Terra Nuda

Sostiene Jean-Louis Barjol

Come definire il Consiglio oleicolo internazionale? Il forum mondiale dell'oleicoltura. Il futuro – secondo il direttore esecutivo del Coi – non dovrebbe portare una rivoluzione, ma un'evoluzione, che potrebbe vedere la parte dei paesi attualmente non membri passare dal 5 a circa il 10 per cento della produzione mondiale nei prossimi quindici anni

Luigi Caricato

Sostiene Jean-Louis Barjol

L’incontro avviene a Milano, a Olio Officina Food Festival, dove giovedi 23 gennaio, il direttore esecutivo del Coi, il Consiglio oleicolo internazionale, Jean-Louis Barjol, è stato ospite d’onore al grande happening dedicato agli oli da olive e ai condimenti.

Direttore Barjol, molti tra il pubblico presente – e vi sono operatori del settore olivicolo senza dubbio, ma soprattutto professionisti della ristorazione e buyer, come pure giornalisti e operatori della comunicazione – non essendo specializzati nella materia olio da olive, ignorano cosa sia il Consiglio oleicolo internazionale. Tra il pubblico ci sono anche molti consumatori, che se pur molto sensibili al prodotto olio, non sono a conoscenza del complesso e variegato mondo che vi sta dietro. Ebbene, a distanza di oltre 50 anni dall’istituzione del Coi, come lo presenterebbe oggi a chi non lo conosce? Come lo racconterebbe?
Il Consiglio Olivicolo Internazionale (COI) è stato creato nel 1959 per auspicio dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per proteggere e promuovere l’olivicoltura, nella direzione di ciò che chiamiamo oggi uno sviluppo sostenibile.
Nel 2014, il COI conta, oltre all’UE e i suoi 29 membri, dodici paesi dell’area del Mediterraneo (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Libano, Siria, Turchia, Albania e Montenegro), tre paesi del Medio Oriente (Giordania, Iraq, Iran) e due paesi dell’America Latina (Argentina e Uruguay). Nel complesso, questi 17 membri o 45 paesi contribuiscono per il 95 % alla produzione mondiale e al 96% delle esportazioni sul mercato mondiale (escluso il commercio all’interno della Comunità Europea).
Come definire il COI? Come il forum mondiale dell’oleicoltura, il cui l’obiettivo prioritario è contribuire alla valorizzazione di tutti i lavoratori della catena, dall’olivicoltore, grazie a uno stipendio che lo ricompensi degli sforzi e delle cure che ha prodigato alla sua coltura per ottenere un prodotto di qualità, fino al consumatore, che deve ottenere un prodotto di qualità nell’ambito di una transazione sana, leale e trasparente, proporzionale al denaro speso per l’acquisto.
Per contribuire a questo obiettivo, al COI sono state assegnate quattro missioni:
• diffondere informazioni e statistiche chiare e precise sul mercato mondiale dell’olio d’oliva e delle olive da tavola.
• stabilire, con l’aiuto degli esperti nazionali, le definizioni dei prodotti olivicoli che i governi s’impegnano ad applicare nel commercio internazionale, e aggiornarli.
• favorire la cooperazione tecnica internazionale nel quadro di progetti di ricerca, di sviluppo e di attività, in materia di formazione e di trasferimento di tecnologie.
• promuovere la consumazione dell’olio d’oliva e delle olive da tavola attraverso piani d’azione e campagne pubblicitarie.

