquinano, che usano solo mezzi meccanici, che tutelano il paesaggio, le economie locali e la salute dei cittadini — sono i veri sconfitti.

Negli ultimi anni, proprio in Puglia, grazie alla legge regionale sull’Albo dei Mastri Oleari e alla collaborazione con l’Università di Bari, la cultura dell’olio è rinata: sono stati fatti grandi investimenti in ricerca, formazione e impianti tecnologicamente avanzati, capaci di produrre oli extravergini eccellenti e di gestire i sottoprodotti in modo circolare e sostenibile. Le aziende hanno creduto nel futuro quando nessuno ci credeva, costruendo modelli di economia circolare e riducendo gli sprechi in nome della qualità, della trasparenza e della salute. Oggi, questa sentenza rischia di spazzare via anni di progresso.

La sansa di oliva non è un alimento diretto. È un residuo della lavorazione dell’olio, a basso contenuto lipidico e potenzialmente ossidato, che può diventare “olio di sansa” solo attraverso processi chimici e termici complessi. Definirla “alimento” è una forzatura che finisce per avvantaggiare chi la trasforma con solventi, e penalizzare chi produce con metodi naturali. Se questa scelta porterà più olio di sansa raffinato sul mercato, allora assisteremo a una diluizione dell’offerta di qualità, un rischio di confusione per i consumatori e un abbassamento della qualità media degli oli in commercio.

L’olio extravergine di oliva — spremuto a freddo, ricco di polifenoli e antiossidanti — è un pilastro della dieta mediterranea e della salute pubblica. L’olio di sansa, invece, è povero di antiossidanti, subisce trattamenti chimici e ha minor valore nutrizionale.

Sottrarre la sansa ai frantoi locali significa anche interrompere un ciclo virtuoso di economia circolare, aumentare i trasporti e l’inquinamento, indebolire le economie territoriali.

Chi pagherà questo prezzo? I cittadini, che rischiano di perdere un modello produttivo pulito, trasparente e legato al territorio, in cambio di una filiera sempre più industriale e lontana.

E come se non bastasse, anche la comunicazione mediatica contribuisce alla confusione. Vedere pubblicata la foto di un frantoio dei tempi della pietra per rappresentare i produttori pugliesi è un’offesa a chi ogni giorno lavora con competenza, formazione e tecnologia avanzata. Quella immagine nega il progresso compiuto e rende i frantoiani interlocutori non credibili agli occhi dell’opinione pubblica. Noi, invece, siamo una filiera che innova, che studia, che collabora con le università, che rispetta il territorio e che protegge la salute dei cittadini. Siamo davvero certi che questa scelta sia giusta? O stiamo pagando — senza accorgercene — l’amaro prezzo dell’inconsapevolezza, sacrificando i custodi dell’olio extravergine, del paesaggio e della dieta mediterranea?

VEDI l’intervista al professor Lanfranco Conte: L’olio di sansa ha una grossa carta da giocare