Tanti oli al ristorante
Secondo lo chef Massimo Moroni, presidente di Apci Lombardia, l’Associazione professionale dei cuochi italiani, occorre essere sempre alla ricerca di innovazioni tecnologiche, sviluppando nuove ricette a base di olio, come per esempio una sua ultima creazione: una emulsione fatta solo di miele e olio, oltre a una piccola dose di acqua. In un ristorante? Ci devono essere più extra vergini a disposizione. Prosegue il nostro dettagliato resoconto di quanto è stato affermato nel corso della seconda edizione del Forum Olio & Ristorazionea Milano (Decima puntata. Continua)
Sono state espressi pensieri molto interessanti alla tavola rotonda “Nuove idee in sala e in cucina”, da parte di Anna Baccarani, trade marketing del Food Service di Olitalia, che si è svlta lo scorso 27 maggio a Milano nell’ambito della seconda edizione del Forum Olio & Ristorazione, di cui vi stiamo rendendo conto attraverso una serie di puntate.
Ora passiamo al coinvolgimento diretto degli chef, determinante perché significa sensibilizzarlo e condurlo verso una materia prima complessa qual è l’olio da olive.
“Lo chef – ha sostenuto il direttore di Olio Officina Luigi Caricato – è colui che lavora sulle materie prime e di conseguenza occorre dialogare proprio con questa figura professionale così centrale. Ma quando lo chef non coincide con il ristoratore può sorgere qualche difficoltà. Il ristoratore non sempre ha la medesima sensibilità dello chef e quando queste due figure non coincidono con la stessa persona potrebbe rappresentare un problema nella celta e selezione degli oli da utilizzare in cucina e sulle tavole di un ristorante”.
Lo chef Massimo Moroni (a sinistra) con Luigi Caricato
Secondo il presidente di Apci Lombardia, l’Associazione professionale dei cuochi italiani, Massimo Moroni, chef lui stesso con un curriculum prestigioso, sostiene che nel suo caso non vi è alcun problema perché incarna sia il ruolo di chef, sia quello di ristoratore: “sono sempre alla ricerca di innovazioni tecnologiche, sviluppiamo ricette a base di olio”, ha tenuto a precisare. “Noi, giorno dopo giorno, non guardiamo cosa fanno gli altri, facciamo piatti innovativi, siamo all’avanguardia. Nel giorno di chiusura porto i ragazzi a visitare le aziende con cui collaboriamo, perché secondo me è importante”.
Conoscere, verificare in prima persona, entrare nelle aziende, capire il processo produttivo, poter entrare in confidenza con gli oli, è quel che occorre fare, ma chi si impegna in tal senso?
“Ciò che manca in Italia – ha precisato lo chef Moroni – è il vuoto che le scuole alberghiere lasciano dietro di sé, non supportando i ragazzi nel corso del loro percorso scolastico, cosa per cui mi sto invece battendo io da anni attraverso le scuole con cui collaboro e con cui ho stretto un rapporto negli anni, coinvolgendo i ragazzi, che diventano stagisti. Ebbene, io li vedo quando arrivano nelle cucine: la loro tendenza è di fare il piatto già bello e impiattato, ma senza sapere quello che c’è prima. Ecco – aggiunge Moroni – io mi sto battendo con i professori, e anche con le associazioni di chef, affinché nelle scuole alberghiere si agisca per cambiare lo scenario. È fondamentale che si portino fuori gli studenti, nelle aziende per farsi una esperienza diretta, conoscere, verificare. È necessario, perché il ragazzo che arriva da una scuola alberghiera pensa che lo chef sia solo quello che vedono in televisione, ma non è così. Per questo, con una simile illusione, arrivano sulla scena di un ristorante, entrando in cucina senza quelle basi di conoscenza e di esperienza. Senza conoscenza della materia prima non si raggiungono buoni risultanti. Nei miei trent’anni di esperienza – ha aggiunto lo chef Moroni – ho visto che chi non ha le basi poi tende ad arrivare a un certo punto della propria carriera sbandando, andando fuori strada”.
Anche Luigi Caricatoha insistito su questo punto: “senza formazione i risultati non arrivano. Conoscere è fondamentale, quanto soprattutto è necessario e urgente andare oltre le consuetudini e creare spazi per l’innovazione. Pensare, progettare un piatto innovativo può cambiare lo scenario e migliorare le performance dei ristoranti”.
“Noi – ha precisato al riguardo Massimo Moroni – l’ultima ricetta che abbiamo sviluppato è stata una emulsione stabile creata con il miele. Non ci fermiamo mai, cerchiamo di sperimentare sempre. Abbiamo collaborato con una azienda che del miele tra le più prestigiose in Italia e abbiamo fatto questa emulsione. Ci siamo messi io con un altro collega con cui collaboro molto spesso e abbiamo creato una emulsione che non aveva bisogno di nessun tipo di additivo, nessun tipo di legante, un’emulsione fatta solo di miele e olio, oltre a una piccola base di acqua. Questa innovazione ci ha stimolato molto, anche perché la utilizziamo soprattutto con materie prime quali il pesce crudo e varie tipologie di tartare di carne e di pesce, in quanto copre poco il sapore e lascia un palato pulito, gradevole. Ecco, questa è una delle ultime innovazioni che abbiamo realizzato. Per me l’olio è importante e nella mia cucina viaggia a 360 gradi. Parto soprattutto dalle basi delle preparazioni, sia calde che fredde, che utilizzo soprattutto nelle marinature, nelle cotture a basse temperature”.
