Una nuova percezione degli oli extra vergini al ristorante è possibile
Sicuramente abbiamo a che fare con un luogo operativo che si può definire a pieno titolo un “incubatore di nuove abitudini di consumo”. L’approccio con la materia prima olio da olive sta cambiando, seppur lentamente. Le potenzialità dei tanti locali presenti in Italia sono oggi molteplici, seppure ancora poco sfruttate. Serve senza dubbio un cambio di rotta, in modo da permettere agli extra vergini di godere della giusta considerazione, e, ai commensali, di farsi una vera e propria cultura olearia, attraverso la via sensoriale, a partire da un approccio più diretto e consapevole con il prodotto

Sala e cucina devono inevitabilmente dialogare tra di loro per la buona riuscita del servizio. Sembra un concetto scontato, ma vi assicuriamo che non è così e i casi che lo dimostrano sono diffusi.
Sapori bilanciati, una corretta cottura dei singoli ingredienti e diverse consistenze che si incontrano sono tutti elementi necessari perché una ricetta riesca tecnicamente. Ma è davvero sufficiente restituire al commensale un buon piatto se poi non viene sapientemente raccontato dal personale di sala?
A oggi, c’è sicuramente bisogno di camerieri preparati, come ricorda lo chef Matteo Scibilia nell’ambito della settima edizione del Forum Olio & Ristorazione, tenutosi a Milano presso la Cascina Cuccagna, a fine maggio. C’è, al tempo stesso, bisogno di luoghi pensati e preparati su misura per accogliere le esigenze dei ristoratori, soprattutto di quelli che guardano a strade diverse, perseguite con l’intento di valorizzare alcuni prodotti della cucina italiana ben specifici, come l’olio extra vergine di oliva, che non godono ancora della giusta considerazione. Assurdo, non è vero?
Ma cosa bisogna fare, quindi, perché l’olio non venga dato più per scontato e non lo si consideri marginalmente o senza una propria personalità?
Sappiamo bene che ogni olio extra vergine di oliva ha delle peculiarità proprie che lo rendono godibile e perfetto se servito con alcuni piatti rispetto ad altri, capace di esaltarne profumi e sapori. D’altronde, il patrimonio olivicolo italiano vanta la bellezza di 538 cultivar di oliva: come è possibile proporre, ancora oggi, un solo olio, magari un generico 100% italiano, che non dice nulla sul territorio di origine?
Per capire da dove partire per cambiare lo stato delle cose, e guardare a un nuovo approccio, serve fare un passo indietro e inquadrare in quale contesto si muove oggi la ristorazione.
«L’olio è un compartecipe della cucina, spiega chef Scibilia, e nonostante nel mio locale presenti agli ospiti oli differenti per cultivar e origine, non li faccio pagare, a differenza del vino».
Qual è il problema più grande? Che è sempre stato così, non c’è mai stato un periodo in cui l’olio venisse inserito nel conto insieme alle altre pietanze consumate, e da questo atteggiamento ne derivano altri. Intanto, il commensale, a oggi poco sensibile in merito a questa tematica, non accetterebbe facilmente tale decisione, soprattutto se il personale di sala non ha le giuste competenze per saperlo raccontare, per saper far avvicinare chi consuma il pasto a questo prodotto.
Quanti clienti sarebbero disposti a pagare cinque, dieci euro in più rispetto al totale, un assaggio di oli differenti? Probabilmente, se indagassimo, scopriremmo quello che già sospettiamo, e forse – tra le varie – una causa la si può ritrovare nell’assenza di un momento che ha segnato un prima e un dopo all’interno del comparto.
Ricordiamo tutti lo scandalo del metanolo nel vino, che in qualche modo ha ricoperto il ruolo di spartiacque e ha fatto sì che l’opinione pubblica diventasse molto più attenta alle questioni legate alla sicurezza e alla qualità alimentare.
Purtroppo, e come ben si sa, coloro che ingerirono metanolo ebbero delle conseguenze gravissime, da danni permanenti alla salute fino alla morte, e non è certo quello a cui si auspica quando si parla di un momento decisivo per far cambiare il modo di percepire l’extra vergine.
Il fatto che il prezzo dell’olio al litro sia aumentato in modo importante, considerato che i consumatori erano abituati a prezzi nettamente inferiori a causa della continua politica delle promozioni, del sottocosto, non ha portato a indagare sul perché di tale situazione, a rintracciare le cause e a chiedersi cosa significhi produrre olio, quanti sforzi economici vengano fatti per assicurare il prodotto.
Al contrario, sono proliferate numerose polemiche che hanno trovato terreno molto fertile sui social, luogo conosciuto per la difficoltà di gestire in modo preciso le informazioni che circolano, dove ogni utente è libero di condividere pensieri e contenuti errati.
