Terra Nuda

Sequestri d’olio, grande clamore

Sedici arresti e 400 tonnellate di finto olio biologico nostrano. A chi giova? Provate a pensarci un po’. A furia di enfatizzare alcune gesta eclatanti – attraverso l’amplificazione delle notizie, che nel frattempo diventano virali – siamo proprio sicuri che si faccia il bene del Paese? Alla fine, ciò che manca è la concretezza

Luigi Caricato

Sequestri d’olio, grande clamore

A me, per natura, non piace unirmi al coro, ma quando non si fa altro che puntare i riflettori su una notizia, non si può certo ignorarla. Noto che tutti si buttano a capofitto, e tutti sono stati pronti a lanciare comunicati stampa con le proprie dichiarazioni. Come è inevitabile che sia, in certi casi. Le abbiamo raccolte QUI, QUI e QUI – ma sicuramente ve ne sono altre che ci sono sfuggite.

Noterete che alcuni sono intervenuti perché non si poteva fare a meno, visto che è stata la notizia bomba della giornata di ieri, 24 luglio, ma altri sono intervenuti per il gusto di mettersi in mostra, di far apparire la propria vocazione redentrice.

Ora, al di là della notizia, così deprimente – perché fa una enorme tristezza sapere del grado di delinquenza che ci affligge – mettetevi tuttavia nei panni di chi ci guarda da fuori – come pure di chi ci osserva dall’interno del Paese. L’immagine che se ne ricava, non è così edificante. Eppure resto fermamente convinto che se il comparto oleario non fosse funestato da questa serie ininterrotta di comunicazioni negative, a ogni occasione poste in grande risalto, amplificandone oltre il dovuto la portata, si prospetterebe un futuro diverso e migliore.

I delinquenti sono sempre esistiti e hanno agito senza mai essere scalfiti, poiché esercitano nell’ambito economico al solo fine di speculare e trarne il massimo vantaggio ai danni della collettività. Si è sempre saputo, accade ovunque nel mondo. Non c’è in Italia una concentrazione a mio parere più alta di criminalità. Eppure, dalla nostra vocazione a farci del male, emerge con chiarezza l’unica nostra capacità che nessuno al mondo ci invidia: mettere tutto in piazza, lamentarsi e sentirsi nel contempo orgogliosi per aver sgominato una banda di malfattori o presunti tali.

Nessuno però si interroga sul dopo. Tutti si concentrano sul prima. E così, il dare grande risalto a una notizia comunque terribile e grave, suscitando il massimo del clamore mediatico, sembra essere l’unica chance per un’Italia che non sa essere padrona del prorpio destino: occorre solo dmostrare quanto si è bravi, ma nessuno ci ha mai fatto vedere come si è bravi fino in fondo. Non esiste la preoccupazione del dopo, di cosa accadrà dopo tanto clamore. Di solito c’è solo tanto fumo e tanto poco arrosto – così, giusto per ricorrere a un modo di dire. Siamo così abituati ormai a urlare ai quattro venti, mettendo tutto sulla piazza, che ci curiamo così poco di quel che in seguito può concretamente accadere ai malfattori. Nessuno si chiede se ci sarà per esempio piena giustizia, se saranno condannati, e in modo altrettanto eclatante rispetto al clamore iniziale.

Io credo che a molti in Italia piaccia l’idea che dall’esterno ci considerino tutti criminali, afflitti da una delinquenza ormai radicalizzata e congenita. Siamo sempre pronti a prestare il fianco, con il nostro conclamato masochismo. Il tutto per una smania di protagonismo, e solo per dire poca roba: “quanto siamo bravi, avevamo ragione che c’era del marcio”. La grande scoperta del malaffare. Come se il mondo in tutte le epoche non sia mai stato attraversato dall’imbroglio e dal male.

A noi però piace metterci in mostra. Dall’estero intanto cosa penseranno di noi? “Italiani, tutti delinquenti?” Sembrerebbe proprio di sì. E a poco servono le dichiarazioni di compiaciuta soddisfazione per quanto accaduto. Nessuno, alla fine, si preoccupa di gestire la comunicazione con la massima cautela, perché l’unica aspirazione è solo mettersi in mostra, dimostrando di non essere inoperosi. Per il resto, che i malfattori paghino a caro prezzo è inessenziale, conta solo il prima, non il dopo. Ci si accontenta del clamore, non si aspira alla giustizia.

Liberi di non pensarla come me, io non posso tuttavia pensarla diversamente da quanto ho scritto. Non si tratta di essere negazionisti, ma di affrontare tali episodi con la dovuta cautela, senza farsi del male per il gusto di sentirsi protagonisti.

L’illustrazione di apertura è di Valerio Marini

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