Terra Nuda

TG1, l’informazione contraffatta

Sull’olio da olive si continua a scivolare. Siamo ormai in un periodo storico alquanto buio per il Paese. Anche lo storico telegiornale della Rai ha dimostrato di condurre inchieste discutibili. Non c’è più un giornalismo libero e indipendente. Chi opera nel campo dei media si limita spesso a fare da portavoce di un sistema

Luigi Caricato

TG1, l’informazione contraffatta

“Extravergine da proteggere”, è questo il titolo del servizio di Giovanna Cucè andato in onda il 18 febbraio 2014. Sul sito Rai del TG1 il servizio è stato presentato con queste scarne parole: “L’inchiesta del Tg1 sulle truffe alimentari che danneggiano i prodotti made in Italy. Stasera parliamo dell’olio, eccellenza italiana”.

Bene, è davvero un’inchiesta? Se fosse realmente tale, si sarebbe dovuto necessariamente dar spazio a una pluralità di voci. Invece, come ormai accade da decenni, la sola e unica espressione è quella di Coldiretti con i suoi infiniti satelliti. Nel caso specifico dell’olio: l’Unaprol, con tutti coloro che vi allignano intorno.

Il servizio trasmesso dal TG1 non è un’inchiesta, tutt’altro. La giornalista Giovanna Cucè ha messo in atto una classica sceneggiata all’italiana. Due sono i protagonisti della scena: il direttore generale di Unaprol, Pietro Sandali, e la tecnologa alimentare Pina Boccia, la quale, giusto per la cronaca, lavora presso Unaprol, come tra l’altro si deduce inserendo il suo nome su google.

L’unica a non essere protagonista, è l’informazione. Già, perché nel caso specifico del servizio di Giovanna Cucè si tratta di una informazione contraffatta, un classico esempio di giornalismo fatto tecnicamente bene, anzi in maniera oserei dire anche perfetta. Il montaggio rende chiaramente l’idea, ma è solo uno spot in favore di Unaprol, per rilanciare la sua campagna di disinformazione in atto ormai da diversi anni.

Potete prendere visione del servizio del TG1 cliccando QUI

Per chi ha voglia invece di analizzare nel dettaglio quanto trasmesso al telegiornale, riporto il testo integrale del servizio, ben evidenziato in arancione, unitamente alle mie osservazioni.

EXTRA VERGINE DA PROTEGGERE?

GIORNALISTA TG1: Il primo elemento da manipolare è il colore. Quel giallo così vivo si può ottenere miscelando olio di semi a volte di nocciola e con un po’ di betacarotene si colora, poi si profuma. Così viene contraffatto l’olio italiano.

E’ sempre la solita storia. Si parte dall’idea di una contraffazione di un prodotto alimentare per associarla immediatamente a qualcosa di losco, all’idea di una manipolazione. Così, quando si parla di oli da olive, l’unica comunicazione possibile, per alcuni giornalisti, è sempre in termini negativi, possibilmente scandalistici. Poco importa delle conseguenze che una simile comunicazione a sfondo terroristico può comportare nelle scelte dei consumatori.

PIETRO SANDALI: Sarebbe un olio lampante, quindi un olio veramente cattivo, non commestibile, sofisticarlo inserendo anche della clorofilla per dare colore, tonalità a quel prodotto che si presenta come un vero extra vergine.

Dal momento che i dati sulle sofisticazioni degli oli rientrano per fortuna nella norma, non essendo un fenomeno quantitativamente preoccupante, ma circoscritto solo a casi isolati, opportunamente repressi dai nostri nove organismi di controllo (Icqrf, Cfs, Nas, Nac, GdF, Agenzia Dogane, Asl, Agenzie regionali per la protezione ambientale, Laboratori di sanità pubblica ) non si comprende il motivo per il quale si debba ripetutamente insistere su qualcosa che in realtà non rappresenta di fatto un problema reale. A che pro, poi? Ha senso spaventare il consumatore solo allo scopo di portare l’attenzione su Unaprol?

GIORNALISTA TG1: Un extra vergine che poi viene venduto come italiano in tutto il mondo.
Un suicidio lo ha definito il New York Times, che ha pubblicato questi fumetti per denunciare la sofisticazione del made in Italy. Banale generalizzazione che dimentica la grande maggioranza di imprenditori onesti che producono olio di alta qualità. Quelli che frodano invece in bottiglia fanno finire di tutto. Un olio può diventare italiano anche se le olive sono importate dalla Spagna, dal Marocco o da chissà dove. Nessuna legge lo vieta. A loro però, tecnologi alimentari, non sfugge nulla.

