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Il ristoratore deve veicolare e favorire la cultura dell’olio

Non è facile. Perché bisogna tener conto che il gusto dipende molto dalle esperienze del commensale e dalle sue abitudini. Eppure portare al tavolo olio e pane è un gesto culturale. E se si facesse pagare l’olio come si paga l’acqua o il vino? La ristorazione però ha tante facce, dall’alta ristorazione, alla trattoria, al ristorante che apre e chiude in poco tempo. Tra tutti i tipi di ristorazione ci sono differenze abissali. Un dialogo a tre, tra Anna Cane, presidente del Gruppo olio di oliva di Assitol, Stefania Moroni, patron del Luogo di Aimo e Nadia, e Luigi Franchi, direttore della rivista sala&cucina [Forum Olio & Ristorazione 2021, seconda parte_1. continua]

Chiara Di Modugno

Il ristoratore deve veicolare e favorire la cultura dell’olio

È stato molto, molto interessante quanto si è ascoltato lunedì 11 ottobre al Forum Olio & Ristorazione, evento giunto alla quarta edizione e ideato e diretto da Luigi Caricato.

L’assunto di partenza non lascia spazio a equivoci: “Non si può pensare di fare cucina senza porre la giusta attenzione alle materie prime”.

Ebbene, come si può raccontare al meglio l’olio al ristorante?

Riportiamo i dialoghi.

Anna Cane, presidente gruppo olio di oliva Assitol

Anna Cane: “Il racconto dell’olio manca quasi completamente nel mondo della ristorazione. Proprio per questo si deve partire dalla formazione, ed è importante anche la collaborazione con il mondo della ristorazione per valorizzare al meglio questo alimento. Accanto ai prodotti che troviamo nella grande distribuzione, tutte le aziende olearie hanno anche una linea che tendono a proporre solo al canale della ristorazione, anche di un certo livello. Questo perché ci sono delle cultivar particolarmente selezionate, c’è un packaging ricercato, c’è quindi un’offerta dedicata a quel segmento in particolare: la ristorazione. Perciò è importante collaborare con chi è impegnato nel settore della ristorazione. Il ristoratore deve essere l’ambasciatore, il veicolo, per favorire la cultura dell’olio al cliente, che senza la quale il prodotto di qualità non può essere valorizzato”.

Narrazione, non semplice impiego dell’olio

Stefania Moroni, patron Il Luogo di Aimo e Nadia

Stefania Moroni: “Il nostro modo di approcciare il cliente è sempre avvenuto attraverso il racconto del prodotto, facendo in questo modo anche delle scelte precise. Da sempre diamo l’olio servito in un piatto accompagnato dal pane, in modo che le persone possano assaggiarlo. L’olio lo scegliamo noi, e a volte non scegliamo neanche un prodotto semplice. Ad esempio, l’olio da olive Coratina in purezza non è facile, soprattutto se è stato franto da poco. Ad alcuni clienti può non piacere, così è interessante costruire un dialogo e capire il perché. Bisogna tener conto che il gusto dipende molto dalle esperienze del commensale e dalle sue abitudini.

Noi scegliamo l’olio come scegliamo ogni altro ingrediente, perché di pari valore o forse anche di più, in quanto veicola tutti i profumi e sapori, e dà dei suoi apporti; di conseguenza anche una dose ridotta è sufficiente per cambiare il senso di un piatto. Gli oli impiegati nella nostra cucina hanno una personalità molto importante, con una complessità aromatica che non si perde nel corso dell’anno. Il ristoratore si deve fare carico del prodotto, e solo in questo modo poi si può trasmettere qualcosa al cliente.

Per quanto concerne la nostra scelta, non abbiamo mai introdotto una “carta degli oli”. Scegliamo noi una serie di oli da far abbinare alla pietanza. Portare al tavolo olio e pane è un gesto culturale. L’olio servito in un piatto e accompagnato dal pane equivale a fare una dichiarazione a chi si siede al tavolo.

Il problema del racconto di questo prodotto non risiede solo nella ristorazione. Molti clienti acquistano da noi l’olio perché in una gastronomia, magari anche fornita di oli di qualità, non trovano nessuno che sappia raccontarglielo e spiegare il prodotto. Di conseguenza non se ne conoscono gli impieghi possibili e gli abbinamenti. Il problema, quindi, non è solo nella ristorazione. Per questo occorre fare una cultura di prodotto, bisogna fare delle scelte quando si sceglie un olio, sul quale si sa meno perché ci sono anche meno occasioni per scoprirlo. Come consumatori abbiamo una sensibilità, ma manca la cultura.

Molti produttori non si offrono di far assaggiare l’olio ai ristoratori, di conseguenza senza conoscere il prodotto, è difficile che questo venga acquistato senza conoscerlo”.

Anna Cane: “Se faccio pagare la bottiglia d’olio, di dimensioni rapportate al numero di commensali, il consumatore è meno invogliato a lasciarla a tavola. L’olio è un prodotto nobile, più dell’acqua, quindi perché quest’ultima deve essere fatta pagare e l’olio no? Come si fa pagare il vino, occorre anche far pagare l’olio”.