La mia sensazione è che il Coi sia stato alquanto decisivo e determinante nel valorizzare e rendere popolare un prodotto fino a ieri poco conosciuto, se non addirittura ignorato da popoli lontani dall’area del Mediterraneo. Oggi, invece, l’olio da olive da alimento etnico è diventato alimento inter-etnico, che va oltre i confini tradizionali, senza incontrare ostacoli di natura culturale nè ideologica. Cosa pensa che si possa prefigurare per il prossimo decennio? Che progettualità ha il Coi? Quali scenari si presentano all’orizzonte?
Per proiettarsi nel futuro, bisogna anzitutto considerare da dove veniamo. In particolare si deve notare che la produzione e la consumazione sono triplicate nel corso degli ultimi trent’anni – da 1 a più di 3 milioni di tonnellate – e che le esportazioni sono passate da 200.000 a più di 750.000 tonnellate.
Progressivamente, la consumazione d’olio d’oliva – che in origine era solo mediterranea e che, a causa dell’emigrazione italiana dell’inizio del XX secolo, aveva poi raggiunto l’America, è divenuta una consumazione globale. Dopo gli USA e il Canada, si sono aggiunti l’Australia, il Giappone, e più recentemente Brasile e Cina con quantità importanti, e infine numerosi altri paesi con quantità limitate. In 10 anni, la consumazione dei paesi non membri del COI è passata dal 12,5% al 25% della consumazione mondiale.
Per il futuro prossimo, dobbiamo dunque aspettarci una conferma di questa tendenza, con, in particolare, l’obiettivo della crescita di consumazione in Brasile e in Cina. Bisogna aspettarsi egualmente l’incremento della domanda, attualmente ancora molto debole, dall’India e dall’Estremo Oriente (Indonesia, Filippine) dove l’olio d’oliva beneficerà delle sue doti, ossia salute e sapore, e della sua immagine positiva trasmessa dalle religioni cristiana e mussulmana presenti in questi paesi.
In termini di produzione, il futuro non dovrebbe portare una rivoluzione, ma un’ evoluzione, che potrebbe vedere la parte dei paesi attualmente non membri del COI passare dal 5% a circa il 10% della produzione mondiale nei prossimi 15 anni, grazie alle nuove tecniche di produzione agricola.
Per il COI, si tratta quindi di allargarsi verso nuovi attori: consumatori e produttori.

Nei Paesi produttori storici – Italia, Spagna, Grecia – si sta verificando una paradossale svalutazione degli oli extra vergini di oliva. A cosa è dovuta, secondo lei, tale perdita di valore? Come è possibile che in un tempo in cui tutti apprezzano l’olio extra vergine di oliva, per il suo alto valore nutrizionale e per e implicanze salutistiche che ne derivano, oltre che per le sue complesse e variegate peculiarità sensoriali, si arrivi purtroppo a prezzi sullo scaffale troppo bassi, da prodotto commodity. Se sono in pochi a trarre il giusto compenso per il lavoro svolto, dall’olivicoltore al frantoiano, fino alle stesse aziende commerciali, che non hanno grossi margini di guadagno, a cosa è dovuta secondo lei tale anomalia di mercato?
La perdita di valore o l’anomalia di cui lei parla sono forse termini eccessivi. È vero che la crisi economica ha un ruolo importante. Le banche sono più reticenti nel momento di concedere prestiti, gli agricoltori hanno bisogno di liquidità e il prodotto si vende a prezzi più bassi rispetto a quello normale. I supermercati, che concentrano la domanda, pesano egualmente sul prezzo dell’olio d’oliva. Inoltre, bisogna riconoscere che l’introduzione di un nuovo modello produttivo con coltivazioni intensive o a densità molto alta ha certamente avuto un peso. Infine, alcuni paesi si trovano obbligati a esportare fino al 50% della loro produzione, e questo può contribuire all’abbassamento dei prezzi generato dalla crisi economica che essi affrontano.
Detto questo, non bisogna essere disfattisti, quanto piuttosto attenti ai tentativi di strutturazione dell’offerta che propongono diversi produttori raggruppando la loro forza di vendita di fronte alla concentrazione degli acquirenti , o agli sforzi realizzati in termine di differenziazione di prodotti, mettendo l’accento su una qualità superiore alfine di segmentare di più il mercato. Penso all’iniziativa 3E che aveva avuto inizio a Milano e alle esperienze più recenti di EVA o di Qv Extra.

Fine prima parte. Continua

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