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Gli scherzi della memoria

Olio Officina

“Sono ciò che sono, sobriamente smemorato” scrive il padre della gastronomia italiana Gualtiero Marchesi. “Si arriva ad un punto dove non conta tanto la memoria in sé, il ricordo preciso di tutti gli avvenimenti della nostra vita, ma conta averli vissuti, metabolizzati”

Mi sorprendo, come capiterà a molti vecchi ragazzi, di riscoprire cose che avevo fatto e che non ricordavo più.

Quando succede, provo una doppia vertigine: prima un senso di vuoto e poi una sensazione opposta di pieno, forse anche di troppo pieno.

Gli anni con i loro cassetti incombono e non so se l’apertura a caso di uno di essi sia, poi, così essenziale. La verità è che siamo fatti di memoria, senza la quale continueremo a porci le stesse domande, per tutta la vita.

Eppure, per creare ci vuole spazio.

Se dovessi analizzare il momento creativo non riuscirei a paragonarlo ad altro che ad un fulmine: uno scontro tra nuvole di pensieri, ricordi, sensazioni che genera energia.

Quando questa si scarica a terra, non solo sai che cosa fare, ma anche quali sono i limiti di quell’idea oltre i quali tutto ridiventa banale.

La memoria va e viene e proprio da questa elasticità dipende lo spirito di osservazione, di adattamento, il bicchiere mezzo pieno.

Conclusione: si arriva ad un punto dove non conta tanto la memoria in sé, il ricordo preciso di tutti gli avvenimenti della nostra vita, ma conta averli vissuti, metabolizzati.

Sono, definitivamente, i miei genitori, il loro esempio, il figlio di papà, mandato a lavorare in Svizzera, mia moglie che mi insegna il piano, gli amici francesi, gli allievi, la tecnica che rende liberi, la libertà dal tecnicismo, le miei figlie, i nipoti.

Sono ciò che sono, sobriamente smemorato.

 Gualtiero Marchesi

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