Salvare la biodiversità per affrontare la crisi ambientale
Uno degli strumenti più significativi dell’associazione Slow Food sono i Presìdi, volti alla tutela e sostegno delle piccole produzioni tradizionali. Alla quattordicesima edizione di Terra Madre Salone del gusto, tredici nuovi riconoscimenti andranno ad arricchire il già ricco bagaglio culinario. Un importante traguardo che vede la Puglia primeggiare con cinque specialità: dalla cozza nera di Taranto fino alla provincia di Foggia, con il pane di Monte Sant’Angelo
Uno degli strumenti più significativi dell’associazione Slow Food sono i Presìdi, volti alla tutela e sostegno delle piccole produzioni tradizionali.
Alla quattordicesima edizione di Terra Madre Salone del gusto, tredici nuovi riconoscimenti andranno ad arricchire il già ricco bagaglio culinario.
Un importante traguardo che vede la Puglia primeggiare con cinque specialità: dalla cozza nera di Taranto fino alla provincia di Foggia, con il pane di Monte Sant’Angelo
Da sempre Slow Food pone la difesa della biodiversità al centro dei suoi progetti con l’obiettivo di tutelare la straordinaria ricchezza del nostro Pianeta.
Ed è proprio nella nostra penisola, ricca di prodotti artigianali, tecniche tradizionali, specie autoctone e paesaggi rurali, che già nel 1999, l’Associazione ha dato vita a uno dei suoi strumenti più significativi: i Presìdi Slow Food.
Questi progetti sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta.
Oggi sono oltre 600 in 79 paesi (in Italia se ne contano più di 350) e coinvolgono migliaia di produttori.
E la quattordicesima edizione di Terra Madre Salone del Gusto, a Parco Dora di Torino dal 22 al 26 settembre, vede il debutto di tredici nuovi Presìdi italiani, che vanno ad arricchire lo straordinario bagaglio di biodiversità tutelata da Slow Food e si aggiungono ad altre storiche produzioni internazionali presenti all’evento.
Sono sei le regioni italiane che presentano quest’anno una nuova ricchezza da tutelare e tra queste spicca la Puglia con cinque presidi. Ecco in breve le loro storie, simbolo di rinascita e resilienza.
A Taranto, la cozza nera è un nuovo Presidio Slow Food ed è anche molto di più: innanzitutto un riconoscimento che sfida i pregiudizi che da anni, per ragioni prima di tutto ambientali, affliggono la città pugliese, e poi anche un simbolo di rinascita di una comunità che ha nella mitilicoltura le origini della propria storia.
Più di venti mitilicoltori hanno aderito al progetto, che prevede l’allevamento della cozza nera tarantina secondo un disciplinare che non garantisce soltanto la tracciabilità e la qualità del prodotto, ma anche il rispetto dell’ecosistema marino.
Grazie alla collaborazione con partner scientifici, come il Cnr, e tecnici, come Novamont, i produttori che aderiscono al Presidio utilizzano infatti materiali ecosostenibili, prodotti in mater-bi e quindi compostabili.
Sempre in provincia di Taranto, a Manduria, il colombino è il dolce delle feste. Oggi sono pochi i pasticceri locali a conservarne la ricetta.
Questo pasticcino dalla forma di tortino tronco-conico presenta due strati di pasta sfoglia farcita con pasta di mandorle all’arancia e crema pasticcera.
Il tutto ricoperto da una soffice glassa di meringa fatta con zucchero, albume e limone, e da un decoro a forma di colombino, da cui deriva il nome, realizzato con confettura di albicocche.
Un classico è il suo abbinamento con un bicchiere di Primitivo di Manduria Dolce Naturale.
Nel brindisino invece, il confetto riccio di Martina Franca è legato ad altre due occasioni speciali, i due giovedì che precedono il martedì grasso.
Il confetto viene realizzato con mandorle di varietà locale di forma tondeggiante – la tondina in particolare, ma anche la catuccia, la spappacarnale e la carluccio – zucchero e limone.
La preparazione prevede l’abbrustolimento delle mandorle all’interno della conca, un pentolone basso, tondo e largo di rame, riscaldato a temperatura costante, a cui l’artigiano del riccio imprime movimenti ondulatori.
Segue poi l’arricciatura, che si ottiene riducendo la temperatura del fuoco e versando nella conca “lu gilueppu”, uno sciroppo cotto a filo, formato da acqua calda, zucchero e qualche goccia di limone.
La focaccia a libro di Sammichele di Bari è una focaccia dalla forma circolare, croccante e dal colore bruno esternamente, soffice e di colore bianco all’interno.
Il nome deriva dalla chiusura a libro della sfoglia che, durante la lavorazione, viene stesa, condita con olio extravergine, sale e origano e poi richiusa su sé stessa per formare un rotolo sistemato a spirale.
Tratto tipico nella realizzazione della focaccia a libro, fecazze a livre in dialetto, è l’utilizzo e la valorizzazione di ingredienti “poveri” e poco elaborati: farina provenienti da grani teneri coltivati localmente e legati alla tradizione cerealicola regionale – maiorca, risciola, bianchetta; sale delle vicine saline di Margherita di Savoia; olio extra vergine di oliva di frantoi locali da olive della cultivar ogliarola barese; origano spontaneo raccolto nelle zone incolte, aride e assolate; lievito naturale proveniente dalla pasta acida dell’impasto precedente.
A chiudere il cerchio pugliese è il pane di Monte Sant’Angelo, un pane di farina di grano tenero di forma rotonda grande, a volte grandissima. Un tempo, infatti, le famiglie acquistavano il pane una sola volta alla settimana e quindi le forme potevano superare i 12 chilogrammi.
Un aspetto curioso e caratteristico dei forni del paese garganico è il fatto che molti fornai sono soliti esporre i pani all’esterno delle botteghe, a volte anche appendendoli al muro.
La sua cottura avviene ancora in forni con camere in pietra refrattaria spesso molto vecchi che, con l’eccezione di Natale e Capodanno, rimangono sempre accesi.
La preparazione prevede la lievitazione con la sola pasta acida, al quale ogni giorno si aggiunge la farina necessaria per la produzione quotidiana.
Dunque, questi progetti sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta.
Oggi sono oltre 600 in 79 paesi (in Italia se ne contano più di 350) e coinvolgono migliaia di produttori.
E non finisce qui.
In apertura, foto di Roberto De Petro
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