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Anche nel settore olivicolo la parola chiave deve essere accessibilità

C’è bisogno di cambiare prospettiva e guardare a qualsiasi forma di diversità in un altro modo. Non sappiamo ancora quale sia quello migliore, o se vogliamo il più corretto: è difficile delinearlo tante sono le singole situazioni che danno forma alla nostra società. Però, per cominciare, serve parlarne. E poi agire, e nessuna realtà, aziendale o meno, può essere esclusa da questo necessario processo. Le riflessioni di Anna GioriaSerena Mela e Alfonso Pascale

Chiara Di Modugno

Anche nel settore olivicolo la parola chiave deve essere accessibilità

«Siamo tutti potenzialmente diversi». Da questa affermazione di Anna Gioria, blogger del Corriere della Sera, non si può fuggire. Ma soprattutto, non si deve. Ognuno di noi vive la propria quotidianità rispondendo a barriere e situazioni più o meno complicate, che però, in alcuni contesti, possono rappresentare dei forti limiti. Non parliamo solo di diversità in termini fisici: l’orientamento sessuale, spesso, può incidere molto nel rapporto con il prossimo. Vi è un forte bisogno di affrontare la tematica dell’inclusione e così, all’undicesima edizione di Olio Officina Festival, Anna Gioria, Serena Mela del Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia e Alfonso Pascale, storico dell’agricoltura e studioso di agricoltura sociale, hanno raccontato questo mondo soffermandosi su come il settore oleario si pone in questo contesto, a partire dai frantoi accessibili

Soprattutto in un momento storico così difficile, pervaso da notizie che raccontano come gradualmente si stia perdendo l’umanità che dovrebbe appartenerci, bisogna fare una cosa precisa: «mettere la persona al centro», come ha affermato Anna Gioria a Olio Officina Festival in merito al tema dell’accessibilità e alle condizioni quotidiane del singolo ad essa correlate.

«Gli articoli della costituzione che vanno dal 19 al 21 ribadiscono – spiega Gioria- che nonostante la persona possa avere una disabilità, o comunque una diversità che possa essere dovuta all’etnia, alla religione osservata o all’orientamento sessuale, ognuno gode degli stessi diritti di partecipare alla vita sociale. Siamo italiani, siamo figli della cultura mediterranea, siamo un popolo che sta volentieri a tavola, e l’olio, nella nostra tradizione, rappresenta una delle basi fondamentali. Quindi – prosegue – se anche i due mondi sembrano opposti, c’è un forte potenziale di unione: se tutte le persone hanno diritto di partecipare in modo attivo alla vita sociale, allora perché non rendere accessibile la visita di un frantoio o partecipare a una degustazione.

Gli interventi non devono essere mirati e strutturati per le persone con disabilità, perché tutti siamo potenzialmente diversi, da una donna incinta a un’altra con il passeggino, o chi deve spostarsi con le stampelle a causa di un’ingessatura. Inoltre, siamo un popolo in cui si sta alzando l’età media di vita, siamo una popolazione anziana. Quindi, mi rivolgo a chi ha un frantoio, perché non renderlo accessibile? Basterebbero poche considerazioni, senza troppi interventi strutturali, e chi sta avviando la costruzione di un nuovo oleificio potrebbe appoggiarsi agli incentivi economici statali per realizzare delle strutture accessibili a ognuno, non solo alle persone con disabilità».

La diversità spaventa. Spaventa relazionarsi chi vive in una condizione differente dalla nostra. Questo accade perché mancano gli strumenti per capire e per muoversi, soprattutto, in un mondo che non è il nostro, che percepiamo come distante. Mancano così le parole, si assumono toni e comportamenti impostati su un nuovo registro, e anche questo significa costruire una barriera, perché le barriere non sono solo fisiche, ma anche mentali. Quindi «occorre accogliere» afferma Anna Gioria. «È inutile fare dei percorsi accessibili e poi avere paura di affrontare una persona diversa. Perché, poi, diversa da noi? Chi mi dice che quello che pensiamo noi sia la verità? Va accettata la persona, che è uguale a me e come me ha il diritto di assaggiare l’olio, di vedere e vivere un percorso. Sarebbe molto bello introdurre le persone nelle fasi di produzione, di raccolta, dove il contatto con la natura ha un ruolo molto importante. Se in questa sala ci fosse solo che un addetto assumesse una persona con disabilità, io oggi ho già raggiunto un obiettivo».

