Terra Nuda

Sul campo sventola

In Coldiretti – ci confida da Bologna l’olivicoltore Michelangelo Ranuzzi De' Bianchi – personalmente, mi trovo meglio: noto più propositività, solerzia e attenzione nei miei confronti. Ovviamente, si tratta di una percezione del tutto personale. La bandiera di Campagna Amica? Non viene esposta permanentemente, ma solo in alcune occasioni

Olio Officina

Sul campo sventola

Rendo pubblico questo scambio privato di corrispondenza tra me e Michelangelo Ranuzzi De’ Bianchi, perché mi sembra giusto mettere in evidenza la ragion per la quale il titolare di un’azienda agricola decide di mettere in una propria campagna una bandiera Coldiretti di Campagna amica.
Non commento per evitare inutili parole, ma lascio a voi il compito di riflettere, perché c’è da rfilettere. Buona lettura. (Luigi Caricato)

Gentilissimo Michelangelo,

come sta? Mi auguro che l’olivagione proceda bene. Dalle foto sembrerebbe di sì.
Le scrivo perché mi è venuta una curiosità. Ho notato che lei ha postato una foto nella sua tenuta dove campeggia la bandiera coldirettiana di Campagna amica.

Ora, io so che la campagna ci è fedele e amorevolmente vicina. Chi vive la terra la sente come persona cara. Mi chiedo – sempre se non le è di imbarazzo rispondere – come mai ha sentito l’esigenza di mettere una bandiera di appartenenza.
Io, se fossi un produttore, non metterei una bandiera nè di Coldiretti, nè di Confagricoltura, nè della Cia. E allora mi chiedo cosa spinga un produttore a compiere un gesto simile.
Soprattutto un produttore che ha cultura e non è impossibilitato a muoversi da solo.

Non voglio essere sgarbato nel porle questa domanda, ma me lo chiedo come pura curiosità. Ciò che a me serve sapere, è come mai uno senta una simile necessità.
Non trattandosi di una squadra di calcio, non capisco il tifo verso una sigla associativa. Ciò lo dico indipendentemente dal fatto che sia di Coldiretti la bandiera. Se fosse di Confagricoltura, o della Cia, risultebbe per me strano allo stesso modo.

Sarei felice se lei mi dicesse la ragione di questa sua esigenza, così forte, così fondamentale, perché dovrà pur ammettere che mettere una bandiera equivalga ad ammettere una appartenenza.

Anche se sono tra i pochissimi e severi critici di Coldiretti, non pensi che io sia contro ideologicamente, o per altre regioni. Pensi, ho trovato la carta di identità di mio nonno, nato nel 1898 e morto nel 1970, in cui alla voce professione si leggeva “coltivatore diretto”.
Mio padre e mia padre sono agricoltori aderenti a Coldiretti, seppure ormai “in pensione” (per modo di dire). Mio fratello, che ora conduce l’azienda agricola, è Coldiretti. Ma nessuno di loro si sognerebbe di mettere una bandiera.

Ecco, lei che è intelligente e ha studi sulle spalle, perché lo ha fatto?
Liberissimo di farlo, anzi sono felice per lei – ma vorrei capire in qualche modo il perché.
Si sente più sicuro? Si sente parte di una famiglia che la rende più serena?
Le risolvono i problemi? La fa sentire orgoglioso di appartenere a una identità?
Io che non ho questo privilegio vorrei capire.

Grazie per la pazienza nel rispondermi, spero non evasivamente.
Buona olivagione

Luigi Caricato

Gentilissimo,

grazie della Sua richiesta, e della Sua consueta cortesia.
L’olivagione procede bene, anche se la temibile mosca olearia ha fatto la sua comparsa anche a queste latitudini… Ma ci siamo difesi egregiamente.

Per quanto riguarda la bandiera di “Campagna Amica”: preciso che non la espongo permanentemente, ma solo in alcune occasioni, come giornate tematiche (“Alimentazione in fattoria”, etc.) oppure mercatini.

E’ anche un tocco di colore in un allestimento, il che non guasta mai. Per il resto, io sognerei – per parte mia – un mondo dove un agricoltore potesse svolgere autonomamente poche e snelle pratiche amministrative, oppure un mondo dove esistesse soltanto un’organizzazione di categoria (e non tre, modulate su ideologie politiche ormai sorpassate).
Questo mondo, però, resta un sogno.

Lei sa meglio di me che una burocrazia pletorica (nazionale ed europea) ci costringe a far ricorso a tali organizzazioni per destreggiarci minimamente all’interno di una selva oscura di leggi. Non conosco la Cia. Nel 2004, quando impiantai l’azienda, mi tesserai con Coldiretti, per poi passare l’anno seguente a Confagricoltura, dove avevo già alcuni amici. Purtroppo ho dovuto fare marcia indietro da ormai due anni, perché nell’ambito bolognese di Confagricoltura ho notato una tremenda indolenza quando si trattava di istruire una pratica o solo darmi un consiglio (forse a causa delle modestissime dimensioni della mia azienda, inusuali per Confagricoltura).

In Coldiretti, personalmente, mi trovo meglio: noto più propositività, solerzia e attenzione nei miei confronti. Ovviamente, si tratta di una percezione del tutto personale. Spero di aver risposto.

Cordialmente,

Michelangelo Ranuzzi De’ Bianchi

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La foto di apertura è di Michelangelo Ranuzzi De’ Bianchi

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