Terra Nuda

Una vecchia irrisolta vicenda

Questione Federconsorzi. Maurizio Ceci, ex dipendente di Fedit, conferma quanto sostenuto da Alfonso Pascale in un articolo pubblicato su Olio Officina Magazine. E proprio partendo dalle conclusioni esposte sulla nostra rivista, Ceci auspica che si separi la vicenda di sette ex lavoratori dalle squallide pretese di chi vuole riesumare la Federconsorzi. Non esitiamo a prendere posizione a loro favore, oltre che ribadire quanto già da noi sostenuto

Olio Officina

Una vecchia irrisolta vicenda

Gentile Direttore,

ho letto attentamente il saggio del Dott. Alfonso Pascale, datato 19 dicembre 2017, in risposta alle lettere inviate sia dal figlio di un ex dipendente Federconsorzi e sia da un ex lavoratore (QUI).

Sono d’accordo con il Dott. Pascale sul fatto che Il rovinoso crack della holding agricola è stato interamente provocato da chi ha gestito la struttura dal Dopoguerra in poi. Ad essi bisogna rivolgersi perché rendano conto dei danni provocati soprattutto ad incolpevoli famiglie di ex dipendenti.

Ricordo che nelle aule giudiziarie si è inserita questa squallida vicenda dopo che Il Tribunale civile di Roma in data 18/22 luglio 1991, ammise in soli 15 giorni la Federconsorzi alla procedura di concordato preventivo, ritenendo idonee le condizioni formali e sostanziali dell’impresa ai sensi dell’art.160 della legge fallimentare.

La parte penale seguì due percorsi: uno presso il Tribunale di Perugia, l’altro presso il Tribunale di Roma.

Concordo ancora una volta con il Dott. Pascale che se ci sono dei diritti legittimi da riconoscere è giusto riconoscerli. Faccio presente per la chiarezza del caso discusso, che un certo numero di ex dipendenti già nel 2004 (nr. R.G. 29111/2004) e ancora a seguito di separazione avvenuta con ordinanza del Giudice datata 3 dicembre 2013, n. 7 ex dipendenti avevano ribadito e proposto sempre dinnanzi al Tribunale Civile di Roma, nei confronti del Ministero dell’Agricoltura azione di risarcimento danni sul presupposto della “responsabilità per culpa in vigilando”.

Secondo la tesi dei 7 ex dipendenti, anche la Commissione d’indagine ministeriale, istituita dal Ministro delle risorse agricole Poli Bortone, con decreto n. 34644 del 12 ottobre 1994, il tema dei controlli, fissati dall’art.35 del D.Lgs. 1235/48, il quale, prevedeva che alla Federconsorzi ed ai Consorzi Agrari erano applicabili le disposizioni degli artt. dal 2542 al 2545 del codice civile, per cui, i poteri in essi previsti erano esercitati dal Ministero dell’agricoltura, la commissione rilevava che: «il Ministero negli anni, non è andato oltre la presa d’atto della documentazione ricevuta e, tra l’altro, non ha mai esercitato la facoltà d’ispezione o di sospensione delle deliberazioni, né mai è stato sollecitato in tal senso dai sindaci di nomina ministeriale.»

Anche la relazione finale della Commissione Parlamentare di inchiesta censurava, tra i vari accadimenti, anche l’ammissione e la relativa omologa del concordato preventivo.

Inoltre, la Commissione ribadiva che la domanda di concordato doveva essere dichiarata irricevibile ed inammissibile, perché lo rendeva impossibile in materia di meritevolezza. Oltretutto, non ne sussisteva una condizione fondamentale riguardo alla sostanziale regolarità contabile.

La Commissione Cirami rilevava anche che l’impegno dei tre commissari di nomina ministeriale, fu finalizzato solo al tentativo di liquidazione volontaria della Federconsorzi e non durò che 48 giorni, sfociando nella sola richiesta di concordato e non sembrò essersi tradotto in alcun beneficio per il ceto creditorio, e pertanto, non poteva annullare anni di malgoverno. Di fatto, la condotta degli amministratori della Federconsorzi che avevano cagionato il dissesto, così come risultava da tutti gli atti della procedura, dalla relazione del commissario giudiziale, dall’impostazione dei commissari governativi e dalle consulenze raccolte dal Tribunale, lo rendeva impossibile.

Caro Direttore, mi sembra chiaro che i 7 ex dipendenti non abbiano legato le loro aspettative risarcitorie ai presunti crediti per la gestione degli ammassi, infatti, non c’entrano nulla con la richiesta gli ammassi di settanta anni fa.

I 7 non vogliono riesumare la Federconsorzi, né vogliono contribuire a pagare onorari e strutture a gestioni commissariali del tutto inutili. I 7 vorrebbero discutere, per arrivare ad un’equa soluzione di riparazione, che distingua le posizioni così come sopra esplicitate, con i responsabili ministeriali del Dicastero agricolo, Ministro (Lega) e Sottosegretario (M5Stelle) per sanare questa ingiustizia dopo 1/4 di secolo dall’accadimento.

Per dovere di chiarezza e di giustizia, è bene precisare che in data 27/12/2014, il Tribunale di Roma in composizione monocratica, ha rigettato la domanda proposta dai 7 ex dipendenti. Proposto l’appello che si discuterà a fine giugno 2019.

La ringrazio per la pazienza e nell’auspicare un interessamento alla vicenda, la saluto cordialmente.

Maurizio Ceci

Ex lavoratore Fedit

Grazie per la sua preziosa e dettagliata lettera. La pubblichiamo con piacere, per portarla a conoscenza dei nostri lettori. Abbiamo inoltre chiesto ad Alfonso Pascale di risponderle.

Luigi Caricato

La sua lettera, Maurizio Ceci, da ex lavoratore della Fedit conferma quanto ho sostenuto nel mio articolo del 19 dicembre 2017 sulle responsabilità del crack della holding agricola.

Concordo pienamente che i diritti legittimi dei sette ex dipendenti vanno immediatamente riconosciuti. E bene avete fatto a richiedere al Ministero delle Politiche agricole di distinguere la vostra posizione dalla penosa e inaccettabile vicenda dei presunti crediti per la gestione degli ammassi e sanare, in tal modo, l’ingiustizia inflitta 25 anni fa.

Che si faccia, finalmente, prevalere il buon senso.

Alfonso Pascale

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