«L’accoglienza è un argomento che abbiamo a cuore nel nostro frantoio- spiega Serena Mela – La nostra è una famiglia che vuole accogliere all’interno della propria realtà chiunque; quindi, si tratta di un’accessibilità che aperta a tutti. Abbiamo intrapreso, in passato, questo percorso con la cooperativa sociale Bandiera Lilla, con la quale abbiamo realizzato un’etichetta per i non vedenti, presentata sempre in occasione di Olio Officina Festival. Dovendo poi affrontare questo tema con voi ho aperto gli occhi ancora di più per concepire proprio la nuova visione di accoglienza.

La nostra azienda è collocata in questo difficile territorio della Liguria. Siamo in mezzo alla natura, ma abbiamo un frantoio che è reso accessibile a tutti. Però, leggendo e informandomi, mi sono resa conto che anche noi dovremmo fare ulteriori passi avanti per renderlo davvero inclusivo. L’accoglienza in particolare, – prosegue Serena Mela – e l’oleoturismo, sono temi che stiamo vivendo proprio adesso nella nostra azienda. Abbiamo aperto le porte per raccontare di più il prodotto olio extra vergine di oliva, per farlo conoscere anche attraverso l’esperienza sensoriale.

Disponiamo di una bella cucina a disposizione, così come una sala capace di accogliere chiunque. Siamo in mezzo agli uliveti e questo ci rende fruibili, dandoci l’occasione di incontrare nuove persone, di sentirne i racconti e di condividere quella che è la nostra storia. Il frantoio è una tradizione di famiglia che nasce da un’origine contadina e che oggi porta avanti con grande passione il nostro territorio e la produzione di olio. Questi momenti racchiudono sempre degli spunti davvero interessanti e danno modo di capire che abbiamo diversi accorgimenti da fare. Io, in prima persona, voglio portare delle nuove idee per realizzare qualcosa di nuovo per l’olio, per l’accoglienza, per l’accessibilità».

Se ogni singola realtà assumesse una maggiore consapevolezza del proprio operato e di come può ulteriormente migliorarlo, aprendosi a nuove strade non sempre facili, ma necessarie, lo scenario in cui si è immersi assumerebbe un altro aspetto. Più unito, dove il singolo percepirebbe il forte impegno intrapreso dall’impresa.

Quando si affrontano temi di questa importanza, spesso non considerati a dovere, occorrerebbe non ghettizzare la questione. È un atteggiamento quasi inevitabile, ma ciò non significa che si potrebbe prestare un’attenzione diversa e far sì che, con il tempo, diventi un argomento parte della quotidianità e perciò affrontato come tale. Così, Alfonso Pascale, spiega che «vorrei fare il tentativo di dire di non considerare il sociale come qualcosa di distinto e separato. Il rischio di quando trattiamo questi argomenti è sempre quello della ghettizzazione. Cioè il nostro intento è positivo, è in buona fede mettere in luce la distinzione, però il rischio, poi, è quello di separarlo da tutto il resto come se fosse un’eccezione.

Oggi l’impresa è tale se riesce a cogliere la sensibilità dei cittadini, le visioni della società odierna, e quindi se adegua le proprie strategie aziendali nel dare una risposta a questa nuova realtà: è questo l’imprenditore moderno. E quindi se la società negli ultimi decenni mostra questa sensibilità verso la sostenibilità, quindi l’ambiente, la socialità, e quindi la persona, la comunità, una dimensione che si era dispersa e che oggi invece viene finalmente ritenuta come un elemento essenziale per tenere insieme le persone, ma anche di fronte all’epidemia, di fronte alle guerre, la società si è posta in un determinato modo. Putin – prosegue Pascale – è stato in qualche modo condannato dall’opinione pubblica e isolato non soltanto attraverso le sanzioni degli Stati, ma anche dalla capacità di tanti imprenditori, piccoli, medi e multinazionali, che hanno deciso, di fronte a questa invasione, questa aggressione, di isolare economicamente, di non fare più affari con la Russia.

