Festival

Case olearie e ristorazione: l’importanza del dialogo

Il comparto dell’olio ha bisogno di nuove voci che lo sappiano raccontare, di nuove idee che lo possano muovere e far evolvere ulteriormente. E la ristorazione occupa un ruolo cruciale in questo processo, se non fondamentale. Le testimonianze e i racconti di Cristiana Mela, del Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia, di Francesca Salvagno, del Frantoio Salvagno, e dello chef Giuseppe Capano attorno a questo importante tema

Chiara Di Modugno

Case olearie e ristorazione: l’importanza del dialogo

Tra le aziende del settore olivicolo e gli attori della ristorazione deve necessariamente esistere un ponte fatto di dialoghi e confronti per comprendere le rispettive esigenze. Molte idee nascono proprio da nuove interpretazioni, che sia di una ricetta o di un ingrediente. Nell’ambito dell’undicesima edizione di Olio Officina Festival è stato dedicato uno spazio importante all’impiego dell’olio in cucina e come questo possa essere raccontato in modo differente dalle stesse case olearie, senza dimenticarsi di una figura fondamentale in qualsiasi contesto si lavori: il consumatore. Le imprenditrici Cristiana Mela, del Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia, Francesca Salvagno, del Frantoio Salvagno, e lo chef e maestro di cucina Giuseppe Capano si sono confrontati sulle dinamiche che muovono questo mondo e verso quali prospettive occorre orientarsi.

Il Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia, storica realtà della Liguria di Ponente, nel corso degli anni ha assunto un nuovo volto. Assistendo a una progressiva evoluzione nel mondo della ristorazione, dove i pasti vengono consumati perlopiù al di fuori delle mura domestiche, l’azienda ha deciso di muovere i primi passi verso questo nuovo mondo. «Forse perché un po’ fantasiosi come famiglia – racconta l’imprenditrice Cristiana Mela – abbiamo allestito una cucina in azienda. Abbiamo invitato chef a collaborare con noi, prima liguri, poi nazionali e internazionali. Da qui, da queste esperienze di condivisione, sono nate idee su nuovi condimenti, su nuove salse, o anche le nostre olive Taggiasche essiccate. Ma sono nate anche novità sull’extra vergine Taggiasco, così come sul blend di Taggiasca con altre varietà. Sono oli, questi – prosegue – che si possono abbinare a diverse tipologie di pietanze e piatti. Siamo partiti come azienda ligure, le nostre radici sono in Liguria, e la nostra materia prima è la Taggiasca, sia come olio, che come prodotti. Questo, però, non vuole essere per noi un limite: non vogliamo frenarci e guardare solo il nostro territorio. Vogliamo sperimentare, poter realizzare un olio che sia versatile, che possa essere utilizzato in base al piatto che lo chef sta preparando in quel momento. Quindi, a volte, occorre un olio più delicato in purezza Taggiasco, oppure, in un altro caso, è più appropriato l’impiego di un blend come il Tag-Cor, dato dalle varietà Taggiasca e Coratina, che ha riscontrato un grande successo. Molte ricette, molte idee, nascono proprio nella nostra cucina collaborando con gli chef, con le associazioni, ma anche con le scuole di cucina che ci permettono di crescere. In questa ottica rivolta al domani, abbiamo dato molta importanza anche ai packaging, che devono coniugare estetica, l’essere accattivanti, con la funzionalità della presa».