Il fattore culturale incide quindi in modo totale, ma non definitivo: siamo ancora in tempo per cambiare lo stato attuale delle cose e indirizzarle verso una nuova linea di pensiero. Per farlo, però, serve il contributo di tutti gli attori interessati, partendo ovviamente dalle aziende.
Tra le sfide più importanti, quindi, vi è sicuramente quella di far pagare l’olio al ristorante, lo ribadiamo con fermezza. Immaginate quale salto culturale, attraverso un’educazione impartita direttamente a tavola, riuscirebbe a compiere l’extra vergine in questo modo? Con tempistiche più o meno brevi, a seconda di come si veicola la narrazione che vi è dietro, e la predisposizione mentale ad accogliere il prodotto da parte dei clienti.
Intanto, però, bisognerebbe cominciare e iniziare a mettere le basi a questo processo.
Come avviene nel ristorante di Matteo Scibilia, anche nella cucina dello chef Domenico Virgilio, l’olio ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale, tanto che lui stesso afferma essere – insieme con il pesce – il punto di riferimento del suo locale.
«Circa dieci anni fa – spiega durante la settima edizione del Forum Olio & Ristorazione – abbiamo iniziato a selezionare diverse tipologie di extra vergine, da quello toscano a quello pugliese, da quello umbro a quello siciliano. In cucina uso prevalentemente quello pugliese, ma in sala ne consiglio differenti a seconda della pietanza scelta, restituendo agli ingredienti nel piatto quel tocco in più. Questo avviene soprattutto con i pesci crudi, dove è possibile spaziare molto con le combinazioni».
Il contesto in cui si muove chef Virgilio – dove i consumatori ancora non sono sufficientemente predisposti – lo frena nell’aumentare il prezzo del piatto una volta che viene accompagnato in chiusura da un olio di qualità, come ha affermato lo stesso chef Scibilia. «Secondo me, spiega, bisogna capire come elaborare quella che inizialmente è un’idea fino a poi strutturare un vero e proprio progetto per far degustare più extra vergini, in purezza o con diverse pietanze, portando il commensale a vedere in questa operazione un vero e proprio valore, economico e culturale».
Un buon punto di partenza, che alcuni locali già osservano, ma restano comunque la minoranza, potrebbe essere l’olio di benvenuto con del pane, a un costo di cinque euro.
Si può aprire il pasto con il proporre oli del territorio fino a presentarne altri, che abbraccino le tante regioni produttrici e valorizzino in questo modo un comparto restato in anonimo per troppo, troppo, tempo.
Sicuramente, per osservare un’operazione di questo stampo occorre anche che le aziende olearie si pongano in maniera differente, rispetto a come è successo fino ad oggi, con lo stesso ristoratore.
Lo spiega bene Matteo Scibilia, facendo luce sul fatto che spesso si ha un problema di smaltimento del prodotto in quanto molte realtà del comparto vendono l’olio solo in grandi volumi.
«Il mondo del vino riesce a offrire un servizio anche parcellizzato, facilitando molto l’acquisto da parte del titolare di un’attività di ristoro. Sicuramente, se si guarda all’acquisto dell’olio per l’uso in cucina, i volumi possono essere anche interessanti, soprattutto per chi è organizzato a venderlo nelle latte, o nelle bag in box. Il problema sorge quando si vuole acquistare l’extra vergine in bottiglia da far degustare: se le aziende non riducono il numero minimo richiesto per l’acquisto, ci si ritrova un accumulo di molte bottiglie di differenti oli dove, spesso e volentieri, vengono consumati in tempi molto più dilatati rispetto agli oli impiegati ai fornelli».
Nella logica del servizio, sostiene sempre chef Scibilia, il mondo dell’olio dovrebbe iniziare a osservare quello del vino, altrimenti non riuscirà mai a emergere totalmente e ad aprirsi una strada all’interno del comparto ristorazione.
Un altro approccio, che va assolutamente modificato, è quello dei rappresentanti che propongono – nella maggior parte dei casi, non sempre – l’assaggio di olio attraverso bottiglie già aperte, che sicuramente sono state in auto e hanno subìto sbalzi continui di temperatura, alterando la qualità del prodotto.
Sicuramente, come già spiegato, gli atteggiamenti che devono essere rivisitati per consentire all’extra vergine un salto culturale, sono tanti e disparati.
Da una vera e propria formazione settimanale ai dipendenti di sala, fino a una selezione di oli ampia e servita come una pietanza, quindi con un prezzo che ne evidenzi il valore.
A cosa auspichiamo? Sicuramente a un salto importante rispetto a come è stato concepito l’olio fino a oggi, ma non possiamo neanche sperare che questo avvenga senza l’impegno di tutti, in quanto le potenzialità ci sono e sono non solo affermate, ma riconosciute in termini globali.
Per approfondire ulteriormente questo tema, è possibile leggere l’intervista a Luigi Caricato, direttore di Olio Officina, pubblicata sul magazine online Comunicazione nella ristorazione, cliccando QUI.
In apertura, foto di Olio Officina©
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