
Olio Officina Festival ha un tema portante quest’anno che sarebbe “L’olio dei Popoli”, ma non è solo questa tema che verrà affrontato durante i tre giorni della manifestazione ma ci saranno anche altri temi protagonisti, fra cui il festeggiamento dei sei decenni di una categoria merceologica oggi diffusa in tutto il mondo: l’olio extra vergine d’oliva. Festeggeremo questo anniversario lungo tutti questi tre giorni, sul palco del Palazzo delle Stelline. Qui di seguito vi riportiamo una nota dell’Ansa, dove compaiono le dichiarazioni del direttore di Olio Officina Luigi Caricato
Compie 60 anni l’olio extravergine di oliva italiano. E’ con la legge n. 1404 del 13 novembre 1960 che è entrata in vigore la classificazione merceologica con cui ancora oggi in Italia e nel resto del mondo si classifica come “extra vergine” l’olio ricavato dalle olive. Lo ricorda Luigi Caricato, uno dei massimi esperti italiani in campo olivicolo e fondatore di Olio Officina Festival (Oof) che, dal 6 all’8 febbraio a Milano celebra, insieme ai dieci anni del progetto culturale a favore della democratizzazione dell’olio, questo anniversario che attesta un primato italiano nella valorizzazione dell’oro verde.
“Siamo stati i primi al mondo – racconta Caricato, intervistato dall’ANSA – a trovare questa definizione merceologica sessant’anni fa. Si può dire che l’Italia ha inventato l’extravergine e poi tutti gli altri Paesi ci hanno seguito. Una scelta lungimirante dunque che accompagna un prodotto che oggi è cambiato. Sessant’anni fa c’era la categoria, ma mancava mediamente la qualità. Il miglioramento è iniziato negli anni Ottanta, soprattutto grazie alle politiche dell’Unione Europea. Dagli anni Novanta l’esplosione e l’attenzione crescente nella ristorazione e nei consumi.
Un’atmosfera positiva che però ha visto crescere la qualità nell’oliera ma nessuno ha investito negli uliveti. Il fabbisogno italiano annuo – precisa Caricato – è di un milione di tonnellate, delle quali 600 mila per consumi interni e 400 mila da destinare all’export. Non riusciamo a produrre questa quota per mancanza di terreni destinati all’olivicoltura professionale e per rinuncia alla ricerca e all’innovazione. La tradizione sta diventando un abito vecchio ma intramontabile. Il comparto sembra rinunciare al concetto di smartphone in agricoltura e tutti i centri di ricerca sono chiusi così come gli uliveti sperimentali”. (ANSA).
La foto di apertura è di Sara Marcheschi
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