L’imprenditoria, come in passato, assume una grande importanza nell’evoluzione della società: ancora oggi, di fronte a questi grandi eventi mondiali che mettono a dura prova la nostra capacità di stare insieme, la nostra capacità di reggere sul piano sociale, economico, dal mondo delle imprese, possono venire le risposte più coerenti, più concrete per avanzare, per migliorare le nostre condizioni.

Ecco, non è il terzo settore, non è il no profit, non è economia sociale, noi siamo per esempio un Paese che su questo è molto avanti rispetto ad altri europei o a livello mondiale. Abbiamo una legge sul terzo settore, per la prima volta. Quindi non parliamo più genericamente di no profit, di economia sociale, di filantropia come è nella mentalità anglosassone. Noi abbiamo invece delle normative in positivo che valorizzano, riconoscono l’impegno di imprenditori che si fanno carico dell’interesse generale e lo fanno non perché sono buoni, lo fanno perché capiscono, hanno capito, che è un elemento fondamentale della propria strategia aziendale per guadagnare nuovi mercati, per fare più affari, perché hanno la concezione che il profitto è sicuramente un criterio di valutazione della sostenibilità economica di un’impresa, di una buona gestione aziendale; ma il profitto non può mai essere avulso dal contatto e dal rapporto con la comunità».

Cambia, quindi, l’idea di imprenditore, plasmato da nuovi tratti e cambiamenti affrontati. «L’imprenditore di oggi, moderno, è colui che fa affari, profitti, ma lo fa sempre nell’ambito di un interesse generale. Ecco allora la legislazione sul terzo settore che fa in modo che questo non esista più in quanto veniva collocato come qualcosa che stava tra stato e mercato. Dal momento in cui la legislazione lo riconosce in positivo, questo muta e può diventare un nuovo modo di fare impresa, di organizzarla, e ciò significa che sempre più privati, più aziende, possono tendere potenzialmente a essere imprese di interesse generale.

Oggi, di fronte a questi grandi eventi che sconvolgono la nostra vita e mettono in discussione le modalità di consumo, di produzione e quindi la dimensione dei cambiamenti climatici, della salute, dei rapporti internazionali, dobbiamo cambiare registro. Davanti a questi nuovi scenari che si aprono e sono completamente differenti rispetto ai decenni precedenti, in mano all’impresa stanno le armi, i mezzi, gli strumenti più potenti per poter adeguare la capacità della nostra società ai cambiamenti. Gli imprenditori, quindi, non devono agire per filantropia occasionalmente, perché questo non porterebbe a nulla: lo devono fare perché possono trasformare degli aspetti strutturali della società.

Perché quello che sto dicendo non è qualcosa che riguarda il futuro, è già in atto, già ci sono migliaia e migliaia di imprese e imprenditori che si sono messi in sintonia con questa nuova modalità. La nostra capacità deve essere quella di diffondere e di far conoscere questo mondo. Bisogna periodicamente tornare su questo tema – conclude Pascale – perché è solo attraverso lo scambio di esperienze che si possono diffondere nuove visioni e nuove modalità di approcciare al contesto sociale in cui si è immersi. Qualsiasi attività imprenditoriale può diventare un’attività di interesse generale. Tutte le imprese possono essere imprese di interesse generale, e non agiscono seguendo nuovi schemi perché mosse dalla filantropia, ma perché hanno compreso che il mercato, oggi, si fa in questo modo».

Dalle imprese fino ai singoli cittadini, passando per i più piccoli e per le nuove generazioni, bisogna far sì che l’approccio con l’altro cambi. Per riprendere il discorso di Anna Gioria, chi produce olio non può non partecipare attivamente a questo lungo processo: l’olio unisce i popoli, gli ulivi caratterizzano Paesi lontani tra di loro annullando la distanza e creando appartenenza. E coloro che sono impegnati in prima persona in questo contesto conoscono bene il significato di unione, oltre ogni tipo di barriera possibile.

 

In apertura, una illustrazione di Giulia Serafin per Olio Officina©

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