E poi serve creare un ponte con il cliente attraverso quanti più modi possibili. I social hanno ridisegnato quello che significava comunicare, ma anche in questo nuovo scenario il contatto e la presenza con l’altro occupano un ruolo fondamentale. Così, l’imprenditrice Francesca Salvagno del Frantoio Salvagno, casa olearia veneta, racconta la loro idea, che è sempre stata quella di «far provare l’esperienza al consumatore; quindi vivere l’olio a pieno. L’esigenza di avere la cucina in azienda è nata, soprattutto, per far scoprire il prodotto a tutti coloro che vengono a visitare l’azienda. Quindi ai clienti vedevano la produzione, sia del frantoio tradizionale, sia a ciclo continuo, manca la prova tangibile: un conto è respirare l’olio, un conto è assaporarlo. Se anche tu mostri dettagliatamente ogni passaggio del lavoro, ma manca l’assaggio del prodotto, il consumatore fa fatica a comprendere cosa si trova davanti, come consumarlo, e con quali pietanze. Gli abbinamenti – prosegue Salvagno – sono importantissimi. Ogni tanto facciamo delle cose un po’ azzardate, perché nella cucina il divertimento sta proprio nel provare a sperimentare. Anche durante il Vinitaly offriamo ai nostri clienti un piccolo percorso di degustazione, ovviamente legato ai prodotti del territorio, perché il nostro olio si sposa più che altro con i nostri formaggi e salumi, o alla polenta, un abbinamento molto interessante. Durante la decima edizione di Olio Officina Festival, che per via delle restrizioni dettate dalla pandemia si è tenuta in modalità online, ci è stato chiesto di fare una video-ricetta, ma io e mia sorella facciamo una cucina di sopravvivenza- racconta Francesca Salvagno. Però, questo nostro modo di approcciare alle preparazioni è piaciuto. Abbiamo trasmesso la facilità di poter usufruire dell’olio, dall’antipasto fino al dolce. Due casalinghe si sono messe in cucina e si sono filmate, abbiamo avuto successo e così adesso i clienti ci chiedono altre ricette. L’ultima che abbiamo fatto prevedeva quella per gli gnocchi: per mia sorella era in assoluto la prima volta che li impastava. È stato molto divertente, e chi ci ha seguito si è divertito con noi. Tra l’altro, proprio con questo format, siamo arrivate in Giappone facendo una piccola serie di ricette della cucina tradizionale nipponica fatte, però, con l’extra vergine per far capire anche a loro che si può usare trasversalmente anche nelle ricette tradizionali di altri Paesi».

In questo ricco e interessante dialogo, però, non può mancare il punto di vista di chi lavora in cucina e a stretto contatto con tutte le sfumature del mondo della ristorazione. Lo chef e maestro di cucina Giuseppe Capano ci restituisce il suo punto di vista in merito all’impiego dell’olio e come viene percepito. «Purtroppo, l’olio – spiega Capano – è ancora visto come elemento fisico, puro e semplice, per cui che sia olio, strutto, burro o qualsiasi altra cosa serva a procurare degli effetti sul cibo, è indifferente. È un retaggio che ancora si fa fatica a superare, ma con l’arrivo delle nuove generazioni si assisterà a un progressivo abbandono di determinate idee. Infatti, i giovani chef, stanno capendo meglio qual è il ruolo dell’olio di qualità: un ruolo importantissimo e trasversale, peraltro con una miriade di collegamenti molto interessanti. Sto portando avanti tanti progetti differenti, ad esempio con un’azienda di olio stiamo attualmente cercando di concepire come l’extra vergine può aiutare nelle marinature, o comunque nei condimenti particolari che trasformano il cibo in maniera semplice. E non necessariamente a crudo, ma anche in cottura, con questa antica tecnica della marinatura che prima veniva fatta con o senza grasso, e noi la stiamo cercando di rivedere. Questo per spiegare come con l’olio di qualità si possano innovare e rinnovare tante tecniche classiche della cucina, dar loro un’impronta completamente diversa, con una valorizzazione nuova. Questo è un punto molto sensibile perché a livello ristorativo i problemi sono enormi, soprattutto in questi ultimi due anni. Vanno, dunque, portati, come dico spesso, al mondo professionale, agli chef, ai cuochi, delle soluzioni, non vanno portati dei problemi, – prosegue Capano –ma va fatto vedere come l’extra vergine sia una soluzione per creare delle nuove combinazioni. Quando si ha un olio di altissima qualità come l’extra vergine bisogna impegnarsi un po’ di più nella creazione della ricetta: non si può pensare di aggiungere l’olio senza prima assaggiarlo, capirne i sentori, di cosa ci sia la prevalenza, se carciofo, pomodoro, mandorla, erbe amare. Da qui si parte e si ragiona su cosa abbinarci, creare la ricetta in modo nuovo, con un occhio molto attento alla salute, contenendo quindi i grassi perché di extra vergine ne basta poco. Una minima quantità è sufficiente per esaltare il piatto e tutte le materie prime, dalle quali poi creare dei collegamenti anche molto semplici e facili con tutto il mondo nutrizionale. Si possono vantare i polifenoli, si possono trovare degli agganci molto interessanti. Per cui si può fare moltissimo, e già lo si sta facendo».