Lo chef non ha esitazioni e lo ha ribatido molto chiaramente: “per me l’olio è fondamentale”, ha detto; “senza olio non saprei come gestire la cucina”.
Alla domanda “quanti oli dovrebbe avere un ristorante?”, Massimo Moroniha risposto che “almeno quattro/cinque extra vergini per un ristorante medio/alto dovrebbe essere la norma. Nel mio ristorante, per esempio, ne ho cinque e li utilizzo sia per la carne, sia per il pesce. Ormai – ha tenuto a precisare lo chef – anche il cliente si è affezionato a queste diverse tipologie di oli che diamo a pranzo e a cena. Non solo, durante il periodo natalizio abbiamo addirittura sviluppato la vendita di impulso, che è andata molto bene”.
Da quanto ha sostenuto Moroni si comprende bene come la segmentazione sia molto importante. Se un tempo c’era solo l’extra vergine, e basta, senza distinzioni, e introdotto oltretutto anche con fatica, ora ci si apre a molteplici formulazioni, dai monovarietali a quelli adatti per specifiche preparazioni. Ad Anna Baccarani questa nuova sensibilità da parte dei ristoratori piace. “Noi – ha detto – lavoriamo con la ristorazione a 360 gradi e, ovviamente, l’approccio che abbiamo con le diverse tipologie di oli dipende molto dal tipo di ristorazione. È ovvio che una ristorazione medio/alta, di cui ha parlato con grande lucidità Massimo Moroni, ha un approccio ben preciso oltre ad avere in cucina un extra vergine 100% italiano, deve iniziare a ragionare su quattro o cinque oli, in funzione del tipo di cucina che si vuol fare e dal tipo di propositività che si vuole conseguire”.
“È un passo decisivo da compiere”, ha chiarito la Baccarani, “ma, a ben pensarci, solo qualche anno fa si ragionava appena su due possibili oli: uno da prezzo, che andava bene per cucinare e uno un pochino più buono (che poi dipendeva da quanto era buono per la clientela) e dal prezzo più elevato da destinare per la sala. Ad oggi, invece, secondo me anche la ristorazione che fa i numeri sta cominciando a ragionare su più tipi di oli, e questo vuol dire che si comincia a ragionare sul fatto che non c’è più solamente il 100% italiano, ma ci sono altri oli, di ottima qualità. Si inizia a comprendere che l’extra vergine può essere utilizzato in maniera differente ed emerge quindi la possibilità di averne di più e con essa la possibilità di variegarne anche l’utilizzo che si fa dell’olio all’interno della cucina. Questo atteggiamento – ha spiegato la Baccarani – è un aspetto fondamentale, che si lega molto alla sala, perché poi, di fatto, i grandi volumi di olio si fanno all’interno della cucina, lo sappiamo tutti. La sala resta in ogni caso fondamentale, e parlo ovviamente da un punto di vista aziendale, perché consente di trasmettere i valori di un’azienda. Attraverso la sala è possibile per un ristorante offrire ai propri clienti oli che poi piacciono, attraverso i quali sarà possibile, per l’avventore di un ristorante, affezionarsi a dei sapori e quindi nel contempo avere la possibilità di fare vendita, vendita nel senso più puro del termine, verso il consumatore che deve essere pian piano educato a un prodotto come l’extra vergine: ad esempio – ha precisato la Baccarni – un’insalata che viene condita in maniera differente rispetto a una carne rossa, che magari viene grigliata, e attraverso le diverse soluzioni si avvertono chiare le differenze. Da questo punto di vista, e con un approccio mirato, occorre incentivare il mondo della ristorazione, perché si deve dare la possibilità di offrire una varietà di qualità differenti rispetto a quanto avveniva dieci anni fa, con solo due oli, uno buono per la sala e uno meno buono per la cucina”.
Fine decima parte, continua.
LEGGI LA PRIMA PARTE: Cosa è emerso al Forum Olio & Ristorazione
LEGGI LA SECONDA PARTE: L’olio di intrattenimento
LEGGI LA TERZA PARTE: La ristorazione oliocentrica
LEGGI LA QUARTA PARTE: L’olio come oggetto di studio
LEGGI LA QUINTA PARTE: Il Garda Dop al ristorante
LEGGI LA SESTA PARTE: Più valore all’aceto
LEGGI LA SETTIMA PARTE: Non basta dire olio
LEGGI LA OTTAVA PARTE: La questione prezzo degli oli
LEGGI LA NONA PARTE: Non si vende solo olio
Le foto sono di Gianfranco Maggio per Olio Officina
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