La sintesi della Cucè dimostra alla perfezione il provincialismo di certo giornalismo italiano, poco incline com’è ad argomentare le questioni più delicate ripartendo da zero e soprattutto da dati oggettivi. Invece, a quanto pare è più facile accogliere i suggerimenti di soggetti esterni inclini a coltivare i propri interessi personali. Così, anziché reagire alle diffamanti e false accuse del New York Times, avviando una seria inchiesta che mettesse in chiaro la realtà, si è pensato bene di confezionare uno spot televisivo solo per rilanciare una unione di produttori in crsi di identità, di valori e di idee. La sintesi offerta dalla Cucè diventa un inno alla banalità e alla generalizzazione. Affermare che un “olio può diventare italiano anche se le olive sono importate dalla Spagna, dal Marocco o da chissà dove” è una dichiarazione di ignoranza assoluta, giacché non si è mai verificato che si importino olive, ma semmai oli dall’estero. Un errore in cui incappano molti tra coloro che non si documentano, ma parlano per sentito dire. Un errore, insomma, non accettabile, soprattutto se lo si ascolta all’interno di un servizio del TG1.

PINA BOCCIA: C’è un particolare odore acre, sgradevole, che permette al gruppo di assaggio di riconoscere la presenza di un olio che non è italiano in olio italiano.

Questa signora, di nome Pina Boccia, viene presentata dalla giornalista del TG1 nella veste di “tecnologa alimentare” e, di conseguenza, il telespettatore è indotto a credere che sia una figura terza, quindi attendibile. In realtà la Boccia lavora proprio per l’organizzazione di cui è direttore Pietro Sandali. Non solo, questa signora afferma tra l’altro una solenne stupidaggine, davvero colossale: “un particolare odore acre, sgradevole, permette al gruppo di assaggio di riconoscere la presenza di un olio che non è italiano in olio italiano”. Con quale coraggio, mi chiedo, è stato possibile far passare una simile sciocchezza. Un olio di produzione estera viene banalmente associato all’odore acre e sgradevole. Se fossi un produttore estero come minimo mi indignerei. E poi, oltretutto, con quale certezza, si sostiene che sia sufficiente una semplice prova olfattiva per individuare la presenza di oli di produzione estera in oli sedicenti italiani? Io ritengo vi sia sempre un limite all’indecente spettacolo dell’arroganza che si associa all’incompetenza. Mi chiedo ancora una volta come sia possibile che la Redazione del TG1 riporti – e non è la prima volta, purtroppo – dichiarazioni così grossolane, senza nemmeno verificarne l’esattezza.

GIORNALISTA TG1: Dall’anno scorso esiste l’obbligo di indicare la parola miscela sulla etichetta. Una conquista per i tanti imprenditori onesti. Ogni anno in Italia si producono 500 mila tonnellate.

La signora Cucè dovrebbe un po’ studiare la materia, giacché c’è sempre stato l’obbligo di riportare la provenienza, e non certo dall’anno scorso. Sul fatto poi che si producano 500 mila tonnellate annue, questa sì, è una frottola che anche le Istituzioni purtroppo riportano per vera, ma gli addetti ai lavori sanno bene che si tratta di una cifra ingigantita e non rispondente al vero. In Italia si producono intorno alle 300, 350 mila tonnellate, il resto è solo un bluff, una storia che al TG1 – testata da sempre filogovernativa – interessa poco, evidentemente, approfondire, eppure vi sarebbe materia interessante, visto che ingigantire le quantità prodotte ha permesso al nostro Paese – in tanti anni, e soprattutto nel passato – di attingere a copiosi fondi europei, soldi insomma dei cittadini che pagano le tasse e che non sempre sono stati utili per dare solidità economica a un sistema barcollante. Coloro che hanno intascato i tanti miliardi di euro elargiti nell’arco di tanti decenni che fine hanno fatto? Non sarebbe il caso di fare una invece inchiesta su come siano stati spesi tutti questi fondi pubblici?

GIORNALISTA TG1 (rivolta a Pietro Sandali): Miscela di oli di oliva comunitari, è un prodotto italiano?

Che domanda assurda. E’ evidente che una miscela di oli comunitari contenga oli comunitari. Ma che passato ha la giornalista Giovanna Cucè? Com’è entrata nel TG1?

PIETRO SANDALI: Assolutamente no. E’ una dicitura corretta così prevede la normativa comunitaria, ma miscela di oli comunitari vuol dire che qui dentro ci sono oli che provengono da diversi Paesi d’Europa e non unicamente in Italia.

Eh, sì. Qualcuno sperava di trovare un segno di discontinuità rispetto al passato, in Sandali, ma il nuovo è più vecchio del vecchio a quanto pare. Sarebbe utile suggerire al direttore di Unaprol un viaggio studio nei vari Paesi europei e non, così, giusto per capire cosa avviene altrove.

GIORNALISTA TG1: Olio spagnolo, greco e di quello olio italiano a volte solo in qualche traccia. Ecco come si perde la guerra dell’olio.

Già, ecco come si perde la faccia nel fare comunicazione. Chi l’avrebbe mai detto che una testata storica come il TG1 diventi l’esempio di una informazione contraffatta.
Finora ci sono state in Rai le cosiddette trasmissioni convenzionate, dove un ente pagatore paga e l’informazione pubblica esegue a comando. Che anche il TG1 sia diventato una trasmissione convenzionata, mi fa piangere dalla rabbia e dalla delusione. Spero proprio di no, spero sia stato solo l’errore di una giornalista inesperta e di una Redazione distratta dalle vicende politiche, al punto da non verificare certe grossolane cantonate.

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