Si sta lavorando molto sulla comunicazione dell’olio, spiega Cristiana Mela. «In questi ultimi cinque anni – prosegue – abbiamo notato un interesse maggiore da parte sia dei venditori, degli chef, che delle persone che hanno deciso di approcciare all’extra vergine; arrivano con un’idea chiara di avere un olio di qualità e che questo sia capace di cambiare il sapore di un piatto, richiedendo così ulteriori approfondimenti in merito. Siamo sulla strada giusta, nonostante questi anni ci abbiano un po’ frenato, ma trovo che questo discorso relativo alla pandemia abbia portato anche nell’ambito dell’olio delle nuove idee, delle evoluzioni. Nonostante sia stato un periodo bruttissimo, al contempo, si è assistito anche a una certa crescita. È importante partire dai nostri bambini, quindi già dalle scuole occorre spiegare l’olio e collaborare sempre con attenzione. Il nostro lavoro non è puramente commerciale, è un lavoro di passione, dove noi dobbiamo trasmettere il valore aggiunto del nostro prodotto e spiegare perché utilizzarlo. Che sia ligure, pugliese o toscano, l’importante è che sia un extra vergine di qualità e questo è l’obiettivo che si deve raggiungere».

Il focus chiave dell’azienda Salvagno è quello di far capire che l’olio è un alimento e non un condimento «come ci ha trasmesso mio nonno Giocacchino. – racconta Francesca Salvagno – In questo ultimo periodo anche tante scuole alberghiere fuori Verona vengono da noi e sperimentano, ed è un passo fondamentale perché si inizia cos’ ad andare oltre il concetto che l’olio è un grasso usato esclusivamente per ungere la padella».

«Se si vuole bene alla cucina italiana – conviene chef Capano – tutte le aziende, al di là del mondo dell’olio, dovrebbero guardare alla scuola come risorsa. Questa è l’elemento che poi fa crescere i futuri cuochi, e se le aziende, non solo olearie, dessero i propri prodotti agli istituti aumenterebbe la conoscenza in merito e si incentiverebbe il loro utilizzo. Spesso, questo non è possibile perché il budget degli istituti è ridotto e permette l’acquisto di una serie di materie prime di qualità limitata. Quando poi entrano a far parte del mondo reale si trovano in un contesto completamente diverso, dove le procedure, le materie prime e le trasformazioni sono di altro tipo. Per cui per le scuole alberghiere si può fare molto, nonostante capisca quali siano le loro difficoltà. La formazione va tutelata e forse mai come in questi ultimi anni ci si è accorti di come non solo manchi personale per questo settore, ma anche quanto poco sia formato come dovrebbe».

Serve un cambio di prospettiva, e serve che questo avvenga ora. Solo muovendo un passo dopo l’altro, solo affacciandosi a una nuova concezione della ristorazione e di tutti gli attori coinvolti, a partire da chi viene formato, si può pensare di restituire al mondo dell’olio un valore maggiore.

 

In apertura, foto di Olio Officina©

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia