Terra Nuda

Gesù e l’adultera, un incontro che va oltre la morale convenzionale

Le riflessioni di un teologo su un tema evangelico molto controverso. Lo ospitiamo su Olio Officina Magazine, perché tutto ciò che concerne la sfera dell’umano ci riguarda direttamente, anche se non si è credenti

Sante Ambrosi

Gesù e l’adultera, un incontro che va oltre la morale convenzionale

Qualche domenica fa, dopo la celebrazione domenicale di mattina presto, casualmente ho incontrato, in due diversi momenti, due persone che hanno preso spunto dalla spiegazione che avevo appena proposto durante la mia omelia, a partire dal brano del Vangelo di Giovanni – che si trova all’inizio del capitolo 8 del quarto Evangelo, quello di Giovanni, appunto. Il brano, come sappiamo, riguarda un episodio di straordinaria drammaticità: i Farisei e gli scribi portano davanti a Gesù una prostituta colta in fragrante adulterio, in modo da metterlo alla prova e avere motivo di condanna.

Subito dopo la celebrazione, ho incontrato separatamente, e casualmente, due persone che mi hanno espresso due giudizi diametralmente opposti, rispetto alla mia interpretazione dell’episodio.
Una di queste persone mi ha espresso sincero apprezzamento ed entusiasmo per l’interpretazione che avevo manifestato, mentre l’altra, incontrata poco dopo, mi ha confidato apertamente il proprio totale dissenso rispetto a quanto avevo detto.

Devo essere sincero, questo episodio mi ha profondamente colpito, non tanto per il dissenso in sé. Sono stato abbastanza criticato, e frequentemente anche. Non mi stupisce il dissenso. Io stesso, d’altra parte, tendo a esprimere a mia volta delle critiche, un po’ su tante cose, sia di ordine filosofico, sia teologico.

Mi ha stupito, in realtà, questo duplice modo di ascoltare e leggere uno medesimo episodio. Si trattava di un fatto assai noto, quello di una prostituta portata davanti a Gesù per vedere come egli avrebbe giudicato un simile comportamento.
Per gli scribi e i farisei la risposta doveva essere solo una: una condanna certa, in base alla legge. Ma se questo era evidente, meno evidente mi sembravano i due diversi atteggiamenti delle due persone che ho incontrato dopo la mia omelia e che avevano espresso un parere così diverso su un episodio indiscutibile nella sua realtà oggettiva.
Come era possibile interpretare un fatto tanto evidente e reale in due modi totalmente diversi?

Da questo episodio mi sono convinto che anche le persone in buona fede molto spesso si accostano alla parola di Gesù, e agli stessi fatti della vita di Gesù, in modo soggettivo, con risposte già preconfezionate, sulla base di una mentalità e di una cultura popolare più facilmente reperibile nei modi di essere e di vivere.
Molto spesso, e molto facilmente, ci accostiamo con attese che sono già nella nostra mente, e tutto ciò che esula dalle nostre attese, o è dimenticato, o viene rifiutato.

Certamente noi viviamo in un tempo in cui la stessa Parola di Dio, e di Gesù, sono – come dire ? – in libera uscita. E così, le parole che usiamo per progettare la politica e l’economia, come pure quelle attinenti a tanti altri problemi, vengono usate al di fuori di ogni preoccupazione rigorosa e costruttiva. Viviamo, insomma, in un tempo della disgregazione della stessa parola. Le conseguenze sono quelle che tutti possono vedere.

Come uscirne. Per tentare di indicare la strada che possa interrompere questa deriva generalizzata, occorre far tesoro di un metodo che sia almeno un poco rigoroso e scientifico. Così, quando affrontiamo l’interpretazione di una pagina del Vangelo o di un episodio di Gesù, per non cadere nel facile moralismo, occorre avvalersi del metodo ermeneutico elementare.
Dire metodo ermeneutico non deve suonare come qualcosa di astratto e di difficile applicazione, ma si tratta solo di applicare un metodo che precisi il contesto, le motivazioni e il senso vero delle affermazioni o dei fatti narrati, in modo che le conclusioni non dipendano dai nostri desideri o convinzioni personali, e neppure dalle interpretazioni di chi si accinge a spiegare.
In conclusione, occorre innanzitutto ascoltare veramente la pagina e farla parlare senza dare spazio ad aspettative personali, devianti, anche se espresse in buona fede.

Nella mia breve spiegazione dell’episodio ricordato volutamente, ho evitato una discussione ampia sul tema Gesù e le donne, cosa che ha riscosso anche recentemente un’attenzione significativa, anche da un punto di vista editoriale.
Mi sono limitato a sottolineare due elementi indiscutibilmente presenti nella descrizione del racconto, così come viene riportato da Giovanni.

In primo luogo, mi veniva spontaneo sottolineare come questo brano, con un episodio così eccezionale, era collocato all’inizio di quella disputa tra Gesù e i Giudei che avevano inizialmente creduto, e che occupa tutto il resto del capitolo ottavo. E’ certamente una disputa tremenda contro quei Giudei che erano certi di essere discendenti di Abramo. In effetti, questo episodio ha faticato a essere sentito come un racconto in sintonia con quanto avveniva dopo. E proprio per questo molti esegeti, anche nell’antichità, hanno pensato che forse non era da collocarsi in quel luogo. Ma forse, e me lo sono chiesto, era invece proprio necessario per introdurre il vero peccato di adulterio, che agli occhi di Gesù consisteva soprattutto nell’aver corrotto e adulterato in profondità lo stesso concetto dell’appartenenza al popolo. Noi sappiamo che lo scontro per l’Evangelista Giovanni, è appena iniziato e che si acuirà nell’ultima settimana della vita di Gesù.

Fatta questa premessa importante per inquadrare l’episodio e coglierne il significato, mi ero limitato a sottolineare il gesto che Gesù compie di fronte alla donna e a quei farisei e scribi, gli accusatori inferociti. La penna di Giovanni lascia scritto un gesto che noi non possiamo lasciar cadere come se fosse banale o senza senso. “E Gesù, curvatosi in terra, con un dito scriveva”.

Noi siamo sempre impegnati a interpretare le parole dette, ma ci sono, soprattutto in Gesù, gesti che parlano anche più delle parole. Non è facile far parlare un gesto muto, ma sta qui il nostro impegno e dovere.
La domanda è allora semplice ma potente: cosa voleva dire Gesù con quel gesto, e cosa voleva dire Giovanni, riportandolo per ben due volte?

Non credo che sia azzardato pensare che Gesù si sia curvato non tanto per scrivere qualcosa di cui nulla sappiamo, ma forse per chiedere scusa a quella donna che è stata ridotta a essere solo oggetto da una società adultera sotto molti punti di vista. Comunque, mi piace pensare che Gesù si sia sentito così vicino a quella donna, quasi a chiedere perdono a nome di quel mondo che prima sfrutta e poi condanna.

L’invito finale da parte di Gesù non deve significare solo un atto di misericordia, o un minimizzare la gravità del fatto, ma di più ancora: esci da questa logica oppressiva e inizia da te un cammino di liberazione per la tua felicità e per rinnovare, con la tua scelta, il rinnovamento della società.

In apertura: Jacopo Bassano, “Gesù e l’adultera”, olio su tela, 1535, Museo civico di Bassano del Grappa

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