Non c’è ancora la percezione dell’olio come valore

Luigi Franchi, direttore del mensile “sala&cucina”

Luigi Franchi: “C’è un cambiamento in atto, dato da due fattori: il primo è la legge dell’antirabbocco, che ha aiutato molto la ristorazione a considerare l’olio come un ingrediente importante per il successo del ristorante. L’altro è quello della pandemia. Sono entrambi due momenti in cui è cambiato il modo di proporre e vendere l’olio nella ristorazione. La pandemia ha iniziato a cambiare la situazione. I distributori si sono organizzati con le aziende per fare formazione interna, e l’olio è stato uno di questi argomenti. Il distributore ha cominciato a conoscere meglio questo alimento, e questa è una cosa che sta avendo cambiamenti nell’immediato, dove l’agente di vendita conosce il prodotto che deve vendere. C’è anche da tenere conto che i ristoratori attenti a questo sono ancora una minima parte. Si è ribaltato il meccanismo. La ristorazione ha tante facce, dall’alta ristorazione, alla trattoria, al ristorante che apre e chiude in poco tempo. Tra tutti i tipi di ristorazione ci sono delle differenze abissali.

Parlando di alta ristorazione, che non è quella stellata, e di trattorie, oggi c’è una tendenza di andare a cercare il prodotto. Si va a cercare il produttore d’olio, a scegliere l’olio che vogliono. È un atteggiamento che si trova molto nei giovani ristoratori. La carta degli oli per loro non è fondamentale, hanno due o massimo tre tipi, ma sono scelti e a loro volta vengono spiegati.

Nei ristoranti nelle zone di produzione dell’olio c’è una scelta locale; quelli che non sono in zone di produzione non hanno ancora quella cultura approfondita dell’olio. Lì gioca un ruolo fondamentale il distributore. Quindi ci sono diverse varianti quando si va a parlare d’olio: italianità e localismo sono i due elementi che connotano queste scelte. Questo per quanto riguarda la sala. E c’è da aggiungere anche un altro aspetto molto importante: l’eleganza della bottiglia da mettere sulla tavola.

Non è importante che l’olio abbia una denominazione, ma in molte zone di origine protetta, la produzione è talmente scarsa che non riesce a raggiungere la ristorazione al di là del luogo in cui l’olio viene prodotto.

Ci sono diverse situazioni che generano una complicanza; dall’altro lato una cultura dell’olio che come tutti i processi culturali, che sono lentissimi, si sta in ogni caso affermando.

Per quanto riguarda il racconto, una delle scelte più sbagliate credo sia raffrontare il racconto dell’olio con il racconto del vino, perché sono due prodotti totalmente diversi sotto moltissimi aspetti, tra cui i canali di vendita e le caratteristiche proprie del prodotto.

L’olio è un prodotto naturale per eccellenza, il vino, anche quello naturale, non ha quella caratteristica. Il vino lo consumi tutto a tavola, l’olio è impossibile. Di conseguenza i modi di comunicare devono essere per forza diversi, e quello dell’olio deve comunicare il territorio, perché la bellezza del territorio già da sola aiuta a dare un’impronta diversa a questo prodotto”.

Anna Cane: “Il ristoratore deve iniziare a vedere l’olio come qualcosa che darà valore. Non deve più essere percepito come un costo, ed è anche per questo motivo che si deve far pagare il prodotto. Partendo da un ribaltamento di questo concetto, l’olio può essere considerato in modo differente. L’industria deve aiutare a far comprendere il valore del prodotto, facendo corsi e degustazioni. Dobbiamo raccontare l’olio con il linguaggio del consumatore, non possiamo farlo con il linguaggio del panel test. Per il consumatore serve un racconto dell’olio con termini che il consumatore sappia comprendere. Bisognerebbe creare una scheda di assaggio per il consumatore, con un linguaggio tarato sulla sua conoscenza. Assitol, con il canale di formazionePane e Olio, sta cercando di fare questo. L’ambito della ristorazione, secondo Assitol, è quello in cui il consumatore è il più disposto a sentire il racconto”.

Stefania Moroni: “Bisogna rendere dotto il pubblico e far conoscere loro l’olio. Nel mondo del vino, questo è stato possibile soprattutto grazie ai corsi di sommellerie. Bisogna saper raccontare anche in termini che non semplifichino un passaggio, non devono essere troppo complessi ma non bisogna stare solo sul livello delle persone. Se io sto solo sul livello di conoscenza ed esperienza di quella persona, questa non penserà mai al di fuori del proprio mondo. Bisogna trovare il modo, un racconto, per fargli vedere qualcosa di più. Se stiamo solo all’interno di quel mondo, mancano poi le parole per poter descrivere certi profumi, perché se uno non li pensa, non li può conoscere e riconoscere”.

Luigi Franchi: “Raccontare l’olio al ristorante significa raccontare il paesaggio dell’olio, e raccontare quest’ultimo farà sognare la persona che è seduta al tavolo e da lì comincerà a sognare”.

In apertura: “Crudo croccante di finocchi alle olive e seppie”, ricetta e foto dello chef Giuseppe Capano. All’interno: foto di Gianfranco